Marzo 2018. L’aggettivo per adornare il mese – e fuggire dalla calca elettorale – è dannunziano. Il primo marzo, infatti, sono squillati gli 80 anni dalla morte di Gabriele D’Annunzio. Il 12 marzo è l’anniversario della nascita: ‘il Vate’ è nato a Pescara, 155 anni fa, olè. Marzo dannunziano, insomma. Chi s’immagina grandi feste per uno dei poeti più importanti del secolo, che fu uno nessuno e centomila, tra i rarissimi artisti italiani pienamente ‘internazionali’ del Novecento, vive in un bignè di illusioni. In un corsivo piuttosto anonimo pubblicato su l’Espresso, evocando le gesta del ‘papi’ (“andò a Fiume con lui e spesso, quand’ero giovane, mi raccontava di quella spedizione nazionalista e comunque ribelle alla politica giolittiana dell’epoca”), Eugenio Scalfari riassume l’esito letterario di D’Annunzio così: “Certo la sua poesia non è quella di Montale o di Quasimodo, i suoi racconti non sono quelli di Moravia, forse in certi casi sono stati anche migliori, il Piacere per esempio è meglio degli Indifferenti”. Per lo meno, si cede, al ‘Vate’, l’onore delle armi, il premio estetico di consolazione. A dire il vero, la poesia di D’Annunzio giganteggia su quella di Quasimodo – e Montale non esisterebbe senza l’ingombrante predecessore. Poco importa. Tanto i liceali a mala pena sanno sillabare il cognome del grande Gabriele. Vengo al punto. Al di là di eventi sporadici (il D’Annunzio segreto scritto da Angelo Crespi per Edoardo Sylos Labini, ad esempio, che però è in scena da un paio d’anni) e della costante attività proposta dalla Fondazione il Vittoriale degli Italiani, non è che la cultura italiota ci abbia stupito con effetti speciali per onorare l’anniversario. Il paradosso, intanto, è che la biografia definitiva su D’Annunzio è uscita in Francia, per l’editore Grasset. Oltre 700 pagine di studio, sotto il titolo D’Annunzio le Magnifique (Grasset 2018, euro 30), con scheda editoriale audace: “Gabriele D’Annunzio fu lo scrittore-personaggio più imitato del suo tempo. Henry James, Shaw, Stefan George, Heinrich e Thomas Mann, Karl Kraus, Hofmannsthal, Kipling, Musil, Joyce, Lawrence, Pound, Hemingway, Brecht, Borges e tutti i francesi – da Remy de Gourmont a Cocteau, Morand Yourcenar – tre generazioni di intellettuali lo hanno letto, studiato, copiato”. A compilare l’opera, l’Ambasciatore Maurizio Enrico Serra, Rappresentante Permanente presso le Organizzazioni Internazionali a Ginevra, insigne studioso di cose letterarie, che con il volume dedicato a D’Annunzio termina la personale ‘trilogia italiana’ pensata per Grasset. “Con Grasset il rapporto è nato qualche anno fa. Mi contattarono per scrivere una biografia su Malaparte. Da tempo avevo in mente un lavoro su D’Annunzio. In mezzo, tra due personalità così spiccate, abbiamo scelto di raccontare Italo Svevo”. La biografia di Svevo, ou l’antivie, fu pubblica nel 2013; il Malaparte (vies et légendes) fu un sonoro successo. Il libro ottenne il Goncourt per la biografia nel 2011, è stato tradotto nel 2012 per Marsilio, “adesso è disponibile anche in serbo-croato e in tedesco”. Contatto l’Ambasciatore nel suo studio, a Ginevra, per una chiacchierata dannunziana.
Intanto. Cosa porta di nuovo il suo studio alla storia della cultura letteraria italiana? Cosa ha scoperto di ‘inedito’, quale sguardo nuovo ci offre sulla personalità tempestosa del Vate?
“In generale, ho insistito sulla modernità del personaggio, che non è mai disgiunto dal poeta. Il poeta D’Annunzio è decisivo: ora riscoperto nelle università canadesi e americane, è stato ridotto a una sorta di caricatura in Francia. Si è trattato, perciò, di ristabilire la verità dei fatti. Il suo impegno nella Prima guerra è stato troppo spesso volgarizzato. Rispetto ad altri valorosi biografi, poi, ho dedicato una attenzione particolare agli anni del Vittoriale, che non sono certo un ‘ripiego’. Mi pare, invece, che l’ossessione tardivamente erotica di D’Annunzio, il suo essere volitivo, lo avvicina a Picasso, al Picasso degli ultimi anni. Non bisogna dimenticare che dal ’37 D’Annunzio mette in guardia Mussolini dall’avvicinarsi ad Adolf Hitler”.
Insomma… fu personaggio assoluto.
“D’Annunzio viene da una provincia isolata per secoli, eppure fortemente vitale. Questo si vede in un uomo che è vissuto fino a 75 anni con una forza primigenia indiscutibile. Fondamentalmente, D’Annunzio fu un uomo ‘greco’ più che latino, basti pensare al culto per la bellezza, alle ossessioni per il dio Pan, per l’animale, per il minotauro. La stessa scelta delle ‘laudi’ rimanda alle odi greche. Diciamo che D’Annunzio riporta la cultura italiana alle sue origini greche”.
Tra le fonti usate per il suo studio, qual è quella che l’ha colpita maggiormente?
“Le carte della famiglia Caproni, i costruttori di aerei. D’Annunzio, che pure non aveva una patente aereonautica, era estremamente propositivo: il suo entusiasmo vitale ne ha fatto un dilettante di raro intuito”.
Estetica ed azione, arte e politica: in D’Annunzio elementi che paiono contrastanti si fondono, sullo sfondo di un impeto poetico totale.
“Il grande momento ‘pubblico’ di D’Annunzio, in questo senso, dura cinque o sei anni, dalla Prima guerra mondiale fino al ‘Natale di sangue’. L’esperienza di Fiume ne è chiaramente un culmine. Si è passati dal considerare Fiume una esperienza totalitaria, un po’ alla ‘bunker di Berlino’, al proporre una idea, altrettanto eccessiva, di Fiume libertaria, un prototipo del Sessantotto. Entrambe le concezioni sono radicali. A Fiume si condensa l’aspetto libertario come quello cesarista… lo racconta bene Giovanni Comisso”.
…dopo Fiume, il Fascismo.
“Negli anni tra il 1921 e il ’22, intorno a D’Annunzio si condensa un movimento alternativo al Fascismo. Mussolini anticipa la marcia su Roma il 28 ottobre del 1922 perché una iniziativa analoga era pensata da D’Annunzio e dai suoi per il 4 novembre. D’Annunzio, va detto una volta per tutte, non è mai stato fascista, neanche alla fine, quando viene eletto Presidente dell’Accademia d’Italia. Fu legato da un rapporto competitivo prima e opportunistico poi con il fascismo, quando ormai aveva vinto ‘l’altra parte’, ma non fu mai, con cuore, ragione e sentimento, fascista”.
Il ‘personaggio’ D’Annunzio influenzò stuoli di artisti, da André Malraux a Saint-Exupéry e Lawrence d’Arabia. In Italia chi ‘subì’ più di altri il carisma del Vate?
“Curzio Malaparte. Lo dico a ragion veduta, avendo studiato entrambi. Malaparte imita D’Annunzio, facendo le cose alla rovescia. Pensi a Villa Malaparte a Capri rispetto al Vittoriale, ad esempio: un luogo luminoso e vuoto, essenziale, quanto la dimora del ‘Vate’ è affollata di oggetti, sfarzosa, eccessiva. Villa Malaparte è davvero un ‘anti-Vittoriale’. Ma, bisogna dirlo, il D’Annunzio dandy bellicista ha fatto scuola, il ‘dannunzianesimo’ è stato il fenomeno di almeno una generazione, quella dei nati tra il 1914 e il ’20. Tra l’altro, non ho mai visto così tanti uomini piccoli e calvi, così tanti piccoli D’Annunzio come tra i nati in quel periodo…”.
Visto che il libro è scritto in francese, si sarà soffermato sul D’Annunzio ‘in francese’, quello del “martyre de Saint Sébastien”, per dire…
“Il francese di D’Annunzio è una lingua innaturale, inventata, tratta dai vocabolari, datata. Alcune sue pagine, però, quelle polemiche, la ‘Confessione dell’ingrato’, ad esempio, sono ancora coinvolgenti”.
L’inimitabile e imitatissimo D’Annunzio, però, gode di scarsa fama in Italia, così pare.
“A dire la verità, non penso. Durante gli ‘anni di piombo’ parlare di D’Annunzio era come nominare la Folgore… Ora direi che la situazione è cambiata, alcuni giovani scrittori tornano a certi stilemi dannunziani. D’altronde, sarebbe davvero ipocrita demonizzare D’Annunzio: nessun poeta italiano può evitare la lettura di Alcyone, uno dei grandi libri della nostra tradizione poetica”.
Lei ha studiato D’Annunzio e Malaparte, Drieu La Rochelle e Malraux: forse è attratto dagli artisti estremi?
“Tutto risale ai miei interessi specifici, raccolti nella nozione de L’esteta armato, come s’intitola un mio libro di qualche anno fa. Non amo in particolare gli ‘estremi’, ma gli artisti che hanno vissuto le contraddizioni della letteratura nella Storia. Questo contraddittorio è estremamente affascinante per uno studioso e per uno storico della letteratura. I personaggi lineari di solito sono noiosi e secondari”.
A un ragazzo che abbia voglia di leggere D’Annunzio cosa consiglia, per non scoraggiarlo o farlo ‘girare a vuoto’?
“A un ragazzo italiano direi che l’ingresso principale è la poesia, il libro delle Laudi, l’essenza di D’Annunzio. A un lettore francese, invece, consiglio i primi romanzi di D’Annunzio, quelli tradotti sotto la sua supervisione, che sono ancora leggibili. La fase ultima di D’Annunzio è stata eccessivamente ‘dannunziarizzata’ dai traduttori d’Oltralpe, ed è lecito un lavoro di ripulitura”.
Ultima. Quando leggeremo questo lavoro ‘monstre’ in Italia?
“Non lo deve chiedere a me. Nel libro edito da Grasset ho privilegiato riferimenti noti al pubblico internazionale. Per l’Italia, dovrei aggiungere molti riferimenti specificamente italiani. Insomma, l’editore ha l’obbligo di investire una certa cifra…”.
Nel frattempo, culliamo il paradosso. A 80 anni dalla morte, la biografia più poderosa di Gabriele D’Annunzio è stata scritta da un italiano. In francese. In Francia.
Davide Brullo