09 Luglio 2018

Il nudo integrale alle 11 di sera scandalizza ancora… eppure abbiamo tutti qualcosa in mezzo alle gambe, controllate! Cronache eretiche dal Festival di Santarcangelo

Il nudo non è necessariamente erotismo, così come l’erotismo non è necessariamente pornografia. Se poi, come accade nel gioco del telefono senza fili, “per strada” ci perde qualche pezzo, tra “a” e “c” ci passa in mezzo un’agorà. Una piazza. Ganganelli, quella di Santarcangelo, quella che è stata “oggetto” di aspre critiche. Non la “piazza” in quanto dimensione urbana, luogo di stasi o di passaggio bensì nell’accezione di “palcoscenico” teatrale che ha ospitato “Multitud” (in copertina, photo Carlos-Contreras), lavoro della coreografa Tamara Cubas che trasforma in gesto la socialità dell’uomo di oggi, la nozione di eterogeneità del gruppo, lo spazio pubblico, i rapporti interpersonali e la capacità di dissenso.

Un rito aggregativo che nelle intenzioni sottende un incontro tra diversità che, nell’atto scenico, mette in mostra alcuni difetti (perdonabili) di gioventù: troppo lunga (oltre due ore), a tratti didascalica (le urla degli attori, ma anche alcune corse di gruppo in cerchio) ma drammaturgicamente interessante. Il corpo, l’involucro delle persone, viene messo al centro, vivisezionato e indagato nel suo essere “influenzabile” quando si scontra con altri corpi. Gli attori quindi camminano, corrono, cadono, piangono e ridono, si cercano e si sfuggono, creano piccoli nuclei sociali. E, infine, si spogliano. Ed è qui che si è scatenato un putiferio di polemiche: il nudo integrale, verso le undici di sera con la notte nel cielo e alcune luci verticali poste lungo il periplo del campo d’azione quanto può essere “corrosivo” e “diseducativo”? Per gli animi “puristi” di una frangia (sparuta) di spettatori bacchettoni e “cattodestrirsi”, pronti a scagliarsi contro la direzione del Festival di Santarcangelo è stato come vedere il diavolo tentatore aggirarsi per la piazza. Una caccia alle streghe utile solamente a piantare i fari dei media sulla kermesse, a rivangare altre “cadute di stile” del passato (nel 2015 l’artista canadese Frank Willens fece la pipì in pubblico). Assistere a uno spettacolo gratuito, che è stato presentato senza celare il finale (non la risposta all’indagine ma sul fatto che in scena ci sarebbero state scene di nudo) è una scelta di libertà: se vedere un gruppo di persone senza vestiti correre e dimenarsi può creare fastidio, il gesto più naturale è quello di alzarsi e andare via. Se rimani sino alla fine significa che quei “nudi” – che sono altra cosa rispetto al sesso e alla pornografia – non ti urtano. Quindi tutto quello che è stato scritto “post” spettacolo può essere derubricato a mera “stronzata”, a quella malata forma di urgenza che si misura con la visibilità sui social (e sui giornali somari che pur di vendere due copie in più danno vasta eco a questi scandalucci del cazzo): ho osservato “Multitud” spostandomi lungo il perimetro dello spazio. Molti bambini hanno seguito lo spettacolo con attenzione. I genitori invece – come spesso accade – si distraevano con i telefonini. Tra i più piccoli non ci sono stati segnali di inquietudine né di imbarazzo. Nasciamo nudi, perché mai un corpo privo di vestiti deve scandalizzare? L’arte è il luogo non obbligato in cui si mette in scena la vita: ci si può avvicinare, ci si può fermare ma si può anche andare via. Ma l’arte non va né tradita, né tradotta, né violentata (è ancora luminosa la figura di merda fatta dall’Italia in occasione dell’incontro istituzionale tra Matteo Renzi e il presidente dell’Iran Rouhani in Campidoglio quando alcune statue di nudo dei musei Capitolini furono coperte con alcuni pannelli bianchi su tutti i lati): va accettata oppure no. Si può scegliere se partecipare a un rito collettivo – che può piacere come no -, ma non ci si può prendere la libertà di sparare pallettoni di parole solo per raccogliere un briciolo di consenso.

“Multitud” è un’indagine interessante che, come la pelle delle persone, ha alcuni nei di forma ma non di esposizione o di contenuti. Attaccarsi alle scene di nudo vuol dire non avere argomenti di discussione. La pornografia che si vede in televisione e per strada (su internet è scontata) non scandalizza. Un culo, una passera o un cazzo che vengono esposti agli occhi di un pubblico in maniera propedeutica alla performance invece provocano un’alzata di scudi. Eppure quelle “cose lì”, in mezzo alle gambe, le abbiamo tutti. Nel dubbio, controllate.

Alessandro Carli

Gruppo MAGOG