
Umberto Eco e la semiotica del “complotto”
Letterature
Bruce Handy ha scritto un pezzo curioso su The Atlantic. È la riproposizione della sua premessa a una raccolta di testi per celebrare… I Peanuts. Tutto vero. E per la collana… The Library of America.
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Ora, la Library of America è arrivata a trecento titoli e mentre dei primi ‘classici’ agli albori della letteratura americana, alle prime uscite della Library, si sa tutto o quasi, gli ultimi testi inclusi in questo Olimpo sono invece per me dei perfetti sconosciuti. Ben venga il lavoro collettaneo sui Peanuts. Che titolo impegnativo però: The Peanuts Papers. Con tanto di saggi, testi inediti, poesie, interviste. E tra gli altri il celebre testo di Umberto Eco su Krazy Cat e i Peanuts. (Per non farsi mancare niente hanno trovato il modo di far scrivere una cosa a Jonathan Franzen).
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Comunque seguiamo Handy nella sua argomentazione: “Charles Schulz non ha creato Charlie Brown e Linus e Lucy perché agissero o parlassero come dei normali bambini. Li ha creati perché fossero divertenti, perché se ne venissero fuori come parte di un teatrino di figure crudeli. In ogni caso Schulz ha messo in scena dei pargoli, veri o falsi che siano, e i suoi lettori più avidi sono proprio i pargoli. Anch’io ero nella truppa. Mi immagino che i bambini in età scolare portati a ridere delle disgrazie altrui siano quelli discriminati dai coetanei. Ma se godono delle sofferenze altrui è solo per inclinazione naturale. Quindi leggono Peanuts per la sua durezza e la trovano sovversiva, una sorta di scossa che li calma e li soddisfa. Per me andava così”.
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Curiosa questa razionalizzazione ex-post da parte di uno che ha scritto di fiabe e storie per bambini. Curiosa tanto più perché viene espressa in chiave autoironica: con gli anni, scrive Bruce Handy, i Peanuts sono diventati per lui come un vino andato a male. (Esiste?)
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In ogni caso la cultura nordamericana che si nutre di fumettoni ha il pregio di essere sarcastica verso se stessa. Al di là delle parole usate come fossili per riconoscere uno stato d’animo (che senso ha parlare di Schadenfreude per parlare dei bambini e tirare in ballo gli archetipi di Esopo per descrivere i Peanuts?) il pezzo su Atlantic è commovente. Commovente perché arriva a proporre Snoopy come… filosofo.
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Che ridere vedere gli adulti a strologare sull’intuito dei bambini, sulla loro forma originaria che li porterà a diventare scienziati o letterati o infermieri. Che buffo. Sembra la caccia spietata di una madeleine che non c’è più. Forse non c’è mai stata…
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Altre idee diffuse nella cultura nordamericana come le propaga Atlantic: “Quel che mi ha insegnato Schulz è che la vita è dura. Nel migliore dei casi la gente è difficile (quando non ingestibile). Giustizia è un termine sconosciuto. La felicità svapora nella striscia sottile tra la terza e la quarta vignetta. La reazione migliore, date queste premesse, è ridere, continuare a muoversi, sempre pronti a scansare il colpo. (…) Se Charlie Brown è un fesso, è però un fesso che ha a cuore tutto. Non possiamo insultarlo solo perché tende a diffidare. Come il suo inventore Schulz, Charlie ha passione e insiste nelle cose che fa”.
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Va bene va bene, hanno vinto gli yankee e la loro Library of America può vantare tra gli ultimi numeri le poesie di Melville e le testimonianze sui Peanuts. Aveva ragione la mia professoressa Maria Monica D. buonanima a sconsigliarmi di seguire le lezioni su Giordano Bruno perché “Snoopy è un filosofo migliore”.
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In ogni caso se avete tempo e voglia di capire come mai un testo di Eco si trovi nel libro sui Peanuts, andate in biblioteca a prendere i saggi di Cases. Non so più se nel Testimone secondario o in Patrie lettere faceva un racconto surreale dove immagina un mondo coi gatti che tengono lezione all’università. Il gatto in cattedra. All’epoca, Eco aveva appena pubblicato il suo testo su Krazy Cat e i Peanuts, Cases era un marxista che si era laureato su Jünger e non capiva niente del mondo ‘attuale’. Però fa morir dal ridere.
O piangere?
Nel frattempo gli scolari di comunicazione di Eco hanno preso la strada giusta, oggi elaborano raffinati testi sull’uguaglianza e il rispetto delle aziende per le corporation mentre chi legge poesia segue il consiglio di Auden: poet go right, till the end of the night. Poeta tira dritto, sopra di te c’è la volta stellata e niente soffitto.
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Scusate queste stupidate, siano benedetti i fumetti e i fumettoni e dio stramaledica gli intellettuali che ricavano una morale dal cane beagle che si stende sulla sua cuccia e fissa le stelle. È un beagle, Snoopy, chi sa se nei saggi qualcuno ha ricordato che si tratta di una razza di cani delle più testarde e delle più amorevoli (coi bambini). Chi lo sa. Chi ha avuto un beagle lo sa, lo sa…
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Non trovo di meglio di questa poesia del compianto Tony Hoagland per descrivere lo stato d’animo dopo aver letto questi sproloqui sui Peanuts. Porta il titolo Tra gli intellettuali ed esce sul numero del 2 settembre del New Yorker.
Andrea Bianchi
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Tra gli intellettuali
Era una vera tribù,
non si mettevano mai a prendere il sole, mai si fermavano di pomeriggio a mangiare insieme dell’uva.
Tra di loro reputavano che sbirciare le nuvole fosse una schifosa perdita di tempo.
Trascorrevano le giornate assorbiti da un’attività che chiamavano “stimolazione cerebrale”
quasi fossero animali che si titillano a vicenda tra le sbarre di una gabbietta usando lunghe stecche.
E così tormentandosi facevano librare
i loro pensamenti, al modo di bizzarri etologi.
Questa era la loro religione.
Questa, e la luce che passa dalle vetrate gotiche innalzate dai loro predecessori.
Preferivano il nome dell’albero
al sapore del suo frutto.
Ero giovane e volevo mettermi alla prova,
però le parole che appresi da loro mi trasformarono.
Prima che me ne fossi accorto, il cambiamento era già cosa fatta.
Impossibile dire se fosse cosa malvagia.
Senza scampo, scopri che sei perduto, realmente perduto;
cieco, davvero;
stupido, davvero;
disseccato, davvero;
affamato, davvero;
eppur ti muovi.
Però scopri anche che
non puoi smettere di pensare, pensare, pensare;
tormentandoti, parlando solo a te stesso.
Tony Hoagland