28 Novembre 2022

“Nei vestiboli dell’ebbrezza da Lsd”. I viaggi lisergici di Ernst Jünger

Galeotto fu il vasetto di miele. Albert Hofmann, chimico intrepido, vince il residuo pudore: il 29 marzo 1947 spedisce a Ernst Jünger, “per il suo compleanno”, un vaso di miele. Jünger, quel giorno, compie 52 anni ed è già un mito, lo scrittore austero e assoluto di Nelle tempeste d’acciaio, Foglie e pietre, Sulle scogliere di marmo, l’avventuriero che riassume in sé, andando al di là, oltre le profezie, l’istinto di Nietzsche e il rigore di Goethe. Hofmann è un suo fan. “Gli scrissi una lettera quale lettore riconoscente”, ricorderà, qualche decennio dopo.

Nel 1938 Hofmann, nel suo laboratorio di Basilea, sintetizza “la dietilammide dell’acido lisergico”. In sintesi, scopre l’Lsd, la droga più famosa del secolo. Soltanto nel 1943, però, quasi per caso, decide di provare la sostanza su di sé. L’esito è sconvolgente. Il 1947 è un anno decisivo perché per la prima volta Hofmann descrive su una rivista specializzata gli effetti fisici dell’“horror trip”:

“stordimento, distorsioni della vista (i volti degli astanti somigliavano a delle maschere dipinte in forme grottesche), viva agitazione alternata con paresi, freddo…”.

Nello stesso anno Werner A. Stoll scrive il primo articolo scientifico sull’Lsd, collegandolo ai poteri alchemici della creazione artistica (“Mi sentivo unito ai romantici e ai sognatori di ogni epoca, pensai a E.T.A. Hofmann, vidi il maelström di Poe…”).

Dopo una serie di cartoline convenzionali, Hofmann affronta di petto la questione con Jünger nel febbraio del 1948. Lo scienziato espone al poeta le meraviglie dell’Lsd (“Se si paragona la nuova sostanza ad altre che sviluppano effetti simili, colpisce innanzitutto la sua straordinaria efficacia”) le cui “allucinazioni cromatiche e gli umori” confermerebbero “la teoria dei colori di Goethe”. Poi si sbottona, denudando l’idea di un tour nel profondo Tibet:

“con una specialità del genere in tasca magari vedremmo schiudersi l’accesso a persone e a eremi che altrimenti resterebbero inaccessibili”.

Jünger, al principio, non abbocca. “Le mie esplorazioni sono terminate con l’hashish, che conduce a uno stato molto piacevole, ma spesso anche maniacale”, scrive il 3 marzo del 1948. E specifica, “mi sono lasciato alle spalle la sperimentazione diretta da molto tempo. Di fatto si tratta di esperimenti con i quali prima o poi si entra in camere davvero pericolose”. Le perplessità dello scrittore sono di ordine pratico: Jünger cerca una sostanza che dilati la sua facoltà immaginativa, senza stordirla, “la prestazione creativa esige una coscienza vigile, e che si affievolisce quando è sotto l’influsso delle droghe”. C’è da credergli. Quell’anno Jünger è preso dalla sua creazione più ardua, Heliopolis. Tra i cui fogli è adombrato un omaggio al chimico svizzero: nella biblioteca fantomatica di Antonio Peri, che “catturava i sogni, come altri danno la caccia alle farfalle”, appare un tomo di farmacologia “di Hofmann-Bottmingen…”.

Jünger incontra per la prima volta Hofmann nell’ottobre del 1949; un paio di mesi dopo il chimico riemerge allucinato dalla lettura di Heliopolis, “sembra inesauribile”, è “il Faust dei nostri giorni”. L’amicizia è matura al punto giusto per un trip. Il primo viaggio a base di Lsd accade, dopo lenta preparazione, nel febbraio del 1951, a casa di Hofmann, a Bottmingen, Svizzera, con le “note del concerto per flauto e arpa di Mozart” in sottofondo. Jünger fu allietato dai “colori di mandala orientali”, lo scienziato era “in viaggio presso le tribù berbere del Nord Africa e contemplavo le carovane colorate e le oasi lussureggianti”. Dopo il viaggio nei paradisi artificiali, i due si avventarono sull’“ottima cena”, bevendo vino di Borgogna a go-go.

L’allucinazione condivisa consolidò un’amicizia inimitabile, “ci ha uniti l’esperienza dell’accesso nei vestiboli dell’ebbrezza da Lsd”, così sigilla quel momento Hofmann, nella lettera del 22 febbraio 1951. Entrambi, racconteranno con piglio diverso l’esperienza: il chimico in Lsd, il mio bambino difficile e Jünger nel suo studio sulle droghe, Avvicinamenti. L’epistolario tra i due, però, uno dei libri rari stampati da Giometti & Antonello, Lsd. Carteggio 1947-1997, ci permette di ricostruire le quinte di un’avventura catartica. Hofmann e Jünger furono i pionieri del regno dell’ebbrezza lisergica, i primi colonizzatori della “conoscenza mistica dell’essere”. Quando arriveranno i Beat e i Beatles, Timothy Leary e la sgangherata squadriglia capeggiata da Allen Ginsberg, quando l’Lsd diventerà una droga pop, sarà la fine della santa liturgia onirica. “Negli Stati Uniti il culto dell’Lsd è diventato oggetto di dibattito nazionale”, scrive Hofmann nel 1966, sconsolato per la “profanazione di una droga sacra”. Jünger, in risposta, nicchia, “Non lo dite a nessuno, solo al saggio: ciò vale anche davanti a questa profanazione”. L’idea di una nuova, fosforescente Eleusi per ispirati va a farsi benedire.

Il 7 febbraio del 1970, a Wilfingen, Hofmann e Jünger condividono il secondo “viaggio con l’Lsd”. “Un gran viaggio”, scrive Hofmann; “si stava bene nel blu trascendentale”, gli fa eco Jünger. Lo scrittore ha 75 anni. Resisterà ancora a lungo. Per i suoi 101 anni, nel 1996, Hofmann regala a Jünger un fungo cinese, “antichissimo simbolo di fortuna”. Ne sono passate di allucinazioni dal vasetto di miele… I due, lo scrittore e il chimico, hanno una scorza formidabile, temprata dalle droghe. Jünger muore nel 1998, un mese prima di compiere 103 anni; Hofmann se ne va nei paradisi dell’oltremondo a 102 anni, nel 2008. Complimenti ai nonni lisergici.

I nonni lisergici…

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Da Albert Hofmann a Ernst Jünger (Kirchhorst) Bottmingen, 9 febbraio 1948

Stimatissimo signor Jünger!

La sua lettera, arrivata proprio il giorno del mio compleanno e per cui la ringrazio di cuore, mi ha procurato un immenso piacere. La possibilità di venire in possesso del suo manoscritto la considero una fortuna che credo di meritarmi solo in quanto quasi nessun altro può trarre più piacere di me da uno scritto simile.

Poiché lei, dopo gli accenni del signor Mohler al mio nuovo allucinogeno, ha manifestato interesse per questo argomento, mi permetto di allegarle un estratto del primo lavoro clinico sull’Lsd.

Come chimico mi occupo da diversi anni dei principi attivi della segale cornuta, una droga che trova applicazione medica già dal Medioevo. La segale cornuta, quei cornetti neri che a volte si tro- vano sulle spighe di segale, è un’escrescenza sul chicco causata dal fungo filamentoso Claviceps purpurea. Nel Medioevo era anche la causa delle tanto temute epidemie di ergotismo durante le quali le membra degli infestati diventavano nere e cadevano. Queste vecchie droghe delle streghe sono ricche miniere per i chimici organici. (…) Anche la dietilammide dell’acido lisergico (Lsd), che all’inizio ho sintetizzato per utilizzarla in sala parto e il cui singolare effetto psichico è stato scoperto per caso solo in seguito, è una variazione dei principi naturali della segale cornuta. Se si paragona la nuova sostanza ad altre che sviluppano effetti simili, colpisce innanzitutto la sua straordinaria efficacia. Per generare uno stato di ebbrezza ne basta circa un decimo della quantità necessaria di morfina o cocaina e un decimillesimo di una dose attiva di mescalina. Durante il mio primo, intenzionale esperimento su me stesso, con una frazione di un millesimo di grammo già credevo di avere oltrepassato la «stazione di dogana». Qualitativamente, l’effetto eidetico, la potenza di evocare immagini interiori, sembra essere per esempio lo stesso della mescalina. Altre due esperienze impressionanti dell’ebbrezza da Lsd sono l’estraniamento dal proprio corpo – la mente e la coscienza sembrano staccate da tutto ciò che è corporeo – e la perdita della cognizione temporale. Mi domando se l’incorporeità a cui ambiscono i mistici tibetani tramite gli esercizi di meditazione sia qualcosa di simile. Sarebbe una allettante spedizione andare alla volta dei maghi dell’altopiano del Tibet muniti di mezzo grammo del mio Lsd, per confrontare l’effetto del moderno farmaco con i vecchi metodi del Champa, dei Gomchen e dei Naljorpa. Con una specialità del genere in tasca magari vedremmo schiudersi l’accesso a persone e a eremi che altrimenti resterebbero inaccessibili.

La saluto con stima,

suo Albert Hofmann

*

Da Ernst Jünger ad Albert Hofmann (Bottmingen), Kirchhorst, 3 marzo 1948

Gentilissimo signor Hofmann,

la ringrazio infinitamente per la dettagliata lettera del 9 febbraio con i due allegati sul suo allucinogeno. In effetti sembra essersi addentrato in territori misteriosi e tentatori. Il suo plico è arrivato insieme a Confessioni di un mangiatore d’oppio, appena pubblicato in una nuova traduzione. L’autore mi scrive che a dargli lo stimolo è stata la lettura di Cuore avventuroso. Per quanto mi riguarda mi sono lasciato alle spalle la sperimentazione diretta da molto tempo. Di fatto si tratta di esperimenti con i quali prima o poi si entra in camere davvero pericolose e c’è da essere contenti se ce la si cava per il rotto della cuffia. Quello che mi interessava di più era il rapporto di queste sostanze con la produzione. Ma ho sperimentato che la prestazione creativa esige una coscienza vigile, e che si affievolisce quando è sotto l’influsso delle droghe. In compenso la fase della concezione è notevole, e si hanno idee irraggiungibili per altre vie. Tra queste annovero anche il bel saggio che Maupassant ha scritto sull’etere.

A proposito, anche io ho avuto l’impressione che durante gli stati febbrili si scoprano nuovi paesaggi e nuovi arcipelaghi, una musica nuova che diventa del tutto chiara quando appare la «stazione di dogana». Per le descrizioni geografiche invece bisogna essere totalmente lucidi. La produzione è per l’artista quello che la guarigione è per il medico. Anche a lui perciò basterà entrare qualche volta in quei territori attraverso i tappeti tessuti dai nostri sensi. Ai giorni nostri, tra l’altro, credo di notare una propensione per gli allucinogeni inferiore a quella per gli energizzanti (tra questi rientra il Pervitin somministrato dagli eserciti ai piloti e ad altri soldati). A mio avviso il tè è un allucinogeno, il caffè un energizzante, perciò il tè ha un rango artistico di gran lunga superiore. Quanto al caffè noto che distrugge quel sottile reticolo di luci e ombre, fugando i dubbi fecondi che emergono durante la stesura di una frase. Le inibizioni di questa vengono scavalcate. Col tè invece i pensieri si arrampicano in modo naturale. Per quanto riguarda i miei «studi», avevo un manoscritto che li raccoglieva, ma l’ho bruciato. Le mie esplorazioni sono terminate con l’hashish, che conduce a uno stato molto piacevole, ma spesso anche maniacale, ovvero alla tirannia orientale.

Con i migliori saluti e auguri,

suo Ernst Jünger

Gruppo MAGOG