“Ama tutto ciò che ti tortura”. Nelle lettere inedite, l’amore segreto di Anna Maria Ortese
Letterature
Dario Biagi
Odio l’estate.
E non tanto per la liturgica fine degli amori stagionali cantata da Bruno Martino, quanto per la cappa di frivolezza che avvolge ogni cosa. Stagione sciagurata capace di produrre bollori e disimpegno, canzonette e premi letterari di dubbio valore. Il temporale, però, è sempre in agguato; alla stregua di certi libri audaci: anomalie pronte a donare refrigerio a chi ha una temperatura basale o estetica superiore alla media.
È questo il caso di Logica degli incendi di Vincenzo Montisano, novella edita per i tipi di Industria & letteratura, che apre su di una vasca da bagno piena di latte, e al suo interno una donna che attende il suo uomo. Tutto sembrerebbe muovere verso l’idillio, la comunione; ma gli occhi di Teo che si abbassano infastiditi davanti alla nudità di Gio macchiano di tensione la scena, orientano lo scritto verso i sentieri della contesa.
“La donna l’ha sempre saputo. Specie ora, mentre attende che l’uomo la raggiunga nella vasca da bagno colma di latte.
Lui nel vederla nuda abbassa lo sguardo, neanche fosse la prima volta: i capezzoli della donna affiorano tesi sul pelo del latte: trovano nella vasca naturale collocazione. L’uomo si chiede perché, dopo molti anni assieme, lei abbia deciso di tendergli quella trappola […]
La donna trattiene un lungo sorso di latte tra le labbra. Per metà lo passa nella bocca dell’uomo, per metà lo ingoia.
L’erotico non è mai l’intero, ma i frammenti”.
L’ossatura stessa del rapporto di coppia è manichea.
Teo è un impiegato catastale, appassionato di astronomia, rappresenta la razionalità. Colui che indaga i limiti dell’ignoto e li teme, ripiegando di fronte alle sconfinate possibilità di un cielo.
Gio ha un negozio etnico a Trastevere, è sessualmente attratta dal bianco e soffre di una persistente forma depressiva. Inscena l’irrazionale. A Gio il reale va stretto e prova costantemente a forzarne i contorni.
Se solo le leggi del magnetismo trovassero esatta trasposizione umana, i due potrebbero godere di un’attrazione fatale. Ma il loro legame più che l’armonia celebra la conflittualità.
Finanche il concepimento, condizione usuale per sgonfiare l’ego individuale di due amanti, diviene motivo di scontro, dilatazione delle distanze.
E qui irrompe il terzo protagonista della novella: l’isola.
Un agglomerato autarchico di rocce, vegetazione e animali che si fa depositario di queste tensioni e con le sue pulsioni ancestrali le fa lievitare fino alla deflagrazione.
L’isola, anche per mezzo di un enigmatico fattore che ne custodisce i segreti da decenni, si anima: ha la necessità di ribadire all’uomo il concetto d’ingovernabilità.
“Non si scompose guardando Gio incamminarsi a passo lento verso la scogliera. Non si chiese perché, mentre la sua compagna si allontanava, lui non vedesse più la donna che era ma la bimba che fu. Gio diminuiva nella prospettiva degli anni e si faceva sempre più piccola. Piccola e irriconoscibile. Un altro movimento repentino, poi. Simile a quello avvertito nella siepe di biancospino, a casa del fattore. Qualcosa transitò nel grande canneto alle sue spalle. Teo, voltandosi, non fece in tempo a vedere niente perché già una colonna di fumo anneriva il cielo più della notte incombente”.
Ecco cosa fa un buon libro, ci rammenta, qualora ce ne fosse bisogno (e ce n’è sempre bisogno) della nostra inconsistenza. A volte gli basta un sussurro, altre necessita di un urlo, ma la verità che ne riemerge è sempre uguale: l’impossibilità di essere contenuti nella consolazione di uno schema.
Nella Logica degli incendi la natura decide di truccare il corso delle cose, esige un sacrificio da tutti gli inquilini dell’isola. A tratti demoniaco a tratti catartico, quest’isolotto si oppone alle meccaniche celesti: rifugge l’indifferenza, ha il pregio della mobilità. Ci tiene a ribadire ai suoi ospiti che sono semplici vite di passaggio. Una logica spietata, forse; ma i quattro elementi che accelerano in un unico, funesto coro, regalano quantomeno una prospettiva, la certezza di un approdo.
“Chissà in quanti altri secoli passati essa si era già suicidata. A quante altre coppie aveva insegnato l’inevitabilità della debacle, le ragioni profonde di una crisi, la cicatrizzazione di una ferita. Teo ne ebbe conferma immediata: le fiamme si erano impossessate del suo corpo e del mobilio dei Mascaldi e del superfluo e del resto delle cose umane. Ma la pietra di cui era fatta la casa, pensò, sarebbe rimasta intatta. Avrebbe perdurato. Quella logica degli incendi che discrimina ciò che soccombe da ciò che invece sopravvive si infiltrò tra i pensieri di Teo come un balsamo lenitivo per le pene del martirio.
Poi ci fui la prima scossa”.
Vincenzo Montisano nel dare corpo alla storia, incalza stilisticamente, vira sul simbolico. In un crescendo di onirismo e mistero, congeda ogni tentazione didascalica, smargina nella poesia.
È così che il tessuto del reale si sfilaccia, i significati sbiadiscono cedendo il passo all’assurdo.
Un autore, ed è palese, che gode nello scrivere; si coglie fra le pagine una libido che è propria dell’atto in sé, concerne la creazione.
Una penna che non ha paura di scalfire la patina quotidiana alla ricerca di archetipi e allegorie.
Cosa riporta in superficie?
Due incisivi canini, una radice di liquirizia e un antico scrigno damascato, che una volta forzato dà accesso al suo contenuto: una mappa per l’immaginifico.
Gianluca Pìtari
*In copertina: Giovanni Francesco Barbieri, detto Guercino (1591-1666), Cinque studi sulla Maddalena, 1620 ca.