Nel cataclisma elettorale in puro stile Lavoisier – “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma” – la differenza tra Pier Ferdinando Casini, promosso, e Massimo D’Alema, bocciato, sta tutta in una canzone di Luca Carboni, “Silvia lo sai” del lontano 1987. Va detto che D’Alema non si impegnava così da anni e per conquistare il Salento ha fatto mille incontri; invece, niente da fare, a Nardò è rimasto sotto al 3,1%. “Ho preso meno voti delle persone che ho incontrato”. Se si fosse fermato al commento iniziale sarebbe stato un grande. Ma D’Alema è D’Alema. “E questo significa che non siamo stati percepiti come qualcosa di diverso rispetto al centrosinistra e a quello che anche noi abbiamo criticato e contrastato nell’ultimo anno”.
Certo. Non siamo stati percepiti. Come Pietro Grasso che, più o meno, ha fatto la stessa figura di D’Alema. Come Laura Boldrini, arrivata dietro a Bruno Tabacci. Come Vasco Errani, ex governatore dell’Emilia-Romagna, che a Bologna è stato spazzato via da Casini, diventato di fatto l’ultimo erede di Dozza, Zangheri e Imbeni. Dario Franceschini ha perso nella sua Ferrara. Matteo Orfini ha perso nel suo quartiere di Roma. Trombate anche la ministra senza laurea e diploma Valeria Fedeli e la super-prodiana Sandra Zampa. Stesso destino avverso per alcune “celebrities” del centrodestra: Sandra Mastella, Vittorio Sgarbi (che, sbroccando, ha poi definito il suo collegio “un territorio di disperati”), Benedetto Della Vedova, Raffaele Fitto, Lorenzo Cesa, Roberto Formigoni, Flavio Tosi e Nunzia De Girolamo, nonostante l’impegno “matto e disperato” di quest’ultima, esiliata in un collegio bolognese, che si è fatta immorta(del)lare dai media mentre disquisiva di sfoglia in una bottega del centro storico e non contenta è andata allo stadio per vedere il Bologna accanto a uno spaesato Arrigo Sacchi.
Qualcuno di loro si è salvato col paracadute del proporzionale, altri no. Tutti, allo stesso modo, “non sono stati percepiti”. E a pensar male viene in mente la frase di un vecchio dirigente di partito che di fronte alla scelta tra due candidati, disse questa frase epocale. “L’altro non lo conosco ma tu so chi sei e di sicuro non ti voto”. Però, a vedere chi è stato eletto in giro per l’Italia, non dev’essere nemmeno questa la ragione.
Perciò ha vinto il lucido pragmatismo di Pier Ferdinando Casini, bolognese di nascita, democristiano di ferro e vero tifoso della squadra cittadina, che non avendo nulla a che spartire con Gramsci ha fatto tutta la campagna elettorale con la sciarpa rossoblù ben stretta al collo. “La maglia del Bologna sette giorni su sette” cantava Luca Carboni. Essere se stessi – e simpaticamente paraculi quanto basta – in questo caso ha pagato alla grande.
Ma siamo in Italia e il lieto fine non si nega neppure ai “non percepiti”. E sotto i portici di Bologna già si sentono i sussurri per le Regionali dell’anno prossimo. Mettere la sciarpa rossoblù come Casini o essere sconosciuti ai più per non farsi riconoscere? È questo il dilemma.
Michele Mengoli
www.mengoli.it