L’antidoto è tutto in una parola. Basta un granello di polvere per tirare due starnuti e liberare la mente dalla sporcizia. Per chi è “anti” ed è quindi “av_anti”, magari senza saperlo, non servono antistaminici ma parole, inganni per gli occhi, sorrisi per la mente. Come Eugène Ionesco quando nel 1950 scrisse “La cantatrice calva”, piccolo, meraviglioso capolavoro purtroppo poco frequentato in Italia (ma è rappresentata ininterrottamente dal 1957 al teatro de la Huchette a Parigi). “Scrivendo questa commedia (poiché tutto ciò si era trasformato in una specie di commedia o anticommedia, cioè veramente la parodia di una commedia, una commedia nella commedia) ero sopraffatto da un vero malessere, da un senso di vertigine, di nausea. Ogni tanto ero costretto ad interrompermi e a domandarmi con insistenza quale spirito maligno mi costringesse a continuare a scrivere, andavo a distendermi sul canapé con il terrore di vederlo sprofondare nel nulla; ed io con lui”, ha raccontato lo stesso Ionesco, aggiungendo: ‟Non ho mai capito la differenza che si fa tra comico e tragico. Essendo il comico l’intuizione dell’assurdo, esso mi sembra più desolante del tragico. Il comico non offre scampo”.
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L’incipit, la didascalia implicita, è una lama:
“Interno borghese inglese, con poltrone inglesi. Serata inglese. Il signor Smith, inglese, nella sua poltrona e nelle sue pantofole inglesi, fuma la sua pipa inglese e legge un giornale inglese accanto a un fuoco inglese. Porta occhiali inglesi; ha baffetti grigi, inglesi. Vicino a lui, in un’altra poltrona inglese, la signora Smith, inglese, rammenda un paio di calze inglesi. Lungo silenzio inglese. La pendola inglese batte diciassette colpi inglesi”.
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Ma ben prima di Ionesco un italiano poco italico e molto acuto si è scagliato contro “Pi Randello”, scardinando e cuocendo a bagnomaria nell’acquasantiera l’arte del Nobel siciliano. Si chiama Anton Germano Rossi, è nato il 29 maggio 1899 a Paaavma ed è morto nel 1948: in meno di mezzo secolo di vita ha lasciato un segno indelebile ma invisibile agli occhi di chi annega nelle pagine degli scrittori di strillo. In comune con il genio di Girgenti, a naso e senza entrare troppo tra le righe, le novelle (che in Rossi diventano “anti”) e qualche riflessione sull’umorismo.
Il passaggio di Pirandello è noto a tutti ma è lungo quindi giova ricordarlo: “Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico”.
Il pensiero di Rossi è meno celebre:
“Quello che impropriamente si chiama umorismo, e che sarebbe l’arte di far apparire come naturale ciò che non dovrebbe normalmente accadere, non può in letteratura essere arte staccata, ma è uno dei mezzi dello scrittore”.
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A circa 35 anni, siamo nel 1934 (e quindi in pieno Ventennio), Anton Germano Rossi dà alle stampa Porco qui, porco là per la casa editrice Corbaccio: una raccolta di antinovelle in cui, con sottile umorismo, si beffa della censura e prende per il culo le convenzioni e il conformismo. Scrive Giuseppe Ciarallo:
“I racconti di Rossi suonavano come una sonora pernacchia nei confronti delle tronfie parole della propaganda. Fu solo grazie alle atmosfere surreali in cui i militari di Rossi si muovevano con finto (artefatto) candore, che probabilmente venne risparmiata all’autore l’infamante accusa di disfattismo e la conseguente pena che tale tipologia di reato prevedeva”.
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Anton Germano Rossi oggi è quasi dimenticato dai critici e dall’intellighenzia, nonostante una gloriosa carriera tra la carta stampata: ha scritto su Marc’Aurelio, ha fondato Il Giornale delle Meraviglie, è stato direttore de Il Caffè e ha collaborato per La Stampa. Per fortuna esistono i mercatini dell’usato e gli svuotasoffitte che talvolta recuperano gemme preziose (tra i miei ritrovamenti, nel tempo, anche Pirandello o la stanza della tortura di Giovanni Macchia a tre euro) e li mettono sotto i miei occhi miopi.
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“Le contronovelle vanno molto più in là di un espediente per divertire: volevano essere la satira di un mondo fossilizzato; quando furono scritte cercavano di rendere quel qualcosa di staccato e di automatico che si era formato nel sentimento della gente, volevano sintetizzare l’esasperato convenzionalismo che era in ogni gesto e in ogni atto della società, che per tre quarti sulla via della pazzia, si credeva perfettamente sana”. Anton Germano Rossi.
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Nell’anno XII del Fascismo, esattamente nel mese di settembre, esce Porco qui, porco là dove si incontrano personaggi bizzarri e originali tracciati in uno stile antiletterario, quasi nuovo. Troviamo persone di una certa età lanciate fuori dai finestrini di un treno, ma anche un signore “temperino” che fa la punta a due ragazze poppute, un callista ammogliato e figliato che tormenta il callo di una donna.
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“Scusi” domandò il vecchio signore di provincia al guidatore della corriera, “potrei passare da Fesso?”.
“Faccia vedere” disse il guidatore della corriera pigliando dalla mano del vecchio signore di provincia il biglietto, e andandovi uno sguardo. “No!” disse poi, “lei non può passare da Fesso”.
“Di già che c’è” domandò un altro viaggiatore mostrando il biglietto “io ci posso passare?”.
“Lei sì” rispose il guidatore della corriera. “C’è passato altre volte?”.
“Altroché!” esclamò sorridendo l’altro viaggiatore: “Ci passo tutti i giorni”.
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(Il titolo del libro è preso da una battuta dell’antinovella Fraternità d’alto mare)
Alessandro Carli