14 Settembre 2022

“Pensa che devi morire spogliato di tutto, irriconoscibile”. Il romanzo su Charles de Foucauld

Il 15 maggio del 2022, papa Francesco ha eletto Charles de Foucauld santo: la ricorrenza cade il primo dicembre. Ucciso il primo dicembre del 1916 da chi aveva aiutato e curato, nell’eremo di Tamanrasset, entro gli assoluti del deserto algerino, Foucauld porta in sé le stigmate dell’eccesso, di un cristianesimo vissuto fino all’estremismo e al paradosso, al parossismo della fede. “Pensa che devi morire spogliato di tutto, disteso a terra, nudo, irriconoscibile, coperto di sangue e di ferite, violentemente e dolorosamente ucciso… e desidera che questo accada oggi!”, scrive, prefigurando il suo martirio. Essere l’ultimo è votarsi all’ultimo sussurro, il sussulto di Dio, la rivelazione scabra, svestita. Poco prima che lo uccidano, Foucauld scrive:

“Il nostro annientamento è il mezzo più potente che abbiamo per unirci a Gesù e per fare il bene delle anime”.

Benché l’editoria sia sorda ad avventure spirituali tanto estreme – Foucauld non è ‘utile’ ad alcuna pia morale caritatevole –, sarebbe stato proprio questo l’anno adatto a tradurre Je ne pense plus voyager, il romanzo che François Sureau ha dedicato a “La mort de Charles de Foucauld”, edito da Gallimard nel 2016. Accademico di Francia dal 2020 – occupa il seggio numero 24, che fu di La Fontaine, di Marivaux, di Sully Prudhomme e di Henri Poincaré –, Sureau ha dimestichezza con le biografie romanzate e i romanzi storici: nel 2010 ha pubblicato quella di Ignazio di Loyola (Inigo, portrait). Più che altro, allo scrittore interessa

“il radicalismo di Foucauld, uomo completamente abbandonato a Dio ma che non ha convertito nessuno ed è guardato con sospetto dall’istituzione religiosa; il radicalismo del giovane ufficiale dissipato che svolta verso la povertà più estrema; la radicalità del monaco che si interessa alle tribù del Nord Africa, raccogliendone le poesie e le leggende, studiandone la lingua, benché i coloni le considerino pericolose e nemiche; la radicalità della lettura dei suoi Vangeli, che insistono sul Gesù anonimo, che precede la predicazione, lavora con le mani, da artigiano, ignaro… Di una vita, i vuoti e le mancanze, i fallimenti, valgono più dei trionfi, delle grandi gesta”.

Del libro, dunque, traduciamo le pagine iniziali. L’ultimo romanzo di Sureau, Ma vie avec Apollinaire, è stampato da Gallimard nel 2021; il prossimo, Un an dans la forêt, è previsto a novembre. Anche in questo caso, si tratta di una biografia romanzata: Sureau si sofferma sull’anno, il 1938, in cui Blaise Cendrars sceglie di vivere nei boschi delle Ardenne con la ricca avventuriera Elisabeth Prévost. Di altra ascesi – verso la vita – si tratta, in questo caso; ma sappiamo bene che questi termini, vita, morte, non sono ambivalenti bensì ambigui, ambidestri, intrecciati.

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“Je ne pense plus voyager”: il romanzo di Charles de Foucauld

Charles de Foucauld morì il primo dicembre del 1916, nel fortino che aveva costruito presso il suo eremitaggio, a Tamanrasset. Era tempo di guerra, il Sahara era sotto amministrazione militare: l’indagine giudiziaria fu condotta dall’esercito. Per troppo tempo, scomparsi i testimoni, sviati da versioni contraddittorie, l’indagine non ha permesso di chiarire con esattezza i fatti. A nessuno importava, ad ogni modo. Foucauld era morto come un santo, i santi si sottraggono alla banalità della giustizia terrena; e poi, c’erano molte cose da fare in quel deserto oceanico, valicato da correnti difficili da solcare.

Sulla tomba del padre passarono due guerre mondiali.

Tuttavia, era chiaro il ruolo svolto per facilitare l’assassinio da un uomo di nome El Madani Ag Soda, un protetto di Foucauld, a cui il padre aveva fornito i mezzi per acquistare un piccolo appezzamento di terra, sostenendolo nei momenti difficili. È proprio El Madani a far sì che Foucauld apra la porta del suo rifugio, ospitando i briganti che lo avrebbero ucciso. Questi guerrieri erano guidati da un avventuriero di nome Kaocen, che aveva dimostrato coraggio e scaltrezza contro i francesi a Ouaddaï e contro i turchi di Jafar Pacha: in seguito si sarebbe unito al groviglio arabo di T.E. Lawrence. Firmava le sue lettere “il comandante dell’armata Senussi”: era stato nominato con questo attributo dal gran maestro della confraternita. Nel luglio del 1916 aveva occupato Tarat e Djanet, ormai abbandonate dai francesi. Il suo piccolo esercito contava duecento dromedari, alcuni cannoni razziati a Ghat, una legione di soldati armati con fucili italiani con a capo un disertore. Nel corso delle sue vittorie, vessando le tribù locali, presentandosi come eroe della causa islamica, era riuscito a radunare un certo numero di tuareg.

Agli occhi di molti, era tempo di porre fine al dominio dei cristiani su quei luoghi.

Kaocen intendeva muoversi verso Agadès, due dei suoi accoliti preferirono Tamanrasset. Labed aveva ordinato di rimuovere gli europei: il marabutto bianco – come veniva spesso chiamato padre Foucauld – era più conosciuto e rispettato dell’ufficiale che comandava Fort-Motylinski. I disertori si unirono a El Madani, che aveva seguito Kaocen da Ghat. Si accamparono presso il pozzo di Tighrin. Tra loro c’era Sermi Ag Tora, un tuareg di quindici anni. La sera del 30 novembre la truppa passò attraverso lo wadi di Efoq: le loro tracce mostrano un uomo legato per il collo, aggiogato a un cammello, che li segue. L’ultima sosta fu presso lo wadi Amsel. Poche ore distavano da Tamanrasset, posto sulla riva sinistra dello wadi, sopraelevato di cinquecento metri, il luogo dove si era ritirato Charles de Foucauld.

Mentre la scarna carovana avanzava verso di lui, padre Foucauld continuava la sua vita, eguale a quella dei padri del deserto, secoli prima. In un angolo del forte, una riserva di armi, per rifornire, se necessario, la popolazione di Tamanrasset. Foucauld aveva abbozzato una risposta divertita al generale Mazel. “Ciò che sembrava sparito per sempre, riappare. Mi hanno affidato sei scatole di cartucce e trenta carabine Gras che ricordano la mia giovinezza”. Il fucile Gras era una carabina leggera, in uso presso la cavalleria coloniale, pesava tre chili, calibro 11 mm, gittata 400 metri. Era già stato rimpiazzato dai fucili Lebel. Erano l’arma di tutti i contrabbandieri del territorio dell’impero francese, una specie di profezia del Kalashnikov. Esiste una fotografia, scattata ad Aden, in cui Rimbaud veglia su un carico di queste armi, insieme ad alcuni amici: del loro commercio avrebbe goduto Monfreid; ancora oggi i Dancali delle montagne di Gibuti percorrono vaste distanze con questo bastone mortale incoccato sulle spalle.

In diverse occasioni, Foucauld si era chiesto se distribuire o meno quelle armi: uno scrupolo lo aveva bloccato. Ne aveva donate alcune agli abitanti del bordj, dopo un attacco a un convoglio nelle vicinanze. Se Fort-Motylinski fosse caduto, il nemico avrebbe impiegato un giorno per raggiungere Tamanrasset. C’era stato, tra l’altro, il “complotto di Amsel”, il tentativo, fallito, di rapire il marabutto, a cui Madani, a quanto pare, aveva prestato aiuto. Il 20 ottobre, sul suo taccuino nero, Foucauld appunta, “Ho visto sei uomini di Amsel che cercano El Madani”. Poche settimane prima, aveva curato Madani da una forte infezione all’occhio sinistro.

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La notizia della morte di Charles de Foucauld non fu immediatamente nota. Alcuni meharisti indirizzarono i corrieri nel deserto. Il rapporto militare, partito nel pomeriggio del 3 dicembre 1916 da Fort-Motylinski raggiunse Ain El Hajjaj la mattina del 12. L’ufficiale di servizio lo trasmise a Ouargla, che lo trasmise a sua volta al governatore generale dell’Algeria. Fu soltanto il 15 dicembre che, come è probabile, il generale Hubert Lyautey, allora ministro della guerra, lesse, squadernato da un suo ufficiale, il seguente telegramma: “Una banda di 50 o 60 uomini ha fatto irruzione a Tamanrasset (ovest di Fort-Motylinski). Padre Foucault [sic] e 3 militari sono stati uccisi. La banda ha annunciato imminente attacco a Fort-Motylinski tramite un mehalla in formazione presso Tin-Tarabîn”. Lyautey aveva occupato il posto al governo due giorni prima; non vi sarebbe rimasto a lungo. Decise di cedere i poteri al generale François-Henry Laperrine, definito – con irritazione da parte del governatore generale dell’Algeria – “Re del Sahara”.

Diverse missioni perseguirono invano gli assassini. Il capitano de La Roche, smobilitato, tornò in Francia con le reliquie del fortino. Durante il passaggio ad Algeri, fu ricevuto dai padri bianchi presso la Maison-Carrée: uno di loro trascrisse il dialogo in cui La Roche fa giustizia della favola secondo la quale Foucauld era stato obbligato a recitare la preghiera che converte all’islam. Sospettando di Paul Embarek, “amico di dubbia lealtà, accolto dal padre per dieci anni senza che abbia dimostrato alcuna coerenza morale”, La Roche lo aveva interrogato in diverse occasioni. “Quando sono arrivato al forte, ho visto il padre legato e sdraiato presso la porta. Pregava, non disse nulla”.

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Il tempo passava. L’amministrazione, anche quella militare, non dimenticava nulla: ogni sottoufficiale dei plotoni nomadi custodiva, in un portacarte di cuoio attaccato alla sella, un avviso di perquisizione, ogni anno più vecchio, che recava i nomi di “Madani”, “Al Madani”, “El Madani Ag Mohamed Soda”, a volte detto “Ag Guibo”, ricercato dal 1916 “per il presunto assassinio di padre Foucauld”.

Intorno al 20 luglio del 1944, quasi trent’anni dopo il delitto, la compagnia di meharisti del tenente Vervialle, catturò in un’oasi El Madani Ag Soda. Fu immediatamente presentato al comandante di battaglione Florimond, capo dell’Ajers, residente a Touggourt.

Sono andato a rintracciare il fascicolo del maggiore Florimond negli archivi militari. Forse perché ho frequentato troppo a lungo chi pensa di essere qualcuno o qualcosa, amo gli uomini dimenticati, i piccoli ruoli che hanno giocato nella Storia. Immagino spesso i loro destini, il loro mistero, come trascinati su una mappa invisibile dove mille sentieri convergono sull’unico punto, centrale, che ci sarà svelato nell’ultimo giorno.

Questa scheda ingrigita narra la vita di un militare affetto dal nomadismo, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1898, studi a Saint-Cyr, combattente a Guise e in Alsazia, prima di essere assegnato, nel 1920, alla legione siriana e nel 1930 alla compagnia sahariana dell’Hoggar. Non lascerà mai il Sahara, instancabile geometra di tracce sommerse ed enigmatiche, al punto che Roger Frison-Roche, in un reportage del 1950, si getterà nel deserto “sulle orme di Florimond”. Dopo l’indipendenza dell’Algeria, si stabilirà in una carovana ai confini del Niger, vivendo di piccoli traffici che gli frutteranno una piccola condanna, prima di sparire nel nulla.

François Sureau

Gruppo MAGOG