Gli pseudo-intellettuali che vogliono far tacere chi non la pensa come loro
“Ma questa gente dove cazzo vive?”. Ecco quel che mi chiedo la mattina, dopo aver letto i giornali. La mia ipotesi è che troppe canne al centro sociale, da giovinastri – ma sono mai cresciuti? –, abbiano dato loro alla testa. Alcuni, vabbè, alcuni sono semplicemente delle puttane – sia detto senza offesa per le nobili professioniste. Hanno barattato la dignità con lo stipendio e diciamo che potrei pure capirli. Fanno vomitare l’anima a un santo, ma al diavolo – e speriamo che un inferno ci sia davvero per questa gente. Oggi criticano un fascismo che non esiste, se non nella distorsione patologica della loro mente, ma, se fossimo nel ventennio, volete sapere da che parte starebbero? Dalla parte di chi paga. I loro nonni l’hanno fatto, del resto. Quanti intellettuali hanno cambiato casacca da una notte all’altra? Questa è gente che non crede in niente. Avete presente quelli che non moriranno mai fucilati? Sono loro. Vanno con i comunisti o con i fascisti, a seconda del secolo, del giorno, dell’ora. Sono quelli che, quando li vedi sullo schermo, ti verrebbe voglia di spaccare la televisione con una mazza da baseball.
Adesso, questo bel gruppetto, la cupoletta, si è riunito, saranno stati un centinaio, per stilare venti penose righe di recriminazione contro i media. A quanto pare, su tv, giornali e quant’altro, le solite categorie quali clandestini, omosessuali, donne, sarebbero trattati a pesci in faccia. Peggio ancora, si inciterebbe all’odio contro di loro… Ribadisco: ragazzi, smettetela di farvi di droghe sintetiche. Non per fare il proibizionista, ma perché palesemente non le reggete. Vi inducono alla paranoia. Lasciate perdere anche il quartino di vino a pasto. Siete già abbastanza addormentati.
Ma in quale accidente di canale televisivo avete mai visto proclami all’odio verso donne, omossessuali, e immigrati? Leggendo tra le righe, poi, si capisce cosa vogliano realmente costoro: far tacere chiunque abbia un’idea contraria. Come se già il pensiero delle masse non fosse ampiamente orientato in un certo senso. Come se in televisione non fosse tutto un esaltare le quote rosa (e vorrei capire perché le donne sono trattate come una categoria protetta), la famiglia poliamorosa, arcobaleno, omosessuale, e il migrante non fosse dipinto come quello che dobbiamo aiutare a tutti i costi perché in fuga dalle guerre (balla colossale, perché non c’è una guerra in ogni centimetro dell’Africa). A volte mi pare di vivere nella società distopica descritta da Orwell. In realtà, è la solita vecchia strategia della sinistra. Una strategia, invero, sottile: far passare la censura come necessaria per il sano dibattito democratico. In sostanza, per far sì che non si verifichino episodi di violenza, bisognerebbe anche evitare di raccontare i fatti di cronaca, ad esempio che uno spacciatore nigeriano ha violentato e fatto a pezzi una giovane tossicodipendente. Non per dirvi che siete degli infami fascisti, ma anche Mussolini era contrario alla diffusione di notizie relative alla cronaca nera.
Ovviamente, loro tirano fuori il pistolero di Macerata – strano, peraltro, che uno così spunti fuori proprio il giorno dopo l’omicidio di un’italiana, ma non voglio fare il complottista. Dicono che avrebbe agito spinto dalle parole d’odio giuntegli attraverso i media. Purtroppo, anni di marxismo in scatola, o determinismo sociale liofilizzato, la solita solfa della società che ti spinge a essere in un certo modo, hanno fatto danni incalcolabili. Millenni di dibattiti sul libero arbitrio sono andati a farsi fottere. Come diceva giustamente Sartre, il marxismo è una filosofia rozza nello spiegare il comportamento e l’intenzionalità umana.
Ma intanto loro si riuniscono. Sono tutti bravi e di successo. Le loro case editrici sono una diretta emanazione della solita sinistra (anche lì si è passati dal PCI al PD). I soldi che prendono, invece, state ben tranquilli, passano tutti per le mani di Silvio (se non avete capito quale Silvio, siete scemi!) che le possiede, lasciando fare loro quello che preferiscono – lui non è scemo, ha capito che i suoi detrattori costituiscono una buona fetta di mercato e possono portargli soldi. E i giornali in cui scrivono? Ohhhh, quelli poi sono il massimo! Lì stanno tutti i depositari della morale. Ma provate a entrarci senza la tessera, che poi mi raccontate come vi cacciano fuori a pedate.
Questa gente non ha vergogna! Fanno tornare alla mente quei bei versi di Pasolini: “Mi domando che madri avete avuto./ […]Se fossero lì, mentre voi scrivete/ il vostro pezzo, conformisti e barocchi,/ o lo passate, a redattori rotti/ a ogni compromesso, capirebbero chi siete?/ […] Madri feroci, intente a difendere/ quel poco che, borghesi, possiedono,/ la normalità e lo stipendio,/ […] Madri feroci, che vi hanno detto:/ Sopravvivete! Pensate a voi!/ Non provate mai pietà o rispetto/ per nessuno, covate nel petto/ la vostra integrità di avvoltoi!”. Mi maledica il poeta ché, pure per mandarli a fanculo, ho scomodato tutta la sua grandezza.
Matteo Fais
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Anche gli scrittori “sbroccano”. Ovvero, rettoscopia delle false vergini
La parola del giorno è sbroccato. Lo ‘stragista’ di Macerata, l’orco cattivo neonazista – ma la coglioneria non ha colore politico – ha detto il suo avvocato, avrebbe detto, Ho saputo di Pamela e ho sbroccato. Ecco. Se fossi uno scrittore, mi soffermerei sulla parola sbroccato, flirterei tra l’esercizio dello sbroccare, cioè estirpare i ‘brocchi’ – i rami spinosi, secchi, sterili – dall’albero e l’atto dell’uscir di brocca, dell’andare fuori di testa – testimoniato letterariamente, dice la Treccani, nell’opera, invero modesta, di Sandro Veronesi. Invece. Un tizio a Macerata sbrocca, piglia una pistola e spara contro tutte le sagome nere che incontra e gli scrittori italiani – quelli che presumono di esserlo – sbroccano anche loro e su Nazione Indiana (qui) pubblicano un proclama un po’ vintage – nel senso che ricorda l’era brigatista – Ai direttori e alle direttrici delle reti televisive e delle testate giornalistiche. Addirittura. Il concetto del giorno è “prima che sia troppo tardi”. Così si conclude la fantomatica lettera indirizzata al ‘quarto potere’, con poca originalità letteraria: è sempre troppo tardi, da quando Dio reclama Abramo, da quando Gesù cerca di convincere il resto del mondo che dopo di lui il diluvio, anzi, noi, quello era prima, dopo di lui l’apocalisse. La letterina è di una abbacinante banalità: si accusa la comunicazione patria, in sostanza, di aizzare l’odio nei poveri cittadini (“Le parole di odio, lo abbiamo visto chiaramente, possono tradursi in atti di violenza omicida. Azioni che, acclamate e imitate, rischiano seriamente di innescare una spirale di violenza. Per noi è evidente che il nodo mediatico ha contribuito a produrre e legittimare lo scatenarsi delle pulsioni peggiori”). Una minchiata. Per diverse ragioni. Primo. La comunicazione è incontrollata. Ad esempio, non si fa solo nelle reti televisive o attraverso le testate giornalistiche. La comunicazione è incontrollata. Ed è giusto che lo sia. Chi può pretendere di poterla controllare? Ah, certo, il nostro manipolo di scrittori italiani radunati sotto il sombrero di Nazione Indiana. Capisco. Vorrebbero un posto di primo piano in un qualsiasi show televisivo demenziale, purché in prima serata, i libri non gli bastano, non vendono. Secondo. Supponenza&strafottenza. Gli scrittori italici firmatari della letterina pubblica pensano che l’utente medio (dunque, il lettore) sia un cretino. Cretini, piuttosto, sono loro. Ogni atto verbale è ferita, feritoia, scontro, scansione di scanni. Io posso dire, con ragionevolezza, “quella ragazza è morta in modo orrendo”. La risposta a questa frase ragionevole è: a) preghiera; b) indignazione; c) menefreghismo; d) incazzatura. Ogni reazione ha delle sottoreazioni. Una delle sottoreazioni di d) è: piglio il fucile e faccio una strage di negri. Ripeto. Ogni gesto di parola è violenza. Anche se ti chiamano per nome puoi reagire mandando affanculo chi ti chiama. La vita è un rosario di scelte; ciascuno è responsabile delle proprie. Anche le parole che pronunciano i firmatari di questa lettera, in effetti, sono violente, sono una violenza. Firmando, costoro si ‘contano’, costruiscono un gruppo di forza e di potere: se non la pensi come loro ti puniscono. Eccolo il fascismo attuato nell’attuale millennio. Vivi complimenti. Terzo. Uno scrittore – se è tale – non firma altro che la propria opera. Ha idee troppo singolari per far gruppo con altri, ha uno sguardo sulla realtà del tutto eccentrico, proprio, incomparabile, speciale, spavaldo, imbestiato (ad esempio: al posto di scrivere la pia letterina, eventualmente, sbotterebbe, fanculo le televisioni, fanculo la stampa, brucio tutto e rifondo tutto, fondo un giornale). Ne arguisco che i firmatari della letterina – redatta da chi? non certo da uno scrittore, tanto è scritta male – non sono scrittori. Quarto. Uno scrittore – se tale è – di fronte alla realtà ha uno sguardo complice e polimorfico, ci fa vedere ciò che non vedremmo mai. Sa, ad esempio, che l’uomo è malato, minato dal male, che tutto l’uomo (non solo “le donne, i migranti, i figli di migranti, la comunità Lgbtq”) soffre, è indifeso, definito da una fragilità insostenibile. Uno scrittore, insomma, si getta nella melma della vita, bacia il mostro (altro che “non lasciar nascere questi mostri”, è tutto il contrario, cari pelosi, politicanti scrivani), si fa lacerare dal mostruoso. Non si siede assiso sull’ovvio (siamo tutti d’accordo che la stampa sia ‘urlata’, ma la stampa urla da qualche secolo, cari scrittori intruppati da Nazione Indiana, finte verginelle). Quinto. Perché questi intellettuali squinternati si sentono in dovere di scrivere la letterina pubblica intorno ai fatti di Macerata? Non si indignano per quanto accade nel resto d’Italia e del mondo, non si indignano per altre centinaia di porcate, di violenze, di ruberie, di bastardate, di cattiverie. Come mai? Ah, già. Siamo sotto elezioni. Forse stanno costruendo un partito politico.
Davide Brullo