03 Dicembre 2018

“Che noia mortale. Porno come avanguardia della rivalsa femminile! Tutte queste virago della libertà sessuale sembrano fatte con lo stampino”: in risposta a Barbara Costa

Quando mi vergogno di doverlo dire, tanto è un’ovvietà, e dunque lo dico piano e sottovoce: nel sesso ognuno di noi è nudo. Non può più mentire. Il tuo modo di fottere rivela, inesorabile, il tuo rango di creatura, quale genere di carica vitale ti porti dietro, la qualità del tuo caos, le risorse delle tue impurità, quanto sei all’altezza dei tuoi squilibri e se conservi ancora il segreto della tua natura: “le parti dov’è più odore, sono quelle dove si raccoglie più anima”.

Luca
Lui è Émile Ronin, visto di spalle

Quando il corteggiamento, questa farsa ipocrita, è un differimento, una sofisticazione rituale, retorica di un atto predatorio, feroce, in cui i due contendenti recitano una parte, che può concludersi con l’illusione di un assenso a essere presi, e in realtà è uno ‘stupro’ quasi desiderato, e codificato, anche quando ci si illude del contrario (chi non capisce che queste parole non sono un invito allo stupro, né la sua apologia, smetta di leggere). Un ratto dissimulato. Un capitolare, a organi virili e potenti, si spera. Forza della coercizione, seduzione e soggezione, il loro unisono e rapinoso whirlpool. L’irresistibile. Potere assoluto, che può sprigionare anche da una ragazzina di quindici anni, una creatura all’apice della sua impertinenza animale ed estetica, una Lolita qualunque di questa terra, prorompente di ambigua bellezza, che riduce in polvere, compiaciuta, ogni difesa maschile. Quando, fin da epoche antiche, nel momento in cui una donna dipinge le sue labbra di rosso, replica sul suo volto, ritualmente, la sua fica eccitata, per sfoggiare seduzione sessuale, potere, l’esca incantevole e letale di una bagliore predatore, alludendo a quello che ha in mezzo alle gambe, occultato sotto le vesti: “Non so quanto le falene fossero coscienti di girare intorno a un lume… anche avessero saputo, nulla avrebbe impedito loro di correre comunque verso il loro incantesimo, verso la loro rovina”. E il potere uccide l’innocenza.

Quando scorgi una ragazza, una donna o una femmina, non importa dove, ovunque, e il primo impulso è sempre quello di capire se vuoi attirarla nelle tue braccia, avere un contatto fisico, e scambiare fluidi, odori e profumi con lei. Quelli atavici. Quando emerge, imperiosa e abominevole, la volontà di possederla, mangiarla, leccarla fino allo sfinimento, e insinuarti in ogni sua fessura, solcare le sue curve, saggiare il sapore dei suoi baci, del suo sudore, l’odore della sua pelle. I suoi misteriosi piedi. Quando i sentimenti, qui, non c’entrano nulla, né il dialogo, seppur muto, poiché la parola qui non ha udienza. Quando è puro istinto, volontà di predare e soddisfare se stessi. Un craving ancestrale, feroce. Un grumo di puro egoismo, l’espressione immemoriale delle tare più innominabili. E cosa c’è di legittimo in tutto ciò? Niente, e tutto.

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Quando leggo Barbara Costa, con interesse e curiosità, e rimango comunque perplesso. Quando, con me, lei sfonda una porta aperta, eppure qualcosa non convince, tra le righe di ciò che scrive. Quando sa troppo di new age, di ingenuo e volutamente rivoluzionario, programmatico, di manifesto politico-letterario. Immaginazione e sesso al potere! Quando sospetto addirittura che abbia molto letto, forse, ma non studiato a sufficienza – e dato che è auspicabile, se ti diverti a giocare con concetti, idee e filosofie, e a sfottere pubblicamente i pregiudizi. Quando non mi spiego altrimenti certe sue ingenuità teoriche, artistiche, letterarie, e la mancanza di quella lucida consapevolezza, quella scettica, che avrebbe dovuto immunizzarla e, soprattutto, a non farsi nessuna illusione sugli esseri umani, né sulle filosofie o la letteratura, e tanto meno a far sue le illusioni degli intellettuali contemporanei, immaginando di scardinarle e radicalizzarle solo perché le inserisce nel porno ludico. Del suo abbaglio su Asia Argento, ho già scritto altrove.

Quando lei scrive frasi in cui si contraddice platealmente, nel momento in cui afferma: “nel sesso non esiste anormalità, è giusta qualsiasi ‘pratica’ frutto di scelta libera, consapevole e consensuale”, e subito dopo aggiunge: “negli affari di letto dovremmo dar più spazio e legittimità ai nostri istinti, scordarci la razionalità”; e già mi ha perduto. Quando evoca l’irrazionale, gli istinti, l’anormalità come norma, la sfera bestiale, più impura e ambigua della natura umana, quella più torbida, dove vige sovrana la legge della vittima e del carnefice, del più forte e del più debole, e nonostante questo lei aggiunge a giustificazione la “legittimità”, la libera scelta, cosciente e consensuale, preoccupandosi della fruibilità della trasgressione, del consenso cosciente, dell’essere “in controllo”. Quando questo scelta consapevole è già teatro, una facile via d’uscita, uno spazio scenico da riempire, anziché la vita come forma cava, buco nero; e già mi ha perduto. Quando è un’idea trasgressiva ma ludica del sesso, tutta artistica, legale; e già mi ha perduto. Quando il sesso della vita reale, fuori dalla pornografia è un coacervo caotico, illegittimo, ambiguo, talvolta abominevole, spesso inespresso e frustrato, per ovvie ragioni, ma ben presente nelle nostre menti assolutamente tarate e ‘patologiche’ dalla nascita – e “la psichiatria è dello Stato”, scrive Brodskij. Quando la reale immaginazione sessuale è inconfessabile, va ben al di là del semplice ludismo controllato e concordato, del piacere artistico, o di una pretesa emancipazione collettiva attraverso la libido. Quando, ridotta all’osso, la Costa vi propone una sorta di catarsi aristotelica attraverso il sesso, un irrazionalismo ludico, salutare, una sorta di Sisifo felice à la Camus, e afferma che tutto ciò che va oltre è un sesso malato, patologico, chiudendo irrevocabilmente le porte a quello che di più vero c’è nel sesso, perché più meschino, disgustoso, abominevole. E questo benché, in teoria, lei dica che non esiste l’anormalità.

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Quando leggete attentamente tra le righe della Costa, tra i suoi articoli, e trovate che battono sempre sullo stesso chiodo: l’idea mitica, irrealistica, di una donna che non sia più vittima, ma al contrario una creatura sempre in controllo, anche sessualmente; e mi vengono in mente le parole che la Costa dedica alla Beauvoir nel rapporto con Sartre, o a Lolita. Quando la Costa sembra più amichevole nei confronti degli uomini, eppure loro rimangono comunque, ai suoi occhi, di volta in volta: schiavi del loro pene, sotto il giogo della femmina, degli impotenti, sotto sotto dei mutanti bisessuali o gay (cosa perfettamente legittima, ovviamente), o si buttano in massa sui trans poiché questa creatura doppia, per il debole e ormai antiquato etero, rappresenta un modello di “donna rassicurante”, un modello che non esiste più. Parole testuali della Costa, con un messaggio implicito: l’etero puro, anche quando è cosciente di quanto sia ridicola e ristretta l’eterosessualità normativa, di tipo antropologico, borghese, che poi da noi è di matrice cattolica, resta comunque un povero coglione, un non-liberato, un rigido. Una creatura superata. In ogni caso, nessuno scopa meglio una donna di un’altra donna, ce lo dice quella fulminata di Asia Argento, e la Costa sottoscrive zelante, dato che, tra l’altro, ritiene l’attrice romana un genio. Quando la Costa fa passare Asia per una novella Bukowski al femminile, o una impavida Anna Karenina in mezzo a un legione di Vronskij cretini!, uomini “che non sono granché, artisti brutti, falliti, scrittori con cani piscioni… e registi nanetti 36enni a letto amanti penosi… uomini col cazzo moscio irrecuperabile, bamboccioni, prepotenti perché vigliacchi”. Il tutto racchiuso, infine, da questa frase eloquente, inequivocabile, della stessa Costa: “nel porno c’è vera disparità in base al sesso, e tutto a vantaggio della vagina”, riferendosi a soldi e potere, e allora penso a chi ha sofferto ed è stato discriminato, e non è mai umile, e alla relazione tra sventura e megalomania, alla volontà di avere un destino. Che noia mortale. Porno come avanguardia della rivalsa femminile! Dal fallo-centrismo, al vagino-centrismo. Un’ossessione – l’essere sempre in controllo della donna, negli articoli della Costa rappresenta, ahimè, un refrain costante – che in realtà rivela una segreta debolezza, l’antagonismo del risentimento, della fragilità. Non un potere, né un atto di forza, ma solo un guazzabuglio di sterili contraddizioni. Nessuno, infatti, è mai davvero in controllo, o è mai davvero se stesso. Non esiste questo essere umano mitologico, teologico, detentore del controllo, del potere, tutto d’un pezzo. E promuoverlo, auspicarlo e immaginarlo, con lo sfruttamento razionale dell’irrazionale, come fa la Costa, è puerile, e non originale, poiché lo hanno già fatto quasi tutte le avanguardie artistiche: Surrealismo, Dada, Le Grand Jeu, Esistenzialismo, sia quello religioso, che quello umanista, ateo e ideologizzato di Sartre e quello di Camus, che, dopo aver letto in anteprima, alla Gallimard, il Sommario di decomposizione, accusa Cioran, questo mujik balcano amante del byronismo russo, di non essere ancora entrato nel circolo della “grandi idee” che contano, di essere un parvenu dell’Intelligenza: “Adesso lei deve entrare nel campo delle cose davvero intellettuali”. Letteralmente, cazzo.

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Quando è impossibile negare che gli stessi ignobili limiti, le stesse pietose contraddizioni, che vengono elencate con tanta disinvoltura contro gli uomini, non si trovino nella stessa misura anche nelle donne, perché lo riscontrate tutti i giorni, platealmente. Quando, al contrario, tu non riesci a essere stronzo con le donne, a sminuirle, e ti limiti a registrare la generale e irrimediabile fragilità e vanità umana, e ti sforzi di provare un po’ di ironica pietà. Quando riconosci, con grande serenità, che la donna, potenzialmente, è più radicata degli uomini nella vita, ha diverse zone erogene, e che la sua complessa libido le conferisca un peso tutto particolare, misterioso, eppure riconosci anche, altrettanto serenamente, che la maggior parte degli esseri umani, in generale, vivono quasi sempre al di sotto del loro potenziale umano, sessuale, immaginale, intellettuale, e che la maggior parte di loro non sono fatti per essere liberi; che, salvo una ristretta minoranza, la maggior parte delle persone ‘normali’, anche quando trasgrediscono, sono per lo più penose e grottesche. Che i motivi di alienazione, oggi, sono innumerevoli, e credere nella facoltà redentrice della liberazione sessuale, è esilarante; che le persone normali, che si alzano alle sei del mattino per andare a lavorare, fino alle sette di sera, e pagano il mutuo, hanno famiglia, figli, devono vivere, e spesso sopravvivere, sono la maggioranza delle persone di questo Paese; che a un certo punto sono costrette a far passare il sesso in secondo piano, perché la società moderna uccide l’energia sessuale, la volontà di praticare il sesso ludico come ce lo descrive la Costa. È penoso, ma è realtà nuda e cruda. La maggior parte degli esseri umani è in catene, e lo sarà sempre. Forse, solo i giovani, gli artisti, i perdi giorno, i flâneur e ricchi hanno il tempo e la testa di coltivare il ludismo sessuale di cui parla la Costa. Bukowski, grande e irriverente ‘trombeur’, paradossalmente, per il genere di vita assurda che faceva, da disadattato, non ha fatto sesso per ben nove anni della sua vita adulta.

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Quando faccio davvero fatica a capire l’interesse della Costa per Jean-Paul Sartre, un filo-stalinista (benché uno possa essere filo-stalinista o filo-fascista, e comunque essere un grandissimo scrittore!), e un mediocre imitatore di Dostoevskij, via Heidegger; un intellettuale francese, con tutto ciò che comporta di troppo Parigino, di sterile raffinatezza (leggersi De la France, di Cioran); un esistenzialista, ossia un ideologo dell’esistenza, poiché, come afferma lo stesso Beckett, l’Esistenzialismo rappresenta un vaneggiamento filosofico e culturale di cui farsi beffe, un mero movimento filosofico-letterario che oggi al massimo interessa l’antropologia filosofica, la storia delle idee, la storia della filosofia o la critica letteraria. Una fottuta dottrina che, al pari di ogni altra filosofia, converte la vita in un assoluto filosofico o letterario, in qualcosa di troppo positivo per poter davvero riflettere l’equivoco essenziale della vita. Esattamente come fai tu, Barbara. Consiglio il ritratto impietoso che Emil Cioran fa di Sartre, senza nominarlo direttamente, ne Il sommario di decomposizione, intitolato L’impresario d’idee, poiché anche la Costa sembra l’impresaria di un’idea, della pornografia unita all’eros della letteratura come antidoto al pensiero unico. E un maschio, qualche giorno fa, ahimè cade addirittura nella trappola e le dà manforte sulla stampa nazionale: “una tendenza eretica rispetto al pensiero e allo stile letterario dominante, si mette in polemica con la contemporaneità e arriva a concepire il sesso, nel deserto nichilista e disperato dell’Occidente, come una via di uscita dalla crisi e una fonte insostituibile di energia vitale… esaltando il sesso e la carne come via di accesso a una ritrovata vitalità primordiale”! Super-cazzola notevole, non vi pare? Il sesso redentore, da cui dipendono le sorti di una civiltà, delle nostre energie vitali, a livello collettivo. Si esce tramortiti da tanta pomposa fiducia, che solo un intellettuale o un letterato, uno che ha fatto dei libri il proprio mondo, può immaginare.

Quando detesto tanto i “vegani del sesso che odiano la carne”, quanto l’estetica e i teorici della sacralità della carne, e della natura. Gli uni esaltano la purezza attraverso un grigio ascetismo, gli altri, sublimano intellettualmente un potere incontaminato, privo di sovrastrutture, sprigionato dalla sessualità, e dal contatto irrazionale con la natura, in teoria. E lo fanno buttandosi, da specialisti, amateur ed eruditi – che non conoscono direttamente il cuore di tenebra della strada, che non hanno mai fatto una rissa, mai partecipato dal vivo a una guerra, mai fatto sesso potente, estremo – su De Sade, D.H. Lawrence, A. Miller, V. Nabokov, P. Roth, S. Bellow, T. Bernand, A. Nin, G. Bataille.

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Quando in quello che dice Barbara Costa troviamo troppe scorie di cose non fertili. Forse troppo Reich, forse troppo Freud, che parla di inconscio e sesso, eppure è per la ragione che brucia di passione. Troppa preoccupazione per ciò che è intellettuale, troppa letteratura, troppi sterili riferimenti filosofici. Quando parla di ciò che è ‘legittimo’, mi ha già perso. Quando si premura – e anche qui mi perde – di legittimare quello che scrive, o che scrivono i suoi idoli, la Stoya e la Argento, conferendo loro dignità intellettuale, erudita, dotta; quando è esattamente il contrario che dovrebbe fare, ossia sdegnare questa patente di valore intellettuale, libresca, solo artistica. E invece cosa fa? Un errore clamoroso: parla di sesso, evocando direttamente quelle parole o quegli autori che andrebbero presi con le pinze e non amati in modo ossessivo: ‘intellettuale’, ‘filosofia’, Sartre, De Beauvoir, Bataille; e indirettamente la genealogia de La Repubblica delle Lettere di Marc Fumaroli, quella dei dotti, in cui rientrano, paradossalmente, anche i più trasgressivi. Leggere per credere. È solo così che si spiega la volontà della Costa di spacciarci, in maniera del tutto incomprensibile, la coppia Sartre-De Beauvoir come esempio di buon sesso e dunque, ahimè, di buona filosofia; due intellettuali francesi, nella patria in cui nasce, nel Settecento, la figura dell’Intellettuale; dotti, filosofi-letterati, come esempio per parlare di sesso, di un territorio irrazionale, oscuro e muto, che al contrario parla la lingua di tutto ciò che è primitivo, incolto e privo di filosofia; esperienza e soggetto, unità immediata e vitale, un territorio dove ogni atto, anche quello della creazione, è ancora un organo della natura. Lo diceva anche Baudelaire, il quale, benché ancora avvolto dal simbolismo intellettuale del suo spleen – non a caso infinitamente meno vitale della noia moldava, assai meno raffinata ma assolutamente più corrosiva –, scrive: “Solo al bruto gli si rizza bene”, intendendo con ciò, indirettamente, che tanto più si è cultura, e meno si è natura; che il sesso, se non in assoluto, è in gran parte un fatto di natura, profondamente irrazionale, e non di cultura; che l’erotismo è già una pallida complicazione e sofisticazione rituale, intellettuale e culturale, della sessualità.

Quando, al contrario, la Costa, parlando di una faccenda irrazionale, vuole farlo con le categorie dell’epoca moderna, con il frutto sterile dei dotti, l’organo alle sole dipendenze della riflessione, appendice del pensiero. Niente, qui, che sia autentico charme geologico, atavico, fascino della creatura, ma solo pornografia, ossia la sofisticata volgarità dell’umano che copula con la giustificazione intellettuale, dotta, filosofica, letteraria, generando un aborto. E quanto ci tiene, Barbara! E così che la Costa ci rassicura che il “buon sesso” della coppia Sartre-De Beauvoir – sesso e intellighenzia! – è automaticamente “buona filosofia”, e ci sarebbe da scrivere un intero trattato su quanto sia sbagliata ed esilarante questa associazione; che ci rassicura che Asia Argento leggeva Melville a quattro anni, ed è una persona colta; che Stoya, “pornostar-intellettuale”, legge libri, ed è “ossessionata” da Bataille, al pari di quella noiosissima travestita del male, la scrittrice dark Isabella Santacroce, che ahimè, per evocare il sacro e l’erotismo, cita Georges Bataille, con una stupefacente super-cazzola che sa addirittura di rimasticatura – “io sono da sempre nella dimensione del sacro, così come era pensata da Bataille, ovvero quella degli estremi… il Bene produce frivola bardatura insensatamente aggiunta all’opera compiuta da Dio onnipotente… solo il male ha una distruttrice potenza, il Bene nulla distrugge, nulla crea”; un nevrotico affascinato dal male e dall’erotismo, come Nietzsche, un impotente e un casto, era affascinato dalla forza; un semplice elucubratore filosofico, pletorico del Negativo, non all’altezza del suo squilibrio. Nessun miglior segno di falsità, infatti, per un creatore che si pretende profondo e libero, che citare prima di ogni altro Georges Bataille, l’Estremo coltissimo, parlando del Male. Un altro fottuto filosofo-letterato francese; e ve lo dico io, che da giovane l’ho studiato in lungo e largo, come si studia un fratello-nemico.

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Quando tutte queste virago della libertà sessuale sembrano fatte con lo stampino, dove santo Bataille non manca mai, ma proprio mai, cazzo; e quando, vittime del complesso della conoscenza, si preoccupano, tutte, di apparire intelligenti, colte, dotte, di giustificare con la filosofia e con le lettere le loro tesi estreme sul sesso, per timore di non essere prese sul serio, con il più banale dei complessi. Quando la Costa ammette onestamente, che pochi, nella realtà, faranno sesso come Rocco Siffredi, e che pochi potranno replicare le cose mirabolanti che si vedono nella pornografia, ma aggiunge, nondimeno, che, se non altro, alimentarsi di tutto ciò è liberatorio, vi apre la mente, “ha funzione pedagogica, è fonte di conoscenza”, è catartico! Quando, infine, con un sincretismo da metallica ingegneria culturale, lei unisce sesso, porno, letteratura, intellettuali, dotti, filosofia e nature libresche, compiendo quello che in realtà sarebbe da evitare come la peste; e lo fa metabolizzando acriticamente, forse in maniera irriflessa, una letale tendenza, tipica della cultura francese.

Quando hai il timore che Valentina Nappi legga l’articolo della Costa, e si metta in mente di fare in Italia quello che la “pornostar-intellettuale” Stoya ha fatto negli Stati Uniti, ovvero scrivere su testate prestigiose, di porno e sesso. Quando ha già iniziato a farlo. Quando a Ottobre ho visto la Nappi in una intervista con Peter Gomez, dove il conduttore, a una Nappi che fa la splendida con citazioni dotte, Platone e altre cazzate, la mette subito in difficoltà, chiedendole di spiegarsi meglio, di approfondire, con somma irritazione di lei, che viene colta in fallo, e farfuglia cose pretestuose, sconclusionate, dato che non è in grado di approfondire, e accampa atteggiamenti antagonisti, di sufficienza, contro Gomez, che ha osato metterla all’angolo, rivelando l’effettiva impostura della ragazza, che si spaccia per la porno attrice intellettuale, una tuttologa che crede di aver capito tutto, con il suo lavoro e la sua  erudizione d’accatto, inesistente. Andate a vedere, per credere.

Quando, come diretta conseguenza dell’influenza della Costa, incontri una giovane ragazza, venticinquenne, modella, dalla bellezza intimidatoria, spirito rock, un metro e ottanta di sconcertante e dichiarata aura bisessuale, sedotta da questo fenomeno di costume (legge anche la Costa), al punto da fare una tesi sul godimento – con relatore una specialista di Sartre – centrata su Freud, Lacan e soprattutto Bataille, che non manca mai! Una ragazza a cui chiedi il numero di telefono e te lo dà, subito; a cui scrivi immediatamente che sei rapito dal suo lungo collo, dal suo viso, e lei ti risponde, seduta a mezzo metro da te, tra altre persone, con un sorriso complice e un “grazie, così mi fai arrossire”, mentre si gira un secondo dopo e ti fissa dritto negli occhi, implacabile, per dirti che ti vuole; una ragazza che ama avere atteggiamenti antagonisti, fissata con Nyphomaniac, il Male di Bataille, la sofferenza, Taboo di Tom Hardy e il francese La vita di Adele (soprattutto una delle due protagoniste, quella col ciuffo blu, che elegge a suo nume tutelare, casualmente, proprio Sartre), al punto da verbalizzarlo, sfoggiando una serie di sconcertanti cliché, e tu ridendo le fai capire che è una cogliona, e le dici: “che noia, non sarai mica una clone della Santacroce?”; che la sua è sola una posa estetica; che tu non consiglieresti mai a nessuno la sofferenza, in sé, anche se affascinante e foriera di creatività, perché quella vera abbatte, ottunde, imbruttisce e annienta; è disgustosa. Le dico che fare tesi sul “godimento”, è come diventare “specialisti dell’esistenza”, una cazzata galattica, da seppellire sotto il boato di una risata cosmica, e che negli atenei queste grottesche figure esistono davvero – guarda caso, soprattutto in Francia – e si prendono molto seriamente. E lei, che tra l’altro scrive articoli insulsi su Foucault, si urta, e ti dice: “Ora vorrei picchiarti fortissimo!”. Per i due giorni successivi, ospite di una conferenza internazionale come relatore, l’unica a cui abbia mai osato partecipare, siamo sempre vicini, non stacchiamo quasi mai l’attenzione l’uno dall’altro, anche se io la snobbo un po’, perché raffreddato dalle sue puerili preferenze, e dal suo inutile antagonismo. Alla fine, a sera lei mi accompagna in stazione, e dato che non mi faccio avanti, indispettita, per incoraggiarmi, si vede costretta a dirmi: “Ma guarda che io scherzo! Uffa!”. Io non le do corda, esco dalla macchina, la saluto calorosamente e nulla più, e inizio a incamminarmi verso la stazione; dopo neanche dieci metri, lei si affaccia con la testa dal finestrino della macchina, con il broncio, e grida: “Ma insomma!! Proprio non vuoi baciarmi come si deve?!”. A questo punto crollo rovinosamente, di fronte a tanta irresistibile protesta, e torno sui miei passi; ci baciamo a lungo, e lei tutta soddisfatta, con il sorriso sulla bocca: “Ecco, è così che si salutano due amanti”. Una adepta della Costa.

Ripeto, dolorosamente irresistibili, ma fatte con lo stampino.

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In questa epoca di bellezza perennemente sfoggiata, di libertinismo apparente, di costanti allusioni sessuali, ovunque, di ipertrofia pornografica, la trasgressione è banalizzata. Quando, ormai, è come farsi le canne, e tutti si fanno le canne, fin dall’infanzia, credendo di essere liberi, e invece sono solo conformisti dell’anticonformismo. Quando tutti possono fare il peggio del peggio nelle camere da letto delle loro case, e ci si chiede: chi è davvero all’altezza dei propri squilibri; chi è qualcuno, e non chiunque? Quasi nessuno. Quando, cazzo, Masterchef rovina le cene, e lo stesso fa la Costa, con questa ossessione esclusiva, pedagogica, per il porno, il sesso e il vagino-centrismo rampante. Quando disprezzi ogni forma di specializzazione e, per quanto la Costa lo neghi, la sua ossessione artistica, e la sua specializzazione, è il sesso; e non si è mai tanto lontani dalla sessualità, quanto nel momento in cui le si vota un culto, trasformandola in cosa, e la vera trasgressione, paradossalmente, fugge altrove.

Émile Ronin

*In copertina Helmut Newton, “David Lynch e Isabella Rossellini”, Los Angeles, 1983

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