“Eccezionale sarebbe l’eleganza di svanire soli al vertice”. Caro Giacomo Rossi Precerutti…
Libri
Vincenzo Gambardella
Aprile non è soltanto “il più crudele dei mesi” – April is the cruellest month – come detta il primo verso della “Terra desolata” di Thomas S. Eliot. Soprattutto, aprile è il mese della morte e della resurrezione. Per questo, Mister Eliot – come (quasi) sempre – aveva ragione nel porre la crudeltà di aprile al principio del poema – titolo della lassa, “La sepoltura dei morti” – perché la “terra morta” “genera lillà”, la vita esiste perché qualcosa muore, la morte, divorata, squilla in nuova luce. Se Eliot, mescolando intuizione a erudizione, si appoggia al profeta Ezechiele, all’Ecclesiaste, a Baudelaire, Delmore Schwartz, straordinario poeta americano, interiorizza quel concetto, rituale. Il rito, in effetti, si compie tutto dentro di sé. Che senso ha il tempo, che fiammeggia e ustiona il passato? Dove sono i morti, ora, che ancora fertilizzano il cerchio del ricordo? E chi sono io, ora, rispetto a ciò che ero, un tempo? La memoria è un incidente, l’atomo della debolezza, o lo stigma della grandezza? Come spesso accade nella grande poesia di Schwartz, un dettaglio quotidiano – la passeggiata al parco, in aprile – sfocia in apocalisse, in una visione dei mondi – “The great globe reels in solar fire” – che ricorda, in questo caso, Yeats. Anche una passeggiata è un processo alchemico. (d.b.)
*
Calmi passeggiamo in questo giorno di aprile
Calmi passeggiamo in questo giorno di aprile,
poesia metropolitana sparsa qui e là
nel parco si accatastano poveri ed ereditieri,
bimbi che urlano, l’automobile che
fugge da noi, scappa,
tra il proletario e il milionario
il Numero abilita ogni distanza,
sono le diciannove e trenta, ora,
svanisce chi ci è caro
e che ne sarà di me e di te
(questa è la scuola a cui ci siamo educati)
al di là di fotografie e memoria?
(…il tempo che fu fuoco, in cui bruciammo).
(Questa è la scuola a cui ci siamo educati…)
Qual è il sé in mezzo alla fiamma?
Cosa sono ora che non fui allora
soffrirò e agirò ancora,
la teodicea che ho scritto nei giorni di scuola
restaura tutta la vita all’infanzia,
i bambini urlano e splendono nella corsa
(questa è la scuola a cui ci hanno educato…)
ipnotizzati in quel gioco fugace!
(…il tempo che fu il fuoco in cui bruciammo).
Famelico di fretta, fiamma vacillante!
Dove sono mio padre e Eleanor?
Non dove sono ora, sono morti da sette anni,
ma cosa erano allora?
Nient’altro? Nient’altro?
Dal 1914 a oggi
Bert Spira e Rhoda si consumano, si logorano
non dove sono ora (dove sono, ora?)
ma cos’erano allora, entrambi, così belli;
ogni minuto esplode nella stanza in fiamme,
il grande globo si annoda nel fuoco solare,
estorce il triviale e l’unico.
(Come scintillano le cose! Come fiammeggia tutto!)
Che cosa sono ora che fui allora?
Possa la memoria restaurare ancora e ancora
il colore più piccolo del più piccolo giorno:
il tempo è la scuola che ci ha educati,
il tempo è il fuoco che ci ha bruciati.
Delmore Schwartz
*La poesia è tratta da: Delmore Schwartz, “Selected Poems (1938-1958): Summer Knowledge”, 1967