L’apostolo Tommaso, seduto in disparte, guarda Cristo e Giuda seduti uno accanto all’altro: da una parte la bellezza divina, dall’altra una mostruosa bruttezza. Così Leonid Andreev ci presenta l’“enigma insolubile” del tradimento, nel suo racconto lungo Giuda iscariota (contenuto in I sette impiccati, Rizzoli, 1955). Ci presenta un Giuda orrido, paragonato a un polpo dagli enormi occhi (di cui uno bianco e morto) e otto tentacoli. È il Giuda che ci aspettiamo, almeno inizialmente: meschino, dedito a piccoli furti, adulatore e sempre porto a parlar male dei suoi fratelli, seminatore di zizzania. I discepoli non si spiegano perché Gesù lo accolga e incomincia una convivenza difficile, fatta di menzogne e perdoni. Eppure Gesù lo tiene con sé, senza mai dargli confidenza, sempre distaccato. Un po’ alla volta il beffardo vittimismo di Giuda incomincia a incrinarsi: dapprima finge di essere un povero onest’uomo sempre ingannato, quando in realtà è lui il bugiardo; ma poi questo suo chiedere ossessivo “chi inganna Giuda? Chi ha ragione?”, sembra voler suggerire altro, quasi Giuda incominciasse solo allora a rendersi conto della strada senza uscita, quasi fosse intrappolato nelle parole del profeta.
Il Giuda di Andreev è egli stesso un profeta, reso pazzo dalla profezia che si trova a compiere. Dice:
“Allora non ci sarà più Giuda l’iscariota, non ci sarà più Gesù. Allora… Tommaso, stupido Tommaso! Ti è mai venuta voglia di prendere la terra e di sollevarla? E poi, forse, di gettarla via?”
La naturale e ovvia espulsione di Giuda dal gruppo degli apostoli non arriva mai; questo stupisce tanto i discepoli quanto Giuda stesso. Sembra che lungo la narrazione Giuda incominci a trovarsi sopraffatto dal suo ruolo di mentitore. Un ruolo che egli ha deciso di giocare almeno fintanto che Gesù non lo ha inserito in un disegno più grande. Il tradimento di cui parla Giuda, non solo nel testo di Andreev, non è soltanto l’aver tradito le sue aspettative verso un possibile riscatto armato della Giudea, ma è soprattutto un averlo incastrato, affibbiandogli la missione più difficile di tutte: tradire Cristo, mandare un innocente a morire. E difatti per tutto il tempo che precede e segue l’arresto, questo Giuda di Andreev spera sempre che a un certo punto le cose volgano al meglio; “Bisogna vigilare su Gesù! Bisogna vigilare su Gesù! Bisogna intervenire a difenderlo, quando verrà la sua ora” dice. E poi spera che la folla si ribelli e lo liberi, che i discepoli fedeli agiscano e lo salvino. Ma non accade nulla di tutto questo. Inesorabilmente, Cristo sale al Golgota e lì muore.
“[…] in mezzo a quella gran folla c’erano solo loro due, inseparabili fino alla morte, stranamente legati nella comune sorte di sofferenza: colui che era stato consegnato all’obbrobrio e alla tortura, e colui che lo aveva tradito. Ambedue come fratelli, il tradito e il traditore, bevevano alla stessa coppa di angoscia, e il liquido di fuoco aveva bruciato egualmente la bocca pura e la bocca impura”.
Quello di Giuda è uno dei problemi cardine del Cristianesimo: egli è posseduto da Satana, come lo accusano gli altri apostoli? È strumento divino attraverso cui si compie la passione? La letteratura in merito è vastissima. Leonid Andreev è uno dei tanti a essersi cimentato nel tema, ma non del tutto casualmente.
Leonid Andreev è proprio la personificazione del mistero, del dubbio, dell’incertezza. Quell’inquietudine che lasciano i suoi racconti, quel “vuoto” difficile da colmare, già lo aveva scorto Piero Gobetti quando nel 1919 si accingeva a presentare alcune sue novelle al pubblico italiano. Andreev sembra sospeso tra il vecchio mondo in rovina appartenuto agli zar e alla religione ortodossa, e quello nuovo della rivoluzione, del Socialismo. Non solo dal punto di vista della vita, ma soprattutto per quanto riguarda la tradizione letteraria russa, inevitabilmente spezzata. Cos’altro poteva fare Andreev, se non riportare sulla pagina questa insicurezza?
Scriveva Gobetti a proposito di Andreev:
“Non lo possiamo chiamare pessimista […] perché il pessimista ha deciso, è convinto, inesorabilmente, ha fissi i limiti e segnato il campo del reale, ed Andreev invece cerca ancora il luogo, dove sorgerà quella luce che ha intravisto e sperato, che si configura concreta, mentre noi sappiamo che è essa pure illusoria e che perciò, perché non esiste, egli non l’ha mai trovata”.
Valerio Ragazzini
*In copertina: Giuda secondo l’artista polacco Edward Okuń