13 Febbraio 2019

L’uomo che ha fotografato Woody Allen, Michael Jordan, Tinto Brass e il “solista del mitra”: dialogo con Alberto Bortoluzzi

Hai fotografato Woody Allen? Inizio così, vagamente curiosa e un tantino gelosa, il mio dialogo con il fotografo e giornalista Alberto Bortoluzzi. Naso leggermente aquilino, un pizzetto brizzolato, lo sguardo da ragazzino, divertito e originale. Una laurea in Scienza Geologiche nel 1987, poi la scelta di dedicarsi completamente alla fotografia. Ha collaborato con molte riviste nazionali, pubblicato diversi libri e ha realizzato mostre; tra le varie una a Palazzo Reale a Milano sul cinema, nel 2010.

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Ci diamo appuntamento al bar, la finestra si affaccia su un incrocio, un paio di semafori e le automobili che sfrecciano a tutta velocità, lui che si beve un’aranciata amara (una scelta d’altri tempi), io un caffè amaro, mentre osservo la sua felpa, rossa, Think Pink. Anche se oggi molti si dicono fotografi, per ora non ne conosco uno che possa dire di aver fotografato lui, il regista Woody Allen, uno dei mostri sacri viventi. Ma Bortoluzzi ne parla come se niente fosse, come un seduttore parla di una sua conquista importante, con lo stesso sguardo sornione, mentre accarezza il ricordo e lo racconta agli amici. Milano, Teatro degli Arcimboldi, qualche anno fa, il 2005 (tra l’altro, scopro che Allen si esibirà di nuovo lì a fine giugno: sono ancora in tempo). La sua orchestra si chiama New Orleans Jazz Band e lui suona il clarinetto.

Com’era? “Woody Allen era molto schivo, forse anche un po’ stronzo, almeno per noi che dovevamo ritrarlo. Gli organizzatori avevano dato il permesso di fotografarlo soltanto per i primi due pezzi e noi fotografi dovevamo rimanere ai lati del palco. Lui, per tutta la durata dei primi pezzi, teneva gli ‘occhi bassi’, una fatica bestiale riuscire a cavarne qualcosa”.

Come sei riuscito poi a immortalarlo? “Alla fine del primo pezzo, ho pensato: non ho niente da perdere, eludendo la security, mi sono buttato sotto il palco, a pochi metri da lui. Ad un certo punto, Woody Allen si è girato verso il musicista al suo fianco per chiedergli qualcosa ed è lì, in quell’istante, che è diventato mio”. Sei riuscito ad incontrarlo? “L’ho atteso davanti ad una porta secondaria, da dove sarebbe dovuto uscire, è arrivato anche l’allora sindaco di Milano, Gabriele Albertini, abbiamo atteso a lungo, invano, e poi abbiamo desistito”.

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Molte fotografie sono frutto del caso e di un pizzico di fortuna, Bortoluzzi spesso ha conquistato uno scatto in modo rocambolesco, come quando ha fotografato Michael Jordan, al Palatrussardi a Milano: “avevo con me una macchina Hasselblad 6×6, una follia, con rullo 120 in bianco e nero, quando già imperava il digitale. Intorno a Jordan c’erano guardie del corpo, dei neri a dir poco enormi (Alberto Bortoluzzi non è certo esile o di bassa statura, ndr). In più avevo un obiettivo corto (altra follia), tutti avevano scelto i teleobiettivi. I gorilla impedivano alla folla di fotografi di avvicinarsi a Michael Jordan. Anche questa volta un fotografo ha saltato le transenne e siamo scattati tutti verso di lui. Uno della security, che come stazza sembrava un giocatore di baseball americano, continuava a riempirmi di gomitate nello stomaco. Gli ho promesso che se la smetteva, non mi sarei più mosso da quel punto e finalmente ho ripreso a respirare. Pochi istanti e Jordan si è alzato per uscire dal campo; uno scatto a vuoto (mannaggia le macchine vecchie!) e poi il flash finalmente è partito, un piccolo miracolo, lo scatto di lui che saluta quando ormai non ci speravo più”.

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Faccio scorrere il dito sullo schermo del cellulare, mi sono collegata al suo sito (www.albertobortoluzzi.com), nella sezione Portaits, ci sono i ritratti, e dietro a ciascun volto, la storia di un incontro. Personaggi particolari, con un certo carattere, come il celebre alpinista Reinhold Messner: “tutti questi personaggi hanno in comune un certo carisma, come Messner, con quel suo italiano ruvido che ho conosciuto al teatro Condominio di Gallarate, in occasione di una sua conferenza”. O ancora con Tinto Brass venuto a Varese per la proiezione di un suo film. “L’ho fotografato poi a casa mia. È bastato un attimo che una intera bottiglia di Prosecco fosse finita. Pensando a lui, mi ero procurato un manichino femminile completamente nudo”. Nella fotografia di Bortoluzzi, Tinto Brass, con sguardo compiaciuto e sigaro acceso, rimira la bella e calva modella senza veli.

I ritratti sono diversi, industriali come Saturnino De Cecco, tanti gli sportivi, artisti, giornalisti, Dan Peterson, Valentino Rossi, Giovanni Soldini, Gualtiero Marchesi, c’è anche Luciano Lutring che sussurra sh alla canna di una pistola, lui il “solista del mitra”. “Ho passato un intero pomeriggio a casa sua, dipingeva e scriveva libri noir. Non avevo paura. In qualche modo mi affascinava. Ricordo le sue mani, aveva mani che sembravano badili. Mi ha raccontato la storia della sua prima rapina, avvenuta per sbaglio. Adorava la nonna che lo mandava sempre a pagare le bollette. Un giorno, in un ufficio postale nessuno lo prendeva in considerazione, così ha sbattuto talmente forte il pugno sul tavolo che hanno pensato fosse una rapina, vedendo la pistola alla cintura. Ma la pistola era senza caricatore, la usava per fare il figo con le ragazze. Gli è sembrato così facile fare una rapina che, a questa, ne sono seguite molte decine. Gli hanno dato due ergastoli e poi l’amnistia. In cella, per tirare su quattro soldi, si era messo a disegnare fumetti porno, mi ha raccontato che il direttore del carcere ordinava di rastrellare le gabbie per leggersi l’ultima creazione di Lutring”.

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La magia della fotografia è quella di fermare il tempo e, come si dice, se si è bravi, di rubare l’anima. Così chiedo ad Alberto Bortoluzzi com’è andato l’incontro con Mike Bongiorno, a Mediaset. “Una persona gentilissima, un uomo d’altri tempi, un vero professionista. Una delle cose che più mi aveva colpito di lui, ormai molto vecchio, era vedere la sua trasformazione quando saliva in scena, era come se venisse alimentato dalla corrente, quando scendeva dal set, tutto di colpo, si spegneva e tornava semi-immobile. Riguardo al giallo del furto del suo cadavere? Chissà se poi l’hanno poi ritrovato. Mancano oggi figure di questo livello in qualsiasi ambito, e soprattutto così disponibili. Peccato!”.

Linda Terziroli

*Le fotografie in copertina e nel corpo dell’articolo sono pubblicate per gentile concessione di Alberto Bortoluzzi

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