17 Febbraio 2025

I Ching: storia lirica del libro fondamentale

Poco più di un secolo fa, nel 1924, il missionario tedesco Richard Wilhelm pubblica la sua traduzione dell’I Ching, l’arcaico oracolo cinese, uno dei libri più enigmatici e polimorfici della storia. Wilhelm aveva studiato teologia a Tubinga, era approdato in Cina nel 1899, a 26 anni – praticava a Kiao-Ciao, nello Shandong, all’epoca colonia tedesca. Si fece vanto di non aver convertito alcun cinese al Vangelo. 

La traduzione dell’I Ching a opera di Wilhelm è uno degli eventi culturali del secolo: su quella versione si basa la traduzione di Bruno Veneziani e di A.G. Ferrara edita da Adelphi, la più nota in Italia. È chiaro: quando un oracolo – il cui potere è nel segreto – diventa pubblico, quando l’arcano si svela, la sua energia scema. È l’occulto, la divinazione solitaria, la dedizione da maestro ad allievo, la coltre e l’abisso a rendere un testo efficace, a far agire una parola che affiora da labbra dedite al silenzio. Nei decenni, l’I Ching è diventato testo di culto, cioè di moda: l’antica pratica dei cinquanta steli di millefoglie (l’Achillea) si è tradotta, per impratichirsi all’oggi, nel lancio delle tre monetine; l’interrogazione – che durava del tempo, ore – è diventata un botta-e-risposta, lo studio di sé una specie di spicciola sentenziosità, una frase ad effetto, come gli oroscopi nei giornali di pettegolezzi. 

Nel 1949, Carl Gustav Jung scrisse una partecipe introduzione all’I Ching, dimostrando gratitudine verso il docile missionario Wilhelm, morto quasi vent’anni prima per una malattia tropicale – insegnava Storia e filosofia cinese a Francoforte, chiacchierava con agio con Hermann Hesse, Martin Buber, Tagore. Nel breve saggio, Jung scrive una cosa interessante:

“L’I Ching non si fa avanti con dimostrazioni e risultati, non fa l’imbonitore di se stesso, né è facile avvicinarglisi. Quasi fosse una parte della natura, aspetta di essere scoperto. Non offre né fatti né potere, ma per chi desidera conoscere se stesso e per chi ama la saggezza – se mai questa esiste – sembra essere il libro giusto”. 

Ogni testo autenticamente sacro è retrattile al tocco, ci respinge. Come un serpente, ha in sé un veleno e un antidoto: spalancarlo è sempre un rischio. Ogni testo sacro è naturale: connaturato all’albero e al fiume, alla lince e al sasso. Nessuna cultura lo intacca – esso è dis-umano. 

Chiunque abbia sfogliato l’I Ching, resta affascinato dalle immagini. Dissacrando l’oracolo – senza considerarne il valore di verità: il solo possibile, per altro – credo che l’I Ching sia uno dei libri di poesia più belli di ogni tempo. Intendo dire: leggerlo dilata le possibilità del nostro immaginario; è una fonte permanente di gioia per l’intelligenza – qualunque cosa questo voglia dire. 

Apro il libro a caso. Esagramma 28. Ta Kuo: La Preponderanza del grande. Questa è L’immagine:

“Il lago oltrepassa gli alberi: l’immagine della preponderanza del grande. Così il nobile quando sta solo è libero da crucci, e quando deve rinunciare al mondo è intrepido”. 

Queste sono le cosiddette Sentenze aggiunte

“Nella più remota antichità si componevano le salme coprendole di uno spesso strato di ramoscelli secchi e seppellendole poi in mezzo alla campagna, senza tumuli né boschetti. Il lutto non aveva una durata fissa. I santi dei tempi posteriori introdussero invece l’uso di bare e sarcofaghi. Questo lo trassero certamente dal segno: la Preponderanza del grande”. 

L’I Ching sembra delineare un vagabondaggio dell’anima, il percorso di un cuore fattosi lupo e airone – al sentenzioso mescola il fiabesco, la leggenda si concretizza in legge, le immagini diventano legione, ci riempiono la bocca. 

Il talento di Wilhelm è stato quello di rendere lirico, per noi, l’assoluto ignoto. Non ho parlato di gradevolezza – incuria grammaticale da botri bassoborghesi – ma di altezza: dov’erano fenici ha tratto aquile, dov’erano draghi ha ricavato picchi, vette, pinnacoli verbali. Credo che l’affronto di Wilhelm sia pari a quello di Edward FitzGerald, infelice scrittore in proprio ma straordinario traduttore delle “quartine” di Khayyām; pari all’Hölderlin che si schianta contro Sofocle; a Pound che ‘rifà’ i poeti classici cinesi; a Yeats che s’immerge nelle Upanishad; all’avventuriero Giuseppe Tucci che elabora Il libro tibetano dei morti. Intendo: l’enormità della lingua. 

Poi, certo, Il Libro dei Mutamenti, resta un libro per predestinati. Il concetto non è prevedere il futuro, ma comprendere il proprio posto nel tempo, e accettarne le conseguenze. Assecondare la natura delle cose, fecondarla di sé – come una mano immersa nel fiume: non sposta il flusso, ma fa fiorire qualche stellata spuma; idiota chi crede di arginare la forza dell’acqua in anguste dighe o murate museruole. La sentenza, più che altro, è una sentinella: l’I Ching non spiana e non spiega, suggerisce una via – non avviluppa e non avvicina, avverte. 

Cesare Cavalleri, autentico esegeta dell’arcano cinese, ha scritto che “L’I Ching è un libro molto serio, non per giochi di società. È un condensato di saggezza a cui attingere per un consiglio quando si è realmente motivati”. Incurante del divieto biblico di auscultare oracoli e dare ascolto ai responsi, riteneva che quel libro contenesse una saggezza che ci precede. 

Nella Prefazione alla prima edizione del suo capolavoro, scritta a Pechino nell’estate del 1923, Richard Wilhelm ricorda di essere stato introdotto all’oracolo dal “mio venerato maestro Lao Nai-hsüan”. Mentre traduceva l’I Ching, Tsingao, la città, veniva assediata dalle forze giapponesi, alleate all’esercito del Regno Unito. Durante la guerra – così ricorda Wilhlem – “il generale giapponese Kamio leggeva l’opera di Mencio nelle sue ore di riposo”; quanto a lui, il missionario tedesco operava nei ranghi della Croce rossa, “senza cessare nemmeno per un giorno dell’antica saggezza cinese”. L’oracolo si tingeva di sangue, i militari saggiavano antiche sapienze e quella traduzione entrava con urgenza nella Storia: una nuova necessità, dopo millenni passati nel lignaggio occulto, in un linguaggio ad uso di adepti, lo portava alla luce. Ogni grande opera dello spirito si tempera nella brutalità del corpo, nel pericolo, viso nel viso della morte.  

Un episodio narrato da Wilhelm funge da paradigma:

“…ma più felice di tutti si sentiva un vecchio cinese, assorto a tal punto nella lettura dei suoi libri sacri che nemmeno una granata cadutagli accanto poté scuoterlo dalla sua calma. Egli la raccolse – non era esplosa –, ritrasse poi la mano dicendo che era molto calda, e si rivolse di nuovo ai suoi libri”. 

Essere nel mondo – ma non di questo mondo. 

Nel 1996, per le edizioni Red – poi per la Utet, 1997; poi per Feltrinelli, 2011, 2017 – esce una edizione dell’I Ching – rinominato Il Libro della Versatilità – tradotta in italiano dal cinese antico, a cura di Rudolf Ritsema e Shantena Augusto Sabbatini, sotto gli auspici della Fondazione Eranos. Il testo è straordinario: di ogni sinogramma è fornito un significato culturale e cultuale; la bellezza dello stile è sacrificata per la certezza etimologica – che in molti casi, per verbale violenza da petroglifo, acquisisce una magnificenza più cruda, minoica.

L’esagramma 28 citato prima nella versione di Wilhelm, diventa, così, “L’eccesso del grande”, che nei Percorsi di saggezza ha questo senso:

“Lo specchio-d’acqua sommerge il legno. L’eccesso del grande. Il discepolo della saggezza usa il solitario consolidare per non impaurirsi e per ritrarsi dall’epoca senza malinconia”. 

Questo scombinare il linguaggio – a tratti interlineare – affascina, alletta in tigri il savio grammatico. La traduzione degli esagrammi è del tutto diversa: al posto del Creativo abbiamo La forza, in vece del Ricettivoc’è Lo spazio, al posto della Difficoltà iniziale leggiamo Il germogliare. A volte la traduzione è in occaso opposto: l’esagramma 15, La Modestia, per la versione Eranos è L’umiliarsi; l’esagramma 56 passa da Il Viandante a Il soggiornare. Al mutamento della traduzione segue il sovvertimento dell’oracolo? E la traduzione di traduzione – quasi un sussurro – non fa sussultare il divinare? 

Wilhelm incastona alla traduzione i suoi commenti, spesso di delicata affabilità, per avvicinare l’oscuro testo al lettore occidentale. I suoi riferimenti sono, va da sé, tedeschi: spesso cita Goethe, a volte il Nuovo Testamento, una volta Beethoven. Credo che il ‘successo’ dell’I Ching dipenda anche da quel contesto: siamo nell’epoca del frammento, nell’etica-tagliagola, quella di Nietzsche, quella che attracca nel filosofeggiare oracolante di Heidegger; siamo nella lirica allucinata di Trakl, nel dionisiaco vagare tra lacerti verbali di Hölderlin; è l’era dell’orfico Rilke. Voglio dire: un andare a tentoni tra gli invisibili. Consapevole o meno, Wilhelm vive in quella temperie: Laozi non è mai stato così vicino a Eraclito, la Cina come la Grecia teutonica, la Grecia dell’anima anelata dai poeti di Germania. Bisognerebbe approfondire.

Traggo dal tedesco la traduzione dell’esagramma 11: Tai / Der Friede. La Pace. È l’unione dei trigrammi K’un e Ch’ien, la Terra e il Cielo. Si lega a questo mese, “febbraio-marzo, quando le forze della natura preparano la nuova primavera”:

Il verdetto:

La Pace. Il Piccolo va, viene il Grande. 
Illeso! Successo!

Il segno indica il momento della natura in cui, per così dire, il cielo è in terra. Il cielo si acquatta sotto terra. È così che i poteri si uniscono in intima armonia. Questo crea pace e benedizione per tutti gli esseri. Nel mondo degli uomini è tempo di armonia sociale. L’alto s’inchina all’umile, l’umile è amichevole con l’umile, le faide hanno fine. 

Dentro, nel centro, nel punto cruciale, è la luce; fuori è l’oscuro. La luce ha effetto possente, flessibile è l’oscuro. In questo modo, entrambe le parti hanno ciò che gli spetta. Quando i buoni occupano una posizione cruciale e nelle loro mani è il dominio, anche i malvagi migliorano, subiscono la loro influenza. Quando nell’uomo regna lo spirito che viene dal Cielo, la sensualità animale cede al suo influsso, trova il giusto posto. 

I piccoli, i deboli, i malvagi vanno scomparendo; i grandi, i forti, i buoni crescono. Ciò comporta salvezza, successo. 

L’immagine:

Cielo e Terra uniti: l’immagine della Pace.
Così il sovrano divide e compie
il corso del cielo e della terra
amministra e ordina i doni del cielo e della terra
ed è al fianco del popolo”. 

Nella versione Eranos si ha Il pervadere in vece de La Pace. In ogni caso, si tratta di trovare una interiore sovranità. 

Per chi, come me, raccatta lirici monili divinare è pari a coltivare la vigna grammatica – il succo rende ebbri. Prima o poi l’anima diventerà un falchetto e dovrò cibarla di fresca preda – c’è tempo. 

Gruppo MAGOG