19 Febbraio 2022

“Tutto è sacro, trabocca d’amore”. In preghiera nella giungla: i canti di Tukaram

Prima preso per matto, poi per santo, di Tukaram, come accade ai maestri che non esitano nell’estinzione, si sa quasi nulla, la biografia è intorpidita dalla leggenda. Nato a Dehu, in India, nel Maharashtra, tra il 1598 e il 1608, da una famiglia di commercianti, analfabeta, orfano fin da ragazzo, Tukaram è trascinato inconsapevolmente dalla spirale del divino. La ‘quarta’ dei Psaumes du pèlerin, pubblicati nella collana ‘Poésie’ Gallimard, ne delinea in breve l’agiografia: “Analfabeta e illetterato nel senso autentico della parola, comincia a trascurare la famiglia ritirandosi in preghiera nella giungla. La moglie lo insegue più volte per sottrarre l’umile commerciante all’amore di Dio. Ma gli affari non appartengono a Tukaram, che impara a memoria i 36mila versi del commento di Jnaneshwari alla Bhagavad Gita… ‘Non ho mai letto libri’, canterà un giorno, vantandosi della propria insipienza, mentre percorre le strade polverose dell’India”. La conversione di Tukaram è legata all’arte del kirtan, la pratica dei canti devozionali: esasperato dall’estasi, l’analfabeta compone una vasta sequela di poemi, che ispirano e gli procurano discepoli. L’immagine del santo che intona il poema nella foresta, alla mercé dei predatori, a magnificarne la fame, ha lo splendore delle cose povere, diritte. Egli stesso, il maestro, cerca maestri.

Nell’iconografia tradizionale ha uno strumento sulle ginocchia, medita sopra una pelle di tigre: il turbante ha foggia di aureola, lo sguardo è saturo, risolto. Pare che i bramini, gelosi della sua fama, lo abbiano costretto a gettare nel fiume i suoi taccuini: Tukaram obbedisce, scivolando in uno stato contemplativo che dura tredici giorni; il quattordicesimo, il fiume deposita ai suoi piedi i quaderni perduti, asciutti, sacri. È il segno. “Hanno gettato i miei quaderni nel fiume./ Mi sono seduto ostinatamente alla porta di Dio:/ Narayana mi è venuto in aiuto”, canta il poeta. Morto presumibilmente nel 1650, il suo canzoniere è stato ricopiato, rimpolpato dai discepoli, tradotto: le poesie di Tukaram sono diventate, nei secoli, un ‘genere’. Piacevano anche a Gandhi, che, arrestato dagli ufficiali britannici, leggeva ogni giorno, ad alta voce, passi dalle Upanishad, dalla Bhagavad Gita, e le poesie di Tukaram: “La santità non si acquista/ non si può ottenere errando per deserti o foreste/ non si baratta con la ricchezza/ non è nei cieli né nelle viscere della terra./ Tukaran dice: È un patto con la vita/ se non darai la vita per averla, stai in silenzio”. La figura di Tukaram ricorda quella dei monaci taoisti, dei pellegrini poeti, dei folli in dio; la sua poesia, che distilla il sacro dal trogolo quotidiano, quella dei grandi vagabondi, Li Po, Ryokan, Basho… In Italia il mistico indiano è quasi ignoto, un’edizione dei Canti del Pellegrino è stata pubblicata da Sellerio nel 2001. Qui, in nuova traduzione, presentiamo una scarna silloge.

***

Salmo del Pellegrino

Ovunque vada, sei il compagno
che mi tiene per mano e mi guida.

Sulla via in cui mi incammino
sei il solo sostegno. Al mio
fianco, t’incarichi del fardello.

Mentre marcio, se erro
sei tu che mi perfezioni:
hai rotto le mie resistenze
o Dio sei tu che mi conduci.

Ogni essere, ogni uomo, ora
è il mio amato fratello.

Ora la gioia mi invade, mi assedia
dice Tukaram che è come
un bambino invitato a una festa.

*

Dici: quando sarò libero
quando l’inquietudine mi avrà mollato
allora percorrerò la solitudine per pregare!

Ma il desiderio ti braccherà ovunque come un cane
finché resti nel mondo mutevole:
il desiderio divorerà ciò che ti resta da vivere.

Infine, ne sarai distrutto:
il tuo attaccamento ti sbriciola,
e ricadrai nella fossa profonda
di una nuova esistenza.

Il corpo è impasto d’illusioni
che non ammettono riposo:
ti brutalizzano ovunque, in ogni istante
e i quattro giorni di una vita passano come un lampo.

Le ore preziose scorrono, sterili:
anche se avessi innumeri ricchezze
non puoi più riscattarle.

Forza, svegliati! Afferra il timone del tuo destino!
Altrimenti, dice Tukaram, sarai costretto a un lamento infinito!

*

La partenza

I pellegrini salgono al tempio
per congedarsi dal loro Signore.
Nel giorno della partenza
un’ultima ciotola di latte benedetto.
Ah, le gole annodate di singhiozzi!
Le lacrime s’impantanano nell’interiore.
Ci si bacia, augurano buona fortuna,
una scorta di coraggio.
Ah, l’intollerabile dolore della partenza!
Continuano a voltarsi, dice Tukaram,
per guardare un’ultima volta le guglie del tempio.

*

Ovunque, le tue impronte
il Tutto è in tutto pieno di te.
Forma, qualità, nome: Tutto ti somiglia.
Stoffa-di-nuvola: senza di te nulla è.

La terra su cui erro è il tuo piedistallo.
Ogni istante è sotto la tua benedizione,
il tuo amore mi riempie continuamente.

Da ogni parte, Dio, mi trafiggi:
speranze, disperazioni, il terreno mi è estraneo.
Dove andrei, cosa farei senza di te?
Sulle mie labbra, nel mio cuore, il tuo Nome, sempre.

Parlo soltanto con te,
dei tuoi nomi, le gesta, la gloria.
Il riso, i frutti che mangio
sono offerte rituali a te.
La mia marcia è una tratta verso di te,
il mio sonno, devozione davanti a te.
La sola cosa che vedo, che odo:
il tuo viso, la tua voce.

Pozzanghera, fiume, fontana: tutto è sacro
tutto è acqua, un Gange.
Palazzi, castelli, case, ruderi,
capanne: tutto è il tuo tempio.
Ogni parola ripete il tuo nome.
Noi, servi di Dio, dice Tukaram,
siamo sempre traboccanti d’amore.

*

Senza forma né lignaggio né nome
è il fiato dei nostri pensieri.
Senza fine né limite, senza colore né luogo
non ha famiglia né cinta di casta
non ha testa, braccia, gambe.
Lui, l’insensibile, l’insensato,
si fa sensibile per noi
gioia per i sensi che lo possono amare.

*

Il nostro mondo è annodato a Dio:
nel suo amore s’impiglia il tutto.

Corda che si tende
per legarti sempre di più.

Non sputare su questo mondo
la tua anima s’incunea in ogni altra!

Le loro gioie, i loro dolori impressi nel tuo cuore;
i tuoi nel loro: così dice la legge.

Che lo sguardo sia nitido, dice Tukaram:
il tuo viso s’irradierà su tutti.

*

Ti dono il mio viso
mi fai infinito…

Tra noi non più differenza
Io Tu, Tu Io, Tukaram.

*

Non posso più mentire
così ho preso a chiamare il mio cane “Dio”.
Lui mi ha fissato, imbarazzato,
poi ha sorriso, si è messo a ballare!
L’ho tenuto con me: ora non morde più!
Mi chiedo: dovrei usare lo stesso metodo con gli uomini?

*

Quando il sale si dissolve in acqua: cos’è la distinzione?
Allo stesso modo, mi sono sciolto nella gioia, mi sono perso in te.
Quando il fuoco e la canfora si uniscono: qual è il residuo?
Così, dice Tukaram, io e te siamo la luce.

Gruppo MAGOG