16 Giugno 2021

“Votato al servizio, allo smisurato…”. Dialogo con Alessandro Orlandi, editore

Roma, primavera 2017, ancora lontani dalla pandemia. Ex matematico, nel 2007 decide di investire tutte le proprie risorse nella creazione di una casa editrice in grado di precorrere i tempi. Con La Lepre è uscito nel 2009 Il corteo di Dioniso, uno degli ultimi libri di Vincenzo Consolo, ed è proprio a Consolo che mi ispiro quando mi rivolgo a l’“editòre”, con la “o” ben aperta, alla siciliana, come usava salutarlo il grande scrittore al telefono: “Buongiorno, editòre!”. È l’unica persona che conosco capace di sconnettersi dalla realtà e di ritornarvi con inquietante velocità dopo pochi secondi. Scongiurare incresciosi disgiungimenti mentali è il motivo per cui ha smesso di dedicarsi alla matematica. Con La Lepre edizioni è uscito nel 2017 L’oscura allegrezza, il mio primo romanzo. Lo incontro in un caffè vicino a Canton de’ Fiori. L’editòre ed io ci intendiamo a meraviglia, con lui posso ridere fino alle lacrime per un dettaglio che capirebbero solo altre cinque persone al mondo e quando riusciamo a trascorrere del tempo insieme fra Parigi e Roma, siamo sempre molto felici. Abbiamo concluso che è di certo perché ci conosciamo già da cinquecento anni

1. Come ti chiami, e perché i tuoi genitori hanno scelto proprio questo nome?

Alessandro Orlandi – Mi chiamo Alessandro Orlandi… Mi sembra di ricordare perché qualche antenato mio si chiamava così (pausa) …da parte di padre. Anzi sì, il mio bisnonno: mi sono ricordato!

2. Se non ti chiamassi in questo modo, che nome sceglieresti se potessi prenderlo in prestito ad un personaggio storico o reale del passato o del presente?

Alessandro Orlandi – Bertrand, mi piacerebbe (risponde, pronunciando il nome alla francese). Ogni tanto ci ho pensato… Da ragazzo ho avuto un’ammirazione per Bertrand Russell. Però l’avrei francesizzato, perché per un italiano chiamarsi con un accento inglese, non funziona… (Ride).

3. Sai che questa intervista anticipa il mio prossimo progetto letterario in cui sono intervistate persone note o sconosciute che avrebbero potuto condurre una vita comoda e vivere con tranquillità e facendo finta di nulla, ma che han deciso di sobbarcarsi rischi, disagi di ogni genere ed il biasimo della famiglia, degli amici e\o della società, per aver compiuto scelte ‘scomode’. Tu, secondo te, perché sei seduto su questa sedia e stai per essere intervistato?

Alessandro Orlandi – Per questi motivi che hai appena detto, perché mi sono attenuto rigidamente al tuo menù fin dal primo momento della mia vita (ride). Perché le tre attività che ho contemplato nella mia vita, anzi le quattro, sono state: il poeta quando ero molto piccolo, e questo faceva disperare mio padre, il musicista quando ero un pochino più grande, e questo faceva disperare tutti, il matematico, e questo non faceva particolarmente piacere a nessuno e inoltre potenziava tantissimo la mia tendenza ad essere distratto, e infine l’editore, che delle quattro è stata la scelta più disastrosa.

M.D. – Disastrosa? E perché?! (Gli chiedo sorpresa).

A.O. – Certo, la scelta è magnifica dal punto di vista dell’anima e del divertimento, ma è disastrosa dal punto di vista economico! (Ride). D’altronde non ho mai puntato a far soldi… (Motivo per cui tutti lo stimano, penso fra me).

4. Ne L’Arte della guerra, scritta fra il 1519 e il 1520, Machiavelli diceva che “Gli uomini che vogliono fare una cosa, debbono prima con ogni industria prepararsi per essere, venendo l’Occasione, apparecchiati a soddisfare a quello che si hanno presupposto di operare”. Nelle piccole cose, o ancor più nelle grandi, è sufficiente impegnarsi con ogni industria, con grande zelo, tenacia e ostinazione, o si ha anche bisogno dell’Occasione?

Alessandro Orlandi – Allora… Prendiamo la mia ultima attività che è quella di editore. Effettivamente con mia sorella, quando aprimmo la casa editrice, nel 2007, passammo un intero anno a non pubblicare niente e a preparare il piano editoriale, la distribuzione, la grafica eccetera, eccetera. Il che ha pagato negli anni successivi, perché abbiamo avuto un successo da 50.000 copie l’anno dopo. Però ci sono eventi che, per quanto uno si industri e si prepari – prendiamo per esempio la crisi dell’editoria o l’elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti – per quanto uno lo possa prevedere, non ha il potere di cambiare il corso degli eventi. E quindi… l’Occasione è anche importante. Apparecchiarsi non è esaustivo.

Alessandro Orlandi con Manuela Diliberto; photo Cristina Dogliani

5. A cosa pensi, cosa provi nei momenti più duri quando hai tutti contro e le critiche si abbattono numerose? A quale forza ti sei aggrappato?

Alessandro Orlandi – Allora, di avere tutti contro mi è capitato sia quando mi sono occupato di un museo lavorando fino a mezzanotte non pagato, che nell’editoria. In questi casi mi aggrappo all’idea del servizio: la sensazione che il mio lavoro sia un servizio reso a qualcosa e che travalichi la mia misera esistenza dotata di principio e fine, mi dà una forza smisurata… In questo modo mai defletterei dal mio obiettivo! Se invece ho la percezione, e anche questo è successo, di agire solo in nome di me stesso, allora è molto più difficile trovare la forza necessaria. Del resto era il motto dei Templari, se non ricordo male: “Non nobis, domine, sed nomini tuo da gloriam”.

6. Cosa fa la differenza fra il decidere di intraprendere la via più tortuosa e, invece, il far finta di niente?

Alessandro Orlandi – Far finta di niente, non mi appartiene. Se non altro – non per attribuirmi meriti che non ho – per un difetto: una curiosità smisurata. Chi è molto curioso non riesce a far finta di niente! Può riuscirci per qualche tempo, ma poi…

M.D. – E la via tortuosa?

A.O. – La via tortuosa, spesso, è quella giusta, perché ci sono dei tempi per la realizzazione delle cose. E se i tempi non sono maturi, la via dritta ti porta a sbattere contro la parete. Quindi la via tortuosa è anche saper aspettare, la pazienza e prendere una via secondaria che porta alla stessa meta e fa parte del senso della strategia… anche della strategia della guerra. A questo proposito, c’era pure un altro libro che si chiamava L’Arte della guerra di Sun Tzu (IV secolo a.C. circa) e che era ancora più profondo di quello di Machiavelli. Un libro straordinario, di grande spiritualità, che insegna la quinta essenza della strategia… Chiunque si ponga il problema profondo del significato spirituale dell’agire, dovrebbe leggerlo!

7. Una grande pena, una grande apprensione o una grande paura, possono giustificare la defezione da una scelta che in determinate circostanze può rivelarsi fatale sia per se stessi che per la collettività? Fino a che punto ci possiamo scusare quando a pagare per la nostra inerzia è anche qualcun altro?

Alessandro Orlandi – Diciamo che dietro le nostre scelte c’è una bilancia invisibile e che non tutte le scelte hanno lo stesso peso specifico: ci sono scelte come quella di salvare vite umane o di rovesciare una situazione intollerabile non solo per se stessi. Quindi tenderei a rispondere come ho già risposto prima a proposito dei momenti difficili in cui tutto sembra essere contro di noi: anche in questo caso ci porteremo dietro un senso di colpa che ci seguirà per molti anni se facciamo delle scelte che possono nuocere ad altri. Quindi la forza si trova sempre nel “senso del servizio”. L’inerzia, in questi casi, non è giustificabile ma, a volte, comprensibile… che è diverso da giustificabile! È difficile perdonarsi se si ha avuto paura e si è perso il momento decisivo. A meno che non si tratti di cosa da poco!

8. Un mio conoscente conserva ben in mostra fra i suoi libri, nella libreria del suo salone, una copia di Mein Kampf. Davanti al mio stupore e alle mie domande ha spiegato seraficamente che si tratta dell’omaggio che i suoi genitori ricevettero il giorno del loro matrimonio in Germania, negli anni ’30, come si usava fare per le coppie di giovani sposi, e che per lui non si tratta che di un caro ricordo di famiglia, e niente di più. Pensi che la sua spiegazione e la sua scelta siano comprensibili e legittime?

Alessandro Orlandi – Guarda, ti rispondo di no perché ho avuto un caso quasi identico. Una mia amica, professoressa di filosofia, ha messo come libro obbligatorio nella sua classe Mein Kampf e la cosa è finita sui giornali, in televisione… Questa aveva un passato di sinistra e ha giustificato la sua scelta dicendo che era un modo per dare una comprensione a tutto tondo del periodo, eccetera… Però esistono oggetti, segni, che conservano tutta la negatività che è appartenuta alla loro storia e che ne diventano simboli. Ignorare questo secondo me significa avere un difetto dell’anima. In particolare metterlo in vista nella propria casa, per quanto legato alla propria storia… vedi che torna sempre questo fatto del servizio e della causa più grande? Cioè, tu privilegi la storia particolare della tua famiglia rispetto alla storia di milioni di persone che hanno sofferto e sono state danneggiate. Io questo non lo trovo comprensibile, vuol dire che c’è, appunto, un difetto dell’anima, uno strabismo pericoloso.

9. Se non fossi te ma fossi un’altra persona e ti incontrassi e avessi occasione di conoscerti un po’, con che parole descriveresti Alessandro? Che descrizione ne daresti?

Alessandro Orlandi – Mi piacerebbe pensare di colpirmi per il senso dell’umorismo. Di notare questo nell’altro me stesso e che l’altro me stesso notasse questo in me. Perché alla fine questo senso dell’umorismo per me consiste nella capacità di vedere simultaneamente più livelli della realtà. Prima ho parlato di strabismo negativo, adesso parliamo di strabismo positivo, e quindi di un’apertura della coscienza. E non c’è niente come il senso dell’umorismo per fare da discrimine fra le persone di spirito e quelle che invece di spirito non ne hanno.

10. Se non fossi Alessandro Orlandi, chi vorresti essere?

Alessandro Orlandi – Un filosofo greco del V secolo a. C. (Dice tutto di un fiato e senza esitare. Ridiamo insieme). Dico seriamente.

M.D. – Proprio del V! (Ripeto, prendendolo un po’ in giro).

A.O. – Sì, proprio del V a.C. (Risponde serio) …Perché i presocratici, come dice anche il filosofo Giorgio Colli (1917-1979), sono riusciti a coniugare la razionalità con l’ispirazione del daimon, della divinità.

M.D. – E tu ti ritrovi in questo?

A.O. – Sì, sì, anche perché io sono così… scisso. Metà di me è razionale, l’altra metà è mistica. I presocratici, almeno dai frammenti che ci sono arrivati, riuscivano a fondere questi due aspetti apparentemente antitetici. Anche perché oggi chi è ispirato solo dagli dei finisce in manicomio o… scrive su Facebook! (Scoppiamo a ridere).

Domanda Personale. Cosa rappresenta per te esattamente la tua casa editrice?

Alessandro Orlandi – La mia intervista si sta rivelando una ripetizione (dice, come se i segni del suo mondo fossero chiari e lineari). Con i miei lavori precedenti che sono stati l’insegnamento prima e l’accudimento dell’ex Museo Kircheriano dopo, ho sperimentato un servizio. Nel caso del mio nuovo lavoro, fra l’altro preannunciato in un sogno, sperimento di nuovo un servizio, anche se il servizio di una cosa diversa. Non si tratta più di restituire alla vita un patrimonio immenso qual era quello del museo, cosa che ho fatto per vent’anni, ma, come si intuisce dal motto che caratterizza la mia casa editrice, “Praecurrit Fatum”, di arrivare prima del destino, di percepire sia nella letteratura che nella saggistica quei testi che ci aiutano ad avere una visione, una risposta alle sfide che ci pone il tempo e che possano parlare alla nostra anima. Il fatto di scoprire questi libri e pubblicarli è una gioia immensa: sento che la mia vita non è sprecata e so che mettermi al servizio di questo è cosa giusta.

Manuela Diliberto

*In copertina: Alessandro Orlandi, editore, in un ritratto fotografico di Cristina Dogliani. 

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