Il gioco inizia in Albione. In un vasto articolo pubblicato sul “Guardian”, Dorian Lynskey si domanda “Is the political novel dead?”. A partire da lì, s’è fatta una sbrigativa analisi su ‘Il Giornale’, domenica scorsa. Qui, piuttosto, senza troppe fregole nell’identificare il valore dell’aggettivo “politico” (né ‘partitico’ né sociologico: che investighi il governo, la sua arte del torcere, tra glorie e storpiature), proponiamo una lista di libri belli (con esagerazione implicita). Fate dunque il vostro gioco. (d.b.)
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I 10 romanzi “politici” più belli di sempre
Alessandro Manzoni, “Storia della colonna infame”
Fosse di un altro paese, eleveremmo Manzoni a una specie di Dostoevskij – senza viscere tra le dita, certo, ma con stile più glorioso. Però, siamo in Italia, Lucia non è Anna Karenina né Emma Bovary, Renzo non ha la statura di Stavrogin. A rileggere senza paraocchi scolastici la corrusca Storia della colonna infame – scrittura ‘saggistica’, di lancinante crudeltà – capiremmo perché il male più crudo accade ‘a fin di bene’, tramite intelletti sofisticati. Micidiale l’accusa al sistema della giustizia: “Per trovarli colpevoli, per respingere il vero che ricompariva ogni momento, in mille forme, e da mille parti, con caratteri chiari allora com’ora, come sempre, dovettero fare continui sforzi d’ingegno, e ricorrere a espedienti, de’ quali non potevano ignorar l’ingiustizia”. Fu il libro ‘da comodino’ di Sciascia e di Gadda, appunto.
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Carlo Dossi, “Note azzurre”
Lo zibaldone più corrosivo della letteratura italiana, fiera dei sensi e dei linguaggi, ricca di spunti letterari (es. “L’arte di un autore, sta nel cancellare”). Lo scapigliato Carlo Dossi – o meglio: Alberto Carlo Felice Pisani Dossi – per mestiere conte, fu segretario particolare di Francesco Crispi, poi console generale a Bogotà e ambasciatore in Atene (dove lo andava a trovare d’Annunzio). Le sue ‘note’ sono un groviglio di osservazioni politiche (es. sui ‘poteri oscuri’ della politica: “Nella politica è come sul teatro. Vi ha gli autori che scrivono le opere da recitarsi e non appajono sul palco; e gli attori che le recitano pubblicamente e non le hanno scritte”). Salutare.
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Pier Paolo Pasolini, “Petrolio”
In PPP anche la poesia, dopo le tenerezze friulane, è eminentemente ‘politica’. Petrolio nell’anormalità e nell’inclassificabile – regesto di visioni dove cronaca e onirico, apocalisse e dato schietto di stuprano a vicenda – è il culmine della ricerca narrativa di PPP. “Voglio rimettermi a scrivere. Anzi, ho ricominciato a scrivere. Sto lavorando a un romanzo. Deve essere un lungo romanzo, di almeno duemila pagine. S’intitolerà Petrolio. Ci sono tutti i problemi di questi venti anni della nostra vita italiana politica, amministrativa, della crisi della nostra repubblica”. Un gorgo.
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Leonardo Sciascia, “L’affaire Moro”
Riteneva la Storia della colonna infame la quintessenza della letteratura italiana, tentò, con i suoi libri, di scovare gli untori, di sconfiggere gli untuosi politicanti, Sciascia. Fu parte della Commissione d’inchiesta sulla strage di via Fani e sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro: parlando delle lucciole di Pasolini, di Stendhal, di Borges, lo scrittore fa precipitare la politica nel romanzo. “Per il potere e del potere era vissuto fino alle nove del mattino di quel 16 marzo. Ha sperato di averne ancora”.
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André Malraux, “Antimemorie”
Più che una autobiografia, un romanzo agiografico, donchisciottesco, narcisista, caravaggesco. Il vero capolavoro di André Malraux. Ambientato tra Pechino e Parigi, tra Saigon e l’Alsazia, tra Delhi e Guadalupa, narra – con stile burrascoso, estremista – i rapporti tra Malraux e De Gaulle, gli incontri con Nehru, la “Lunga marcia” di Mao, il sottosuolo del potere, tra intrighi e agnizioni. “Qui non attendo di ritrovare nient’altro che l’arte e la morte”. Pubblicato da Bompiani nel 1968, ovviamente introvabile.
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Vasilij Grossman, “Tutto scorre…”
Libro necessario per capire l’atavica stortura del sistema sovietico e la tenerezza della resistenza. “Nel carattere di Stalin, in cui l’asiatico si fondeva con il marista europeo, si esprimeva il carattere del sistema statale sovietico… Nella sua incredibile ferocia, nella sua incredibile perfidia, nella sua capacità di fingere e di fare l’ipocrita, nel suo livore e nel suo spirito di vendetta, veniva fuori, in Stalin, il satrapo asiatico”.
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Ayn Rand, “La rivolta di Atlante”
Ribelle al pensiero totale, refrattaria a ogni forma di ideologia politica e letteraria, Ayn Rand pubblica il suo capolavoro, Atlas Shrugged, nel 1957. Una distopia drammaticamente attuale. Da leggere insieme a Heliopolis di Ernst Jünger. Per rendere più cristallino il nostro sguardo. D’altronde, la letteratura americana è intensamente ‘politica’. Tra i romanzi forti del contemporaneo, va detto di Underworld (1997), firma Don DeLillo, La macchia umana (2000) di Philip Roth, il ciclo “Seven Dreams” di William T. Vollmann, polimorfica storia, per visioni e omicidi, ammissioni ed elusioni, del continente americano.
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Ahmadou Kourouma, “Aspettando il voto delle bestie selvagge”
Ivoriano, feroce fino al midollo, con questo libro, del 1998, ci s’immerge nello sfacelo delle dittature africane. Mi colpì, più di altri autori analoghi – il grande vecchio Chinua Achebe, ad esempio – fino alla mistura del sangue, perché pare mescere Riccardo III ai racconti d’alchimia tribale, dei griot. Un libro analogo, ma d’altra sponda oceanica, è La fine della storia di Liliana Heker (di prossima pubblicazione Theoria) che racconta da dentro, con scrittura modernista, la dittatura militare argentina.
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Elias Canetti, “Massa e potere”
“Nulla l’uomo teme di più che essere toccato dall’ignoto”: per capire i meccanismi della politica, Canetti scrive questo libro epocale, era il 1960, un po’ trattato antropologico, un po’ visione, un po’ evasione narrativa. Scrittura grandiosa, piena di rivelazioni, di fiamme, che scova la stortura del potere nei nostri singoli gesti, nella postura, nelle mani (“Tutte le distanze che gli uomini hanno creato intorno a sé sono dettate dal timore di essere toccati. Ci si chiude nelle case, in cui nessuno può entrare: solo là ci si sente relativamente al sicuro”).
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Thomas Mann, “Considerazioni di un impolitico”
Una raccolta di saggi che si leggono come un romanzo, necessario antidoto alle idiozie parlamentari quotidiane. “L’arte, come la religione, rientra nella sfera umana; davanti a lei la politica dilegua come nebbia al sole… indenne alla politica resta la dignità dell’uomo: è una sciocchezza credere che sotto una repubblica si viva con ‘maggior dignità umana’ che sotto una monarchia. Eppure, si è politici solo a patto di credere in questa sciocchezza”.