
“Scrivere è come maneggiare il fuoco”. Dialogo con Flaminia Cruciani
Dialoghi
Federico Magrin
L’atlante dei veleni di Heinrich Falk, pubblicato in Italia da Adelphi, si addentra nei più oscuri meandri dell’animo umano, trasformando in narrativa malattie che hanno segnato tre secoli di storia. Il romanzo si pone a metà strada fra il thriller fantascientifico e la riflessione filosofica, inscenando un’epopea che attraversa lo spazio e il tempo.
Heinrich Falk, nato a Berlino nel 1968, ha studiato medicina e psicologia a Heidelberg, dove ha sviluppato un interesse per la storia delle malattie e la loro interazione con la società. Dopo aver lavorato per anni come psichiatra, Falk ha iniziato a scrivere, ispirato dai suoi studi e dalla sua esperienza clinica, attirando già dal suo debutto una grande attenzione per la profondità e l’originalità di pensiero. L’atlante dei veleni – suo quarto romanzo – rappresenta il culmine della carriera, un’opera che unisce la vasta conoscenza scientifica di un uomo la cui sensibilità narrativa sembra essere, oggi, altrettanto rara.
La lingua di Falk è densa, ricca di dettagli, capace di evocare vividamente l’atmosfera dei diversi secoli che fanno da sfondo al dispiegarsi dell’intreccio. La sua prosa è allo stesso tempo lirica e precisa, capace di catturare sia la bellezza che l’orrore dei contesti descritti. I protagonisti del romanzo, tra cui il medico e psichiatra Johannes Kremer, sono delineati con grande cura, ognuno rappresentando un punto di vista unico sulle epoche attraversate. Kremer, in particolare, emerge come figura complessa e tridimensionale: quella di un uomo diviso tra il rigore scientifico e le implicazioni morali delle sue scoperte.
Nel XIX secolo, Falk parlando della tisi, volge l’attenzione alle repressioni sociali e culturali dell’epoca. La società vittoriana, con i suoi rigidi tabù sessuali e le sue norme restrittive, viene evocata con maestria, rivelando come la malattia stessa non possa essere considerato un fatto puramente medico, ma in larga parte anche un riflesso dello Zeitgeist del tempo. In questa sezione del romanzo l’autore riprende le teorie di Michel Foucault citando la sua celebre opera, Storia della follia nell’età classica, dedicata all’analisi del rapporto tra società, meccanismi di controllo e devianza. Segue la descrizione di alcune pratiche mediche diffuse all’epoca, come la masturbazione terapeutica praticata per curare l’isteria femminile, rivelandone le profonde contraddizioni e ipocrisie.
Nel XX secolo l’attenzione si sposta invece sul cancro: malattia che Falk analizza attraverso il linguaggio bellico che permea la terminologia medica. Le metafore di bombardamenti contro la malattia evocano di fatto il lavoro di Susan Sontag in Malattia come metafora, saggio in cui si esplorano le metafore belliche e le relative influenze sulla percezione e sul trattamento delle malattie. Le conclusioni sottolineano come la visione bellica del cancro, oltre ad alienare i pazienti, rifletta anche una società ossessionata dal controllo e dalla vittoria.
Al terzo atto del romanzo si approda invece al XXI secolo: momento in cui si fronteggia la pandemia del Covid-19 – associata al disturbo paranoide di personalità. In un’epoca di iperconnessione, la paura del contagio ha portato a un isolamento paradossale, in cui le relazioni sociali si svolgono attraverso schermi e reti digitali. Questo desolante scenario richiama le teorie di Zygmunt Bauman sulla società liquida, in cui le connessioni umane sono fragili e transitorie. L’autore esplora come la paranoia e l’ansia collettiva si siano radicate nel tessuto sociale, portando a un isolamento che sembra riflettere gli echi del citato disturbo mentale.
L’atlante dei veleni si inserisce dunque in una tradizione letteraria che trova in veste di pilastri opere come L’uomo senza qualità di Robert Musil, dove la riflessione e l’analisi filosofica e psicologica si fondono in un affresco della condizione umana. Heinrich Falk dimostra una lodevole padronanza della materia, intrecciando riferimenti a psicologi e psichiatri esperti in psicologia dinamica – come John Bowlby e Donald Winnicott – per dare vita a un’opera che restituisce al tempo stesso un’indagine storica e una riflessione sulle malattie dell’anima.
Nicolò Locatelli
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Per gentile concessione pubblichiamo un brandello da “L’atlante dei veleni” di Heinrich Falk
Johannes Kremer era seduto alla scrivania del suo studio, la luce della lampada a olio proiettava lunghe ombre sulle pareti. Le sue mani, coperte da guanti di pelle, scorrevano sulle pagine ingiallite di un referto del XIX secolo. Ogni parola sembrava sussurrare segreti dimenticati, eco di un tempo in cui la tisi e la tubercolosi erano demoni invisibili che divoravano i corpi e le anime.
La società vittoriana, del resto, era un labirinto di rigide norme e soffocanti repressioni. Kremer ricordava con chiarezza, dal suo ultimo viaggio, i corridoi e le stanze degli ospedali in cui figure diafane giacevano consumate nei loro letti.
Una figura in particolare riaffiorava spesso nella mente di Kremer. Elisabeth, una giovane paziente dai lunghi capelli scuri e gli occhi pieni di febbre ardente. Elisabeth, che a bassa voce confessava desideri proibiti e sogni spezzati, il respiro affannoso segnato dal progredire della malattia.
“Dottore,” sussurrava, “ogni respiro è una lotta”.
Kremer sapeva che non era solo il batterio a consumarla, ma la stessa società che la circondava. Le terapie dell’epoca, spesso crude e invasive, riflettevano una comprensione limitata della malattia.
Kremer aveva osservato queste pratiche con un misto di orrore e fascinazione, consapevole delle profonde contraddizioni che le sostenevano.
“Elisabeth,” rispose, “la malattia è un riflesso del mondo in cui vivi”.
Le parole di Kremer erano cariche di una tristezza profonda. Sapeva che Elisabeth non avrebbe compreso. Sperava solo di offrirle una qualche forma di conforto.
“Ma la tua sofferenza,” continuò, “non è vana”.
Kremer chiuse il libro per dirigersi verso la finestra. Fuori, la nebbia mattutina che avvolgeva le strade di Londra veniva come sempre spazzata via dagli SweepBoops governativi. Con un sospiro, tornò alla scrivania. Aprì un nuovo taccuino.
“Il nostro compito è illuminare. Comprendere. Guarire”.