03 Ottobre 2019

James Angleton, il poeta amico di Pound, spia e agente della CIA, che salvò Junio Valerio Borghese. Ovvero: Giaconi ci spiega come funzionano i servizi segreti

Abbiamo dovuto tagliare a metà la conversazione con Marco Giaconi su intelligence e romanzieri (QUI LINK). Riprendiamo a tambur battente.

Professore, torniamo agli yankee e alla loro mania persecutoria a opera della CIA. Le chiedo: oggi si può usare internet in modo intelligente per sfuggire alle trovate dei nordamericani sulla CIA? Ci racconta, per risollevare le sorti, di uno dei padri nobili della CIA, Angleton? Cosa sappiamo di lui? Era davvero un anglista ossessionato dall’interpretazione ricorrente delle fonti che aveva traslato questa sua fissazione al rapporto investigativo?

Internet si usa in modo intelligente solo se la si usa naturalmente, confondendo magari il sito de La Stampa sui cani e quello della NSA, con relativa criptatura. Niente timore se si viene “visti” da qualcuno, saremo una tra le migliaia di segnalazioni giornaliere, che valgono solo se portano nomi già noti. Angleton era mezzo messicano, da parte di madre, e fu un vero, così mi dicono, poeta. Anzi, “il Poeta”, come lo chiamavano i colleghi. Della razza di Eliot e, strano a dirsi, ma non troppo, di Pound, ed era in continuo contatto con entrambi. Da studente, Angleton se ne andò a Rapallo, del resto Angleton sapeva benissimo l’italiano, per ragioni familiari e di lunghissima residenza a Genova, in cui ritornò nel 1938. Ci andò in quell’anno per parlare con Pound, naturalmente, e solo di poesia. Ma anche di economia e politica. Fu seguito dal solito poliziotto assonnato. Poi, Angleton, che Pound considerava un “buon poeta, una speranza” trattò con i capi delle SS la resa europea del Terzo Reich a Berna, al tavolo tondo del ristorante del Kreuz und Post. E anche la cessazione delle attività della X MAS, con Junio Valerio Borghese che fu riportato a Roma in una jeep in divisa da colonnello della Forze di Terra, l’esatto equivalente del suo grado in Marina. Nella jeep c’era anche Federico Umberto d’Amato, il futuro responsabile dell’Ufficio Affari Riservati, uomo degli americani come sarà poi anche Junio Valerio.

Cosa c’è di vero nelle notizie raccolte da Kinzer nel recente Poisoner in chief riguardo all’aneddoto di Angleton tra i primi ‘sperimentatori’ di LSD? Davvero la fobia della CIA di essere infiltrata è nata qui? 

Certo è che la CIA creò il progetto MK-ULTRA per scoprire una droga che facesse, come diranno negli anni ’60 i beatnik, apparire le profondità della mente. Qualora uno ce l’abbia. Era un programma, inizialmente, che fu destinato ad essere usato sulle spie proprie o sugli ipotetici agenti avversari. Immagino che Angleton l’abbia anche sperimentato, visto che, giustamente, diffidava anche di Eisenhower, che non era una spia sovietica, ma solo un generale un po’ fatuo e molto incolto. Certo, Angleton era talmente sospettoso da sospettare, magari, anche di sé stesso. Era un eccesso di attenzione che permetteva, inevitabilmente, l’arrivo di agenti sovietici in quantità. Ma il “K” era esperto soprattutto in operazioni di influenza, quindi dovremmo cercare tra gli “intellettuali” progressisti, nei grandi movimenti culturali, tra le scuole e le università. Poco, invece, tra gli “operativi” americani, pochissimo tra l’élite del potere americano, che però era già manipolabile attraverso il clima culturale. Non devi cambiare la visione del nemico, la devi solo restringere. Le infiltrazioni solide nella CIA vennero soprattutto da vecchi analisti e operativi, talvolta molto in alto, che pensavano di continuare l’alleanza con l’URSS anche dopo la fine della guerra.  Pour s’enculer l’Europe.

Che dire invece dei resoconti fattuali come il volume analitico Circle of treason di due ex addette CIA, Sandra Grimes e Jeanne Vertefeuille? Realmente alla fine degli anni Ottanta CIA e KGB continuavano a lottare indipendentemente dagli Stati dei quali facevano parte? addirittura CIA non avrebbe avvertito in tempo la caduta di URSS, mentre KGB avrebbe colto tutto dalle macerie di URSS piazzando Putin (che mi sembra duri tutt’ora)…

Il libro delle due “addette” riguarda “Rick”, ovvero Aldrich Ames. Fu (ma è ancora vivo) un mediocre e burocratico uomo della CIA, figlio di un professoretto di college che, pure lui, fu assunto dall’Organizzazione per lavorare in Asia, nel Vietnam in particolare.  Questo già dice tutto.  Hai avuto culo, almeno ringrazia. Anche la madre venne reclutata, ma poi si dimise, perché il papà di Ames era nella stessa postazione turca. Non so cosa possa tirar fuori un professorello di college da una realtà come quella turca, ma tant’è. La CIA, come altri Servizi, ha sempre avuto il difetto di essere anche una law enforcing agency, una roba da giudici e avvocati. Figurarsi.  Il figlio Ames fu assegnato prima a New York, città di grande penetrazione sovietica, ma Ames perdeva sempre, Diomio, le sue borse nella subway. È capitato anche ai Servizi italiani di avere gente che porta le puttane negli appartamenti del Servizio, ma sono andati via immediatamente e a pedate. Poi, i contatti con i “colleghi” sovietici, che, se facessero un decimo di quello che ha fatto Ames, sarebbero fucilati venti volte di seguito. O si è professionisti, o niente. Le due signore sono state nel gruppo che ha indagato proprio su Ames, il mole hunt, la caccia alle talpe. Nel 1993 iniziò infine il controllo vero su Ames, che provò che aveva a lungo tradito il Suo Paese, ma solo per soldi. Certo che la CIA si accorgeva poco dell’URSS, ma erano soprattutto errori “scientifici”, non solo risultati delle moles della dezinformaçia. Le defezioni Usa verso l’URSS, soprattutto durante e dopo la fine del secondo conflitto mondiale, furono numerose: almeno 18.

Professore, Spectator aveva già detto che la storia di Andrews è incompleta, è una cronaca obesa, non una storia critica. Guardian da sinistra è stato più arrendevole: si tratta pur sempre di un libro che manda olezzi di grants e foundations: le chiedo brutalmente se verrà mai un santo giorno in cui i santoni del New Yorker si metteranno da bravi a leggere le storie di Maugham per capire come uno scrittore di relativo successo poteva tranquillamente venir spedito in Svizzera per spiare i rivoluzionari russi prima che facessero il botto in patria? Voglio dire, si impara di più sul Servizio da Ashenden che dai tomi per infanti puritani…

Probabilissimo. Non c’è una scienza dell’intelligence, c’è solo un raffinatissimo artigianato. Che oggi, nell’era dei supermercati e delle scarpe di plastica, si va perdendo. Andrew è stato bravissimo, ma è proprio la sua colpa. Avesse fatto un libro sulle sex offences nella CIA o nei Servizi britannici, lo avrebbero incoronato d’alloro. Vogliono, gli incompetenti, che il mondo appaia come loro lo vedono: ovale, oppure cubico. Certo, un corso nelle scuole interne su Ashenden e la lotta contro i bolscevichi che stavano abbandonando la guerra… aspettiamo.

Grazie Professore, di nuovo.

A Lei e a tutti i lettori

Andrea Bianchi

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Postilla conclusiva. Della prontezza di riflessi in campo giornalistico: ecco come il Guardian avvertiva il 2 maggio 1919 l’uscita di un capolavoro quale La luna e sei soldi.

La storia di Mr Maugham è quella di un rispettabile agente di cambio il quale lascia al palo la moglie dopo 17 anni di matrimonio e se ne va da solo a Parigi per seguire un nuovo ideale – ideale di arte in grande. Una rottura, questa, seguita da privazioni e impegno, da lunghi periodi di lavoro e scoppi selvaggi di conquiste sessuali; e l’artista morirà dopo molto tempo, cieco e lebbroso, a Tahiti.

Ma non tutti i dettagli della storia sono pungenti e reali, e il nostro senso di credulità viene messo alla prova da tutti questi effetti calcolati al millimetro; come pure viene scossa la fede che avevamo riposto nella passione di Mr Maugham per quanto vi sia di originale e “forte”. Una simile passione sconfigge sempre il suo oggetto. Che poi Mr Maugham usi i ritrovati della tecnica moderna non crea quel senso di realtà che persegue: enfatizza semplicemente il suo ritratto, chiaramente non convincente – giacché non tutto il vigore personale può esser sacrificato per soffrire la fame davanti all’ideale dell’arte.

Gli schizzi d’artista raccolti nel libro sono estremamente efficaci e la semplicità del racconto notabile. Tecnicamente tutta la cosa ha grande interesse, ma in quanto lumeggia la natura del genio bizzarro e senza compromessi, pronto a sacrificare ogni persona e ogni gruppo che lo intralci sulla via del suo programma, La luna e sei soldi fallisce a metà per la sua resa letteraria e per la mancanza di vera ispirazione creativa.

Anonimo recensore

*In copertina: James Jesus Angleton (1917-1987)

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