“Apre la gabbia alla belva che risiede in noi”. Hervé Guibert, lo scrittore che odiava gli uomini
Letterature
Hervé Guibert
Ma come hanno fatto quei due a stare insieme per così tanto tempo? Parliamo di Alberto Moravia e di Elsa Morante, ossia della coppia di scrittori che nel jetset culturale di Roma, ma non solo, tutti chiamavano “MoraviaMorante“. È una domanda difficile che può avere tante risposte. A districare questo tormentato rapporto s’incarica la giornalista Anna Folli nel libro appena uscito: MoraviaMorante, editore Neri Pozza (pp.305, 18 euro). S’incontrarono alla fine del 1936 alla Birreria Dreher accanto a Piazza Colonna. Lei è estasiata ma anche intimorita di fronte a un giovane che pochi anni prima, col suo Gli indifferenti, aveva più di ogni altro dato linfa e stile nuovi alla narrativa italiana. Alla tavolata sono presenti artisti e personaggi noti della Roma culturale, per appartenere alla quale lei aveva sognato testardamente per anni. Non era facile per Elsa essere disinvolta. Si portava dentro un forte complesso di inferiorità sociale e ben sapeva che lui era nato ricco, che frequentava il bel mondo di tutta Italia, che aveva avuto amanti scelte nel perimetro della nobiltà e che abitava in un villino che s’affacciava su Villa Borghese. Lei era nata nel quartiere popolare del Testaccio da una famiglia piccolo borghese. Ma il suo più grande dramma interiore derivava dal fatto che non era figlia di suo padre (brutto, non brillante, e purtroppo impotente) ma di un siciliano alto e bello che, per un singolare patto tra i coniugi, ebbe l’incarico di mettere incinta sua madre Irma, una due tre volte. Saputolo all’età di dieci anni, Elsa scopre la vergogna, e dirà poi che essere figlia di “suo” padre (ne porterà con orgoglio il nome) e biologicamente di un altro in pratica significava non avere alcun padre.
Con la madre Elsa ha un rapporto turbolento. La donna è invasiva e spietata, ha l’insulto facile. Un giorno Elsa fa scivolare sotto la porta della camera da letto un foglietto con la scritta “maledetta“, salvo pentirsene subito dopo e infilare un altro biglietto, “benedetta”. Intanto la ragazzina si scopre brava a inventare favole. A 21 anni si vede pubblicato un romanzo a puntate sul Corriere dei Piccoli. Dirà Moravia: “Si considerava un angelo caduto nell’inferno pratico del vivere quotidiano: Ma un angelo armato di penna”. Fatto sta che a quella cena Elsa beve molto per essere disinvolta: al congedo lei gli metterà le chiavi del suo bilocale in mano, dicendogli “vieni quando vuoi”. Inizia così un amore che tutto è salvo che tranquillo e lineare. Si sposeranno, persino in chiesa, ma entrambi saranno gelosi della propria libertà. Lui si alza presto e trascorre la mattinata a scrivere, con il ritmo di un impiegato. Vuole che si realizzi il grande sogno elaborato durante i quasi due anni in un albergo-sanatorio in Trentino: fare lo scrittore. Elsa scrive al pomeriggio oppure quando sente voci imperanti che la spingono alla creazione. Ma il vero muro divisorio è la forte differenza di carattere. Alberto fa filtrare i sentimenti nella rete della scrittura, è freddo, sempre ragionevole anche quando questa virtù è soltanto un segno di anafettività. Non solo Moravia è infedele, ma lo diventa anche Morante. L’autrice di Menzogna e Sortilegio, due parole che aveva usato spesso nell’adolescenza, confesserà di nutrire per il marito sentimenti di ammirazione ma anche di invidia. Lui spesso l’attacca, pur dicendo di amarla, e così la fa sentire vulnerabile. Scrive Elsa: “A. è uno snob e io vorrei soddisfare con la mia persona il suo snobismo, avendo per esempio un’alta posizione sociale o essendo illustre. Niente di tutto questo… Basta, è una lunga serie di umiliazioni…”.
Il rapporto non si spezzerà nemmeno quando Elsa s’innamora di Luchino Visconti. Al regista, nobile e “bellissimo”, invierà lettere d’un amore totalizzante e di sfrenata passione. Visconti, che è omosessuale, risponderà con fredda eleganza, fino a defilarsi. Moravia si accorge e i due coniugi stileranno un patto di mutuo racconto. Confessano le trasgressioni, consapevoli di non volersi lasciare definitivamente. Il loro percorso letterario si nutre di affermazioni e di premi importanti: Moravia, superati dolorosamente gli anni della Seconda guerra mondiale in cui fu messo all’indice dal regime fascista, vince lo Strega nel 1952 con I racconti, Morante avrà lo stesso onore nel ’57 con L’isola di Arturo. Da non dimenticare quel che Moravia voleva fosse dimenticato: da impubblicabile scrive a Mussolini dicendogli di non essere ebreo, ma da sempre cattolico. L’unico suo obiettivo è quello di vedere i suoi romanzi nelle vetrine delle librerie. Ricorderà anni dopo: “Elsa e io facevamo parte di un piccolo gruppo di intellettuali i quali passavano il tempo a parlare male del fascismo. Ma io ero quello che ne parlava meno, perché era un argomento che mi annoiava”. Non è mai stato un combattente antifascista. Il regime gli dava fastidio solo perché gli impediva di pubblicare.
Il matrimonio s’incrina nei decenni successivi. Alberto incontra Dacia Maraini, donna che non è ossessionante. E poi venne Carmen Llera, giovanissima e sessualmente molto disinvolta. Alberto, staccatosi da Dacia, la sposerà. Elsa la vide dal letto della clinica Margherita dove era stata ricoverata per guai seri (che le intaccarono le ossa e la memoria) e chiese: quella che c’entra? Alberto, formalmente ancora marito della donna che si stava consumando, fece un appello perché le spese della degenza fossero a carico dello Stato (con la legge-Bacchelli). Nacquero feroci polemiche sui giornali: Moravia gretto, Moravia irriconoscente. Elsa non seppe mai dello scandalo. Fu molto contenta quando al suo capezzale arrivò il presidente Sandro Pertini. Quell’inaspettata visita non era forse il riconoscimento della sua grandezza?
Pier Mario Fasanotti