01 Giugno 2022

Omosessualità e Fascismo. Un saggio di Klaus Mann

Morì in maggio, a Cannes, era il 1949, ingerendo una dose letale di sonniferi. Aveva 42 anni, aveva servito nel quinto reggimento degli Stati Uniti, durante la Seconda guerra: l’audacia dell’opera, la fama della famiglia – o meglio: il peso del cognome –, il viso raffinato, più che altro evanescente, cristallino, ne fecero un personaggio. Dalla tragedia distillarono una specie di agiografia portatile. Klaus Mann non è soltanto il figlio di Thomas Mann, l’arciscrittore, ha una natura letteraria propria, lacerata da cupi bagliori, che istiga all’eversione: i suoi libri, ad ogni modo, a volte biografici, screziati – Mephisto, La svolta, Figlio di questo tempo, Il vulcano, Sinfonia patetica –, ritornano con costanza nel nostro parterre editoriale. “Tutti i figli di Thomas Mann hanno avuto difficoltà a rapportarsi con un padre tanto famoso quanto distante, severo, preso dall’austerità del suo lavoro… La vita di Klaus, in particolare, è più drammatica e interessante di quella del padre, la tragedia gli assegna una profondità diversa rispetto al ruolo di mero scrittore di romanzi”, ha scritto Colm Tόibin, parlando di Cursed Legacy: The Tragic Life of Klaus Mann, la biografia di Frederick Soptts edita nel 2016 dalla Yale University Press.

Nato a Monaco nel 1906, legato alla sorella Erika, con cui compie diversi viaggi in Nord Africa, omosessuale, nel 1934 fu invitato al congresso degli scrittori di Mosca. L’anno prima lo zio, Heinrich Mann, a causa dell’ascesa di Hitler ai vertici della cancelleria tedesca, era stato costretto a dimettersi dall’Accademia delle arti; il suo posto era stato preso da Gottfried Benn. Klaus Mann scrisse al poeta una lettera che sa di resa dei conti con la Germania: “Perché defraudare il tuo nome, dal così alto nitore letterario, e mescolarlo a quello di quei fanatici, il cui livello non ha precedenti nella storia europea e la cui impurità morale il mondo respinge con disgusto?”. Scrittore dal talento connaturato, Klaus Mann diventò il protagonista della cosiddetta “letteratura dell’esilio”: persa la cittadinanza tedesca, si rifugiò prima in Cecoslovacchia, poi, dal 1936, negli Stati Uniti. Il suo “impegno” a sinistra era sprezzante, spesso polemico, incompreso, destinato a fargli vuoto: indagato dall’Fbi perché apertamente omosessuale, non era comunista. Si riteneva antifascista, liberale, cosmopolita; aveva capito che i governi socialisti tendevano a diventare regimi, a restringere la libertà, a focalizzarsi sul culto del Capo – l’articolo su Omosessualità e Fascismo, pubblicato su una rivista di Praga, “Europäische Hefte”, il 24 dicembre del 1934, e qui tradotto in parte, ne è esempio lampante. Visse scrivendo – Mephisto esce nel ’36 –, dissipandosi – l’uso di droghe e una certa fascinazione per la morte lo raggelavano fin da ragazzo –, vide il disfacimento delle sue idee, granitiche e ingenue. Come i veri scrittori, era un insoddisfatto: deluso dall’esito del mondo libero, liberale, tradito dal socialismo, si ripiegò, fino a fare di sé un’eco, un vuoto, il tremore folgorante del pianto.

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Omosessualità e Fascismo

In Unione Sovietica la legislazione emanata di recente sottopone l’omosessualità a pesanti sanzioni. Questo è sorprendente e ci si chiede quale logica e quale moralità giustifichino un governo socialista ad amputare i diritti e a diffamare uno specifico gruppo umano la cui “colpa” è basata su peculiari inclinazioni di natura sessuale.

I rischi e gli scandali che l’Unione Sovietica sta vivendo nei territori orientali ha portato all’istituzione di una legge umiliante, che la sinistra dei paesi Europei occidentali sta combattendo da decenni. Alle difficoltà sostanziali si aggiunge, per così dire, lo stato d’animo del momento. È a questo che darò preponderanza. Per stato d’animo del momento intendo la tendenza, sempre più chiara in Unione Sovietica, a giudicare l’erotismo in modo severo e conservatore, in risposta, forse, a libertà considerate eccessive. Questo tipo di sfiducia e di avversione contro il mondo omoerotico è giunto a un grado di intensità insostenibile in diversi circoli antifascisti e socialisti.

Non siamo lontani, cioè, dall’identificare l’omosessualità con il fascismo. Non possiamo più negarlo. Combattiamo i pregiudizi razziali… eppure permettiamo il diffondersi del più delirante pregiudizio. Ci siamo dimenticati da che parte proviene la diffamazione dell’omosessualità. La lotta contro l’omosessualità è il compito “morale” della borghesia; si è svolta con la stessa passione con cui si è combattuto l’amore libero, con un’enfasi che ora ci appare anacronistica. L’idea stessa di morale, da allora, è cambiata. Eppure, ancora, è argomento di conversazione domandarsi se possiamo concedere a tutti il diritto di amarsi come desiderano, a patto di non ledere le comuni relazioni domestiche. Non ci vergogniamo di riaprire queste viete discussioni?

La borghesia illuminata delle grandi città ha mutato la propria concezione morale, altrimenti fasulla, claustrofobica: l’erotismo è tollerato, in ogni forma, la lotta si concentra sulla proprietà privata, sull’economia. Ma ora, che paradosso, è il socialismo ora a imbracciare una guerra che la borghesia ritiene ormai obsoleta da tempo! A Maksim Gor’kij è attribuita una frase che ha dello straordinario: “Facciamo sparire gli omosessuali, così sparirà il fascismo!”. Non è impossibile che il padre del realismo socialista abbia pronunciato una frase del genere: questo è lo stato d’animo del momento. Ma da dove arriva? Sui giornali antifascisti come su quelli nazisti leggiamo parole come “assassini e pederasti uniti” insieme a “traditori del popolo ed ebrei”…

La storia inizia con la lotta infida e vergognosa contro il capitano Ernst Röhm [1887-1934; politico, militare, colonnello tedesco, sodale di Hitler: il suo conclamato omoerotismo fu oggetto di critiche violente, che inasprirono la persecuzione nazista contro gli omosessuali, ndr]. Le lettere inviate dal Sud America appartenevano alla sua vita privata, è stato assurdo, superfluo, inutile trascinarle sulla pubblica piazza. I toni sono stati volgari, goffi, l’efficacia iniqua. Che Hitler sia intervenuto a proteggere chi, in senso piccolo-borghese, era “compromesso”, ha gettato, per la prima e ultima volta, un’immagine quasi familiare, domestica sugli odiosi nemici. Le persone oneste avranno pensato che era un bel gesto: Hitler apprezzava davvero il suo colonnello, nonostante il fango gettato dai giornali sulla sua vita privata. Proprio i giornali favorevoli al “liberalismo illuminato” cominciarono a urlare al “pederasta”. Ricordo quanto fosse ridico, perfidamente sadico vedere un giornale berlinese con la redazione composta quasi del tutto da omosessuali per altro piuttosto intraprendenti, dilettarsi in titoli beffardi, indignati, come se non ci fosse altro da rimproverare ai nazisti che il lardo erotico del capitano Röhm.  D’altronde, Hitler coprì il vecchio compagno finché ne aveva bisogno. Quando lo ha scaricato, improvvisamente ha fatto cenno alle sue “inclinazioni particolari”. Fu allora che Hitler si scandalizzò, in pacifica concordia con i giornali liberali. […]

Ma veniamo ad altro. Ha ancora senso credere che gli omosessuali siano un gruppo omogeneo? Lo slogan poco felice di “terzo sesso” divulga un errore affatto ingenuo. In verità, in ogni categoria si trovano omosessuali, dall’esteta decadente al contadino; non esistono soltanto gli “attivi” e i “passivi”: esiste ogni forma di sfumatura possibile, a seconda del grado di sensibilità individuale. L’omosessualità era diffusa negli stati militari che propagavano l’ascesi marziale (Sparta, Prussia) come nelle civiltà più raffinate (la tarda Roma, Parigi e Londra sul crinale del Novecento). Ha giocato un ruolo primario nei tempi che chiamiamo “dello splendore”: l’Atene di Socrate, il Rinascimento. Nel corso della storia ci sono stati diversi tipi di omosessuali, perfino mediocri, a volte disastrosi. È innegabile che un numero relativamente grande di grandi uomini sia stato incline a prediligere questa forma di amore. Eppure… nel paese che alcuni ritengono il più illuminato, lungimirante, progressista del mondo, la forma di amore che evochiamo è soggetta a una terribile repressione. Su qualsiasi giornale di sinistra leggiamo battute sciocche, mentre a Berlino organizzano “razzie notturne contro gli omosessuali”, inviati nei campi di lavoro.

Ciò che si addice ai nazisti è la cricca omosessuale oppure rinchiudere gli omosessuali per castrarli, per ammazzarli. La sinistra dovrebbe essere più obbiettiva, eppure, al negoziato preferisce il pregiudizio. L’esito finale, d’altronde, proviene sempre dal Capo supremo. La deificazione della persona ha sempre un carattere, consciamente o meno, omosessuale. I marxisti hanno dimenticato che il dogma e il tipo del Capo che combattiamo dipende da faccende economiche? Hanno dimenticato che Hitler, certamente più amato, con isteria, dalle donne piccolo borghesi che dagli uomini virili o effemminati, non è salito al potere a causa dell’“omosessualità che contamina i giovani tedeschi”, ma perché lo ha finanziato Thyssen, perché le sue bugie hanno confuso cervelli famelici? Stiamo facendo dell’omosessuale un capro espiatorio, come lo è l’ebreo. Ed è terribile.

L’omosessualità non va “estirpata”: ne sarebbe impoverita l’umanità tutta. Un nuovo umanesimo, la cui realizzazione vede nel socialismo un prerequisito, può accadere soltanto se saremo capaci non soltanto di tollerare ciò che è umano e non provoca crimini in una comunità, ma se sapremo amarlo, integrarlo, accettarlo.

Klaus Mann

Gruppo MAGOG