31 Luglio 2018

“Nell’attesa che l’impossibile divenga possibile”: dialogo con Eugenio Borgna su psichiatria e letteratura

Una identità scolpita nella gentilezza, nella generosità. Anche in rapidi scambi di mail. Trasuda la dedizione, traluce un tempo dedicato proprio a te, e a nient’altro, in quel barlume di minuti. Come si tocca un oggetto sincerandosi della sua concreta identità, dandogli, così, valore di vita. Eugenio Borgna è uno dei rari maestri in questo tempo cattivo, ma avido di creazioni. Il suo insegnamento, preliminare e già fecondo, è nella gentilezza – mica retorica, non quella di chi vuole liberarsi senza tema né dolo di una ‘pratica’: è la gentilezza di chi offre la sedia e dice, vieni, avvicinati, parliamo, sono qui. Primario emerito di psichiatria all’Ospedale Maggiore di Novara, Eugenio Borgna, da sempre, interpreta e compie una esegesi del male attraverso lo studio di testi letterari. Come se i poeti, gli scrittori, fossero l’emblema dell’enigma, la quintessenza dell’inquietudine e della sua testimonianza. I suoi libri (cito da una bibliografia sterminata, a casaccio: Le figure dell’ansia, Le intermittenze del cuore, L’attesa e la speranza, La solitudine dell’anima, Le passioni fragili) sono necessari per fare speleologia nelle nostre ossessioni, nell’amore che ci possiede. Nell’ultimo libro, lieve come una spina di cristallo, Borgna ragiona su La nostalgia ferita (Einaudi, 2018), cioè nel rapporto, che implica complicazioni, con il nostro passato, con l’immagine che ci siamo creati del nostro passato. Il libro, di geniale delicatezza, che con agio passa da Pascoli a Rilke, da Thomas Mann a Georg Trakl, da Etty Hillesum a Vladimir Nabokov e Virginia Woolf, ragiona sulle sottili distanze che separano la nostalgia dal rimpianto, l’idea del passato come carcere (ciò che non accadrà mai più così) in contrasto al passato come turbinio di possibilità, come turbo per costruire il futuro (le cose stanno così perché sono state cosà e possono diventare un terzo, un altro, uno sfarfallio di gioia, una prova). Le frasi da portare a memoria, memorabili, sono tante; ne ho tracciate alcune. “Non c’è futuro, non ci sono orizzonti aperti alla speranza, che non si nutrano di passato, delle speranze sognate che hanno lasciato qualche traccia di sé nel presente e nel futuro”; “Sì, si può essere divorati dalla nostalgia di una vita mai vissuta”; “Così noi viviamo, e ogni volta diamo l’addio a qualcosa di noi che la nostalgia misteriosamente ci consente di ritrovare”. Così, mi sono regalato l’onore di parlare con Borgna, in questo tempo dove la rarità pare una rapina. (d.b.)

libro borgnalntanto, la nostalgia può essere foriera di futuro? in fondo, lei cita opere letterarie, per certi versi profetiche (da Musil a Leopardi a Rike), che partono da un fondo abissale di nostalgia, a perforare l’avvenire…

La domanda ha in sé la sua risposta che è anche la mia. La nostalgia nei suoi misteriosi cammini ci riconduce a guardare negli abissi di un passato nel quale ritroviamo le sorgente di quelle che avrebbero potuto essere le nostre attese e le nostre sperane, e la nostalgia le fa rivivere: influenzando quel poco, o quel tanto, che ci resta da vivere. La nostalgia ci consente di ritrovare qualcosa nel nostro futuro che si era dimenticato. La psichiatria, che è alla ricerca delle connessioni possibili fra passato e futuro, non vive senza le grandi opere da lei citate.

Lei marca una differenza tra rimpianto e nostalgia. Intendendo la nostra nazione come un corpo unico, le pare che questo sia il tempo del rimpianto, della nostalgia o di nessuno di questi sentimenti (che presuppongono un rapporto di dialogo profondo, polemico con il passato)?

Ci sono consonanze, ma anche, e forse soprattutto, dissonanze fra l’essenza della nostalgia e quella del rimpianto: nella prima, ripensiamo al dolore delle cose che il destino non ci ha consentito di realizzare, e nel secondo, invece, ripensiamo a cose che avremmo potuto fare, e non abbiamo fatto. Questo mi sembra essere il tempo del rimpianto, delle cose che si potevano fare, e non lo sono state.

Lei cita Rilke, Proust, e mi domando: rimeditandolo, rimasticandolo, il passato può ‘cambiare’? O siamo noi che mutiamo mentre muta la nostra considerazione del passato?

Il passato, la considerazione del passato, cambia vertiginosamente nella misura in cui cambiano le nostre emozioni. Il passato non è una massa inerte e pietrificata ma camaleontica: ripensarlo ci aiuta a guardare alle cose che accadono oggi con una meraviglia che si rinnova senza fine.

Di che cosa, in fondo, si ha nostalgia?

Si ha nostalgia della nostra infanzia e della nostra adolescenza, come diceva Dostoevskij, che alla nostra vita aprivano possibilità infinite che non siamo stati capaci di realizzare.

Esiste, anche, una nostalgia per l’esotico, per l’altro solamente immaginato: penso al capitolo che dedica all’Africa, più utopica che reale (e penso, se posso, all’esotismo di Rousseau il Doganiere, nostalgia di amazzonie mai vedute…). Si può avere nostalgia di un futuro prefigurato e mai accaduto?

Si può avere nostalgia di orizzonti di vita, a cui la nostra immaginazione inconsciamente aspirava, e che non sono mai esistiti. Ma non si spegne mai l’attesa che l’impossibile divenga possibile, ed è un altro modo di non lasciare morire la speranza in noi.

La nostalgia di casa porta Odisseo al viaggio; ma c’è anche una nostalgia che imprigiona in un passato idealizzato, carcera all’immobilità, è vero?

Sì, lei lo dice molto bene, la nostalgia ha in sé prefigurato il rischio di tenerci imprigionati in un passato idealizzato che non ci consente più di avere un futuro, e ci immobilizza in un deserto che non fiorirà mai.

“Ogni mio libro nasce in dialogo con la follia”, scrive lei; “La follia è matrice della sapienza”, scrive Giorgio Colli. Che rapporto si salda tra follia e poesia?

In una delle sue immagini più belle Clamens Brentano definisce la follia la sorella sfortunata della poesia: mi sembra di poterla temerariamente avvicinare a quella di Giorgio Colli: l’una e l’altra immagini di una impossibile speranza. La grande poesia, e i grandi romanzi, consentono alla psichiatria di dilatare e di ampliare la conoscenza dell’anima che ne è l’orizzonte infinito. In Hölderlin, in Gérard de Nerval o in Sylvia Plath, e in Robert Walser, la follia e la poesia confluiscono in una straordinaria associazione creativa: talora, come diceva Karl Jaspers, incomparabile nella sua dolorosa bellezza.

Lei cita, come di consueto, grandissimi autori del Novecento, alcuni ‘classici’, ma dimostra attenzione anche al contemporaneo. Cosa le piace leggere oggi? In che stato è, a suo giudizio, la letteratura italiana, oggi?

Sono stato incline da sempre a leggere i grandi autori del passato, le loro poesie e i loro romanzi, e fra i contemporanei sono portato a leggerne alcuni: seguendo qualche recensione, o intuendo aspetti psicologici. In linea di massima dovrei dire che, per colpa mia (immagino), non trovo nella letteratura italiana fonti di grande consonanza con quelle che sono le mie motivazioni alla lettura: alle donazioni di senso della lettura.

Ultima: una sua riflessione sulla Legge Basaglia. Che prospettive riguardo all’indagine della malattia mentale?

La legge 180, che è stata approvata nel maggio 1978, ha condotto alla chiusura degli ospedali psichiatrici, e consente oggi di fare la migliore delle psichiatrie possibili. La psichiatria è entrata negli ospedali civili, e ora fa parte del servizio sanitario nazionale; ma cambiare e migliorare radicalmente le strutture costitutive del fare psichiatria non basta se, come ancora oggi avviene, si consegna esclusiva importanza ai farmaci, e se nel curare non si è nutriti di ascolto e di attenzione, di sensibilità e di passione (come diceva Leopardi, solo se la ragione si converte in passione è strumento di conoscenza), di apertura al dolore dell’altro e di capacità di decifrare il senso che si nasconde nei modi di essere della malattia psichica. L’homo faber, l’homo robot, dilaga in noi, e in particolare in non pochi psichiatri prigionieri della tecnica, e allora non bastano strutture aggiornate per realizzare una psichiatria umana e gentile. La psichiatria non può se non essere incentrata sulla relazione, sul colloquio, che si svolga non guardando l’orologio, ma donando a chi sta male tutto il tempo necessario. Solo se la psichiatria del futuro recupera questi valori, si realizzano gli ideali che sono stati a fondamento dell’opera rivoluzionaria di Franco Basaglia.

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