“Eccezionale sarebbe l’eleganza di svanire soli al vertice”. Caro Giacomo Rossi Precerutti…
Libri
Vincenzo Gambardella
Troppo rapace – e giusto – se si parla di Marina Cvetaeva, far cozzare la vita con l’opera, far quadrare l’algebra del verso con gli accanimenti del corpo, la biologia letteraria con la biografia. “Ariadna”, il grande poema su Arianna, è terminato nel 1924. Da due anni la Cvetaeva è in esilio dalla Russia sovietica: prima a Berlino, poi in Cecoslovacchia. Sono anni di grande fermento poetico – di grande solitudine. Marina si rivede nelle multiformi figure della classicità, dominate da amori dispari, da perpetui abbandoni: “Fedra” è pubblica nel 1928, ma “l’appunto lapidario, già carico di tutta la potenza del personaggio, ‘La mia Fedra non ragiona, vuole solamente’” è del 1923 (così Marilena Rea in: Marina Cvetaeva, “Fedra”, Pacini Editore, 2011). Come si sa, Arianna è la figlia di Minosse, innamorata di Teseo. L’eroe, dopo aver ammazzato il mostro, vincendo i grovigli del labirinto, abbandona Arianna, per unirsi a Fedra, la sorella di lei. Fedra arderà d’amore mortale per il figliastro, Ippolito, avuto da Teseo con la regina delle Amazzoni. Non è inutile ribadire che Minotauro, il mostro, è fratello di Arianna e di Fedra, donne ‘mostruose’ nell’amare. Come Marina, che ha chiamato Ariadna, Arianna – altrimenti, ‘Alja’ – la prima figlia, nata nel 1913. A proposito di biografia. “Sempre persone così ragionevoli, così rispettabili. Per loro io sono un poeta, cioè una certa realtà indiscutibile, da tenere in considerazione. Ma a nessuno viene in mente di amarmi. E io ho solo questo in testa (proprio – nella testa!), fuori di questo le persone non mi servono, tutto il resto l’ho già”, scrive la Cvetaeva a Ol’ga Cernova, nel gennaio del 1925. Gli anni in cui affonda nel mito, in cui diventa Arianna sulla soglia del labirinto, pronta all’abbandona e pregna di enigmi, è il 10 gennaio 1924, la Cvetaeva scrive ad Aleksandr Bacharach: “Io stesso sono CHI AMA. Non tutti possono farlo. Lo possono: i bambini, i vecchi, i poeti. E io, come poeta – e cioè, naturalmente, come vecchio e bambino – venendo al mondo ho subito scelto di amare l’altro. Essere amata – di questo fino ad oggi non sono stata capace”. In quei giorni il marito, Sergej Efron, militare ‘bianco’ che sarà ucciso nel 1941, medita di lasciare Marina. Non ci riuscirà. “Ho informato Marina della mia decisione: separarci. Per due settimane ha vissuto in preda alla follia. Correva dall’uno e dall’altro (intanto si era trasferita da certi suoi conoscenti). La notte non dormiva, era la prima volta che la vedevo in un simile stato di disperazione… Avrei potuto essere forte se Marina avesse incontrato una persona in cui credevo. Ma io sapevo che l’altro (un piccolo Casanova) l’avrebbe abbandonata dopo una settimana e nello stato in cui oggi si trova Marina, questo equivarrebbe a morire. Marina va verso la morte. Già da tempo non ha più la terra sotto i piedi. È tornata da me. Ma tutti i suoi pensieri sono con l’altro. L’assenza di lui infuoca i suoi sentimenti. Lo so: è convinta di avermi sacrificato la sua felicità. Fino – naturalmente – al prossimo incontro… La mia vita è una continua tortura”. Nel 1925 nasce l’altro figlio dei due, ‘Mur’, quello che vedrà la madre impiccata, una noce di anni più tardi. Nel 1923 Marina aveva inaugurato l’epistolario con Boris Pasternak, con quella frase d’esordio, fragorosa, “Siete il primo poeta che – in tutta la mia vita – vedo”. Se Marina fu Arianna seppe covare in sé il Minotauro. Qui si pubblica una traduzione di Marilena Rea, finora inedita, dal poema di Marina Cvetaeva “Arianna”. (d.b.)
***
Quadro terzo
Il labirinto
Ingresso del labirinto
Arianna
Invano il sospiro e l’udito
bussano a questa fortezza.
Più forte la sabbia scivola
nella clessidra, più intenso
sullo Stige scivola Caronte.
L’ombra del lauro si allunga
più forte sull’urna di onice
del fratello mio morituro!
È scomparso, proprio scomparso!
Non serve ascoltare ancora!
Più forte l’ombra della mano
ripara la luce del sole.
O destino che hai voluto
farmi incontrare quest’uomo!
Dedala creatura – muta,
taci il segreto al mondo.
Esasperante impotenza,
beato – chi non ti ha sentito!
Per questo intrico di pietra,
Dedalo, ti maledico!
Antro, varco di aridità,
morto – chi hai inghiottito!
Indistricabile fragilità –
sesso femminile, ti maledico!
Profondo come un fiume
l’intuito delle vergini:
non perdere il filo,
il gomitolo non lasciare!
Sto in ascolto: l’urna – vuota
come il ventre di una vedova.
Sto in ascolto: sopra l’urna,
sto in attesa: sopra l’avello…
Più forte goccia la resina,
più forte ghiaccia la brina…
Sto in attesa: sopra la nera
caverna di fauci ferine.
Sarà meglio non scoprire
che si cela dietro l’angolo.
Ormai è teso il gomitolo?
Tacciono i crudeli meandri.
Ormai nel sangue e nella bava
il toro è caduto? O trafitto?
Silenti i meandri – bugiardi
come l’urlo delle emozioni.
Sia lode ad Afrodite
nel tuono e nella quiete!
Non perdere il filo!
L’anima non smarrire!
Afrodite!
Miele e mirto!
Unico ausilio,
unico vessillo
della cretese più ardente,
nella trappola più nera
illumina, Afrodite, il ritorno
all’uomo dal volto splendido.
Afrodite!
Strada e scopo!
Con il lino tra le lastre,
con la luce tra le crepe,
tu che vinci con un filo
i leoni – com’è entrato così
fallo uscire. L’animo suo leale,
Afrodite, fa’ ritornare.
Afrodite!
Sale! Mare!
Se esigi
un riscatto – sono qua!
Per alte gesta la sua vita
preserva. In cambio – la mia!
Come un sole e un leone l’ho visto!
Afrodite! Sono vergine…
Un tonfo! Simile a colpo
di martello! Un suono sordo!
Un tonfo possente! Chi è morto?
L’eroe o il toro?
Non è vetta che frana!
Non è fiume che scroscia!
Questo corpo che cade
è un toro o un eroe.
È un regno che crolla!
Le travi – in schegge!
Un fiume che esonda:
trema la volta celeste!
Cosa cinge la sua chioma?
Sangue o corona?
Il labirinto ha pronunciato
per sempre la sua parola.
Coraggio, mio cuore!
Tieni duro!
Si è spalancata la volta
celeste! In mezzo a un frullo
di stormi, in messo a fremiti
di ali, un tappeto di rose…
Avanza Afrodite
celeste…
Teseo
(sulla soglia del labirinto)
– Il sole!
Marina Cvetaeva
traduzione italiana di Marilena Rea
*In copertina: Marina Cvetaeva e la figlia Arianna. La figlia nasce nel 1913, il poema “Arianna” è compiuto nel 1924