Anche David Maria Turoldo ha scritto del Natale, con i suoi verbi impuri e aguzzi, che vanno sgretolati per saggiarne il sangue. “Non credo proprio per nulla ai nostri Natali: anzi penso che sia una profanazione di ciò che veramente il Natale significa, costellazioni di luminarie impazzano per città e paesi fino ad impedire la vista del cielo. Sono città senza cielo le nostre. Da molto tempo ormai! È un mondo senza infanzia. Siamo tutti vecchi e storditi. Da noi non nasce più nessuno: non ci sono più bambini fra noi. Siamo tutti stanchi: tutta l’Europa è stanca: un mondo intero di bianchi, vecchi e stanchi”. Esiste un genere, allievo della profezia, che sviscera la profanazione del Natale: festa diventata agonia del sacro. La casa editrice Servitium, nel 2018, ha raccolto gli anti-pensieri natalizi di Turoldo come Salviamo il Natale. Autentico discepolo di Turoldo, è Espedito D’Agostini ad aver curato quel testo. Mi pare di averlo incontrato, molti anni fa, nel liceo dei Servi di Maria intitolato a San Pellegrino. Ora non esiste più: un mammut di cemento si staglia tra campi rotti, infecondi, rapidi di ratti, a Misano Adriatico, quasi sul mare, di un grigio perenne, oggi. Padre Antonio M. Lazzarin, autentico maestro spirituale – tanto che altri non ne ho più chiesti – mi regalò il Salterio corale “nella proposta poetica di David M. Turoldo”. Padre Antonio, personalità spigolosa, pronto a intrappolarti nell’abisso, a interpellare, sempre, la crisi, con un credo dal vigore intransigenze, ha fatto 90 anni, l’anno passato, dimora a Reggio Emilia. Uno degli inni composti da Turoldo per il Natale è questo, s’intitola Più che parole il silenzio:
Mentre il silenzio fasciava la terra
e la notte era a metà del suo corso,
tu sei disceso, o Verbo di Dio,
in solitudine e più alto silenzio.
Fin dal principio, da sempre tu sei,
Verbo che crea e contiene ogni cosa,
Verbo, sostanza di tutto il creato,
Verbo, segreto di ogni parola.
La creazione ti grida in silenzio,
la profezia da sempre ti annuncia;
ma il mistero ha ora una voce,
al tuo vagito il silenzio è più fondo.
E pure noi facciamo silenzio,
più che parole il silenzio lo canti,
il cuore ascolti quest’unico Verbo,
che ora parla con voce di uomo.
A te, Gesù, meraviglia del mondo,
Dio che vivi nel cuore dell’uomo,
Dio nascosto in carne mortale,
a te l’amore che canta in silenzio.
Certo, Turoldo è noto per gli scoscendimenti nel caos: a volte, inerpicandosi nelle stimmate, pare che il suo Gesù sia un precipizio, uno di quei volti urlanti di Bacon, e prima ancora, i corpi tutti grida e vento di Niccolò dall’Arca. Del Cristo egli estrae l’ambiguo. Così è la poesia che di Turoldo si ama, nient’affatto natalizia. Questa, ad esempio, rovinoso rosario su un tempo che non c’è più:
Ma quando facevo il pastore
allora ero certo del tuo Natale.
I campi bianchi di brina,
i campi rotti dal gracidio dei corvi
nel mio Friuli sotto la montagna,
erano il giusto spazio alla calata
delle genti favolose.
I tronchi degli alberi parevano
creature piene di ferite;
mia madre era parente
della Vergine,
tutta in faccende,
finalmente serena.
Io portavo le pecore fino al sagrato
e sapevo d’essere uomo vero
del tuo regale presepio.
Eppure, padre Turoldo, profeta dell’era bieca, abbacinata da molte apocalissi – “Non è il lamento, non la deprecazione, non la divinazione, è il bisogno di chiamare la storia in giudizio”, ha scritto Andrea Zanzotto a proposito del “profetismo” di Turoldo, che rimbalza le domande vergognose, immani, “Che sei?, dove vai?, perché sei così? sei una deriva che avanti casualmente o mossa da forse ‘ulteriori’, non umane?” – mi sembra, soprattutto, un grande scrittore di inni, pietrificato nel genio medioevale. L’inno non si elettrizza con cieca fede, non levita lì, ha bisogno dal tarlo, di anelare all’oro del bacio, di smembrarsi.
Ma tu non ami la morte
Tu sei venuto fra noi
per mettere in fuga la morte
per snidare e uccidere la morte.
Qui, in calce, un testo di Turoldo, ricalcato da Alessandro Burrone, da condividere.
*
«La tua sinistra non sappia…»
Se il figlio studia, gli danno un premio: se sarà promosso, gli promettono una crociera. Ma non è un dovere il conoscere, il sapere, il crescere in dignità? E non è già una gioia in se stessa la promozione, una gioia tale da essere sprone verso altri studi e conoscenze?
E poi: che ne è di quegli altri, dei poveri che non hanno neppure possibilità di studiare? Oppure, se studiano, devono anche nel contempo lavorare per ‘far fronte’, per non restare indietro e non essere un giorno sopraffatti. È per questi che si istituiscono i premi della bontà? Ancora elemosine? Le briciole che cadono dalla mensa del ricco: quelle monetine sonanti, il cui tintinnio accompagnerà tutta la vita dell’umiliato e dell’offeso. Mentre eleemosýne nel testo sacro significa ‘amore che trabocca’.
Capisco: e se non si fa neppure questo? Le intenzioni sono ‘buone’; ma non si incorre in un altro rischio, quello di corrompere appunto ciò che è buono e insegnare che non vi è altra molla per muovere il mondo che l’interesse? Perché noi lavoriamo per uno stipendio, lottiamo per salvare e ingrandire capitali; facciamo “un’opera buona” e vogliamo subito una commenda o una lapide-ricordo. Persino una “pesca di beneficenza” dev’essere legata a qualcosa da bramare, altrimenti nessuno pesca. E quanti dei nostri atti di religione sono legati appunto a un interesse?
A quando il cantare per il cantare; l’amore per l’amore; e la gioia di dare senza ricevere; e di vincere il male col bene; e magari se il “tuo nemico ha fame, tu dagli da mangiare e, se ha sete, tu dagli da per bere”? E poi dire amen: così, o Padre, perché a te piace (Luca 10, 21). E adorare, appunto, in silenzio; e sentire solo la gioia che tu sei, la tenerezza perché sei buono, anche quando non riusciamo a comprendere; sentirci orgogliosi perché sei veramente grande.
Signore, fa’ che i buoni siano buoni solo per te: perché è comunicare il tuo essere, è diffonderti sulle cose, partecipare te alla vita degli uomini, altrimenti senza gioia e senza valore.
Signore, fa’ che il mondo non corrompa questa gente umile, silenziosa, nascosta; questa gente che fa andare avanti il mondo. Io sono certo che il bene sovrabbonda: perché dove è il delitto ivi straripa la grazia. Sono certo che l’umanità migliora.
Io ho incontrato tanti santi nella vita, per cui ti ringrazio, Signore: per mezzo loro tu continui ad essere fra noi. Le cose sono buone; e dirò perfino che pure quanti fanno il male, forse non sanno quello che fanno.
E però sarebbe ora che anche i grandi e i potenti cominciassero ad essere ‘buoni’; e chi ruba non rubi più; e tutti i diplomatici e i politici, ad esempio, cominciassero a dire sempre la verità; e tutti pagassero le imposte senza imbroglio: e chi amministra i beni di tutti non sciupi e non se ne approfitti; e quanti commerciano, lo facciano con onestà e non si straricchino; l’industriale metta sempre l’uomo avanti le strutture e non le strutture avanti l’uomo; e l’operaio non defraudi il lavoro. E il guerriero finisca di uccidere. Questo sarebbe il più grande premio per i poveri: questo solo essi attendono; e tu, Signore, saresti più contento di abitare in mezzo agli uomini.
Io ora prego perché almeno la bontà sia salvata da ogni strumentalizzazione e la propaganda faccia silenzio su queste cose delicate. E chi dà, dia in silenzio; e chi riceve, riceva come dalla mano di Dio. Chi fa l’elemosina sappia che è lui il beneficato prima ancora di colui che riceve; e chi perdona è una fonte di pace per sé e per il fratello perdonato; è più grande chi perdona di chi si vendica. E chi rinuncia a se stesso è sulla strada del cielo; e non c’è più alta amicizia di colui che pone la sua vita a favore dei fratelli.
E tutto questo in silenzio.
Io ho paura perfino a ricordare mia madre che, racimolato centesimo per centesimo, giorno dopo giorno, nell’estrema ma dignitosa povertà di quegli anni 1928, ’29 e ’30 – anni di favolosa miseria, tanto da apparire oggi incredibile a questa civiltà del consumo e dello scialo (ma scialo per chi? e per quanti?) –, mi diceva: «Ora vai nella chiesa vuota» era di pomeriggio solitamente e in giorno feriale «e mettili nella cassetta di san Giuseppe, perché ora nessuno ti vede!»…
Nessuno si perda d’animo perché il male pare a volte che trionfi sul bene; nessuno si senta defraudato se il beneficato non torna indietro a dirgli grazie. Soprattutto nessuno si faccia forte perché è buono: tutto è grazia di Dio; né rivendichi i sacrifici che ha fatto, altrimenti rovina tutto.
Il bene è Dio, e Dio è il silenzio.
Il Padre mio è sempre all’opera. (Giovanni 5, 17)
Penserà lui a far vedere le vostre opere buone, a sua e vostra gloria.
David Maria Turoldo
(Da: David Maria Turoldo, Pregare «forse il discorso più urgente», a cura di Espedito D’Agostini, Servitium editrice 2020. Seconda uscita della collana Maestri dello Spirito con il Corriere della Sera e Oggi (2021), a cura di Vito Mancuso)