09 Novembre 2020

A cento anni dalla nascita, Tonino Guerra è ancora un enigma. Elogio dell’artista che ha compreso la meraviglia

Trovare un artista davvero libero è una rarità. Non mi riferisco ai gioghi dell’editoria, al peso delle ideologie o all’attenzione verso le prepotenze del mercato. Parlo di un vero senso di libertà che traspare dalla pagina scritta; l’impressione, leggendo, di entrare nella testa dello scrittore per lasciarsi cullare dalle immagini della sua mente. Certo, ci sono scrittori coinvolgenti, appassionanti, ma raramente mi è capitato di percepire una autentica libertà come quando leggo Tonino Guerra. Forse tra gli artisti maggiormente sottovalutati, spesso confinato nella sua Santarcangelo di Romagna come poeta del dialetto, oppure ricordato come sceneggiatore di pellicole di grandi registi, Guerra è tra gli ultimi grandi artisti del ’900. Perché Guerra, con le parole, faceva quello che voleva. Scopriva le cose semplici con la stessa meraviglia dei grandi esploratori davanti a terre sconosciute. A Guerra non occorrevano caravelle, era sufficiente un trenino sgangherato, quattro passi dietro casa, per scoprire cose insospettabili. Se il poeta e sceneggiatore sono ormai riconosciuti, il prosatore e pittore restano tasselli ancora poco studiati di quel grande enigma che è stato Tonino Guerra.

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Nel leggere alcuni suoi racconti (sarebbe inesatto definirli romanzi) come La pioggia tiepida, I cento uccelli, L’uomo parallelo, ci accorgiamo subito dell’immensa quantità di stimoli, sensazioni o intuizioni “ammassati” in poche pagine. Capitoli di poche pagine, dalla scrittura fluida e discorsiva, impongono una pausa, una riflessione, prima di poter procedere. Quando scrive, si ha l’impressione che stia scoprendo il mondo, ogni volta, come nel rinnovarsi di una nascita. Tonino Guerra nasce in continuazione, eterno nascituro. Che si tratti di un odore, un suono, un colore, un gesto o un incontro fisico, Guerra lo descrive con le parole non di un bambino, ma con le parole di un uomo che ne comprende finalmente la meraviglia. Un fiocco di neve, una foglia, un pavone, le macerie di una casa distrutta, diventano improvvisamente vere soltanto dopo che Guerra le ha plasmate con le parole.

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«Mi fermo davanti a un portoncino rosa con una lampadina nuda sotto una vecchia tettoia di ferro. Riscopro il rosa, un rosa da carne di bambole ridipinto più volte a mano e poi lasciato cuocere al sole per una lievissima abbronzatura. Sicuramente inusuale per un portoncino. Ecco, questo suo trovarsi a disagio mi fa capire che il rosa può avere buone probabilità di impiego al di là degli indumenti intimi femminili. Insomma un rosa maschile. Anche questo, come tutti gli altri portoncini della strada, è affondato sotto il livello stradale fino all’altezza della maniglia. Agagianin ricorda che i sassi sepolti dall’asfalto avevano quel rosato del portoncino e nei giorni che li coprivano col catrame, lui veniva a salutarli a uno a uno restando in piedi sul bordo della strada accanto agli operai indaffarati e al rullo compressore che spianava definitivamente l’asfalto» [La pioggia tiepida]

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Ma non è soltanto maestro nel forgiare o nello scoprire, è anche un abile giocoliere, nasconde favole dentro altre favole, è costruttore di finissime matrioske. In questo disseminare di stimoli e suggestioni, in questo continuo aprire discorsi senza mai portarli realmente a termine, ritroviamo i tratti isterici del genio inarrestabile, dell’inventore sopraffatto dalla sua stessa fantasia. Un fatterello, una leggenda, conficcati come diamanti lungo le pagine dei suoi libri, sono finestre su mondi interi che mai toccheremo, ma di cui la mente del poeta ci regala un assaggio, una carezza. Tonino Guerra sembra un uomo ricchissimo di storie che getta qua e là mentre passa, mentre trasvola l’Atlantico o attraversa in corriera la Georgia, quasi ne avesse fin troppe in tasca e non sapesse che farsene. Certo, è noto per il suo estro, per le poesie o per quelle massime, quelle citazioni che leggiamo per poi dimenticare. Ma dietro l’apparente semplicità di Guerra si nasconde uno scrittore profondo, sopraffatto dai mondi che si porta dentro. Nei suoi racconti troviamo uomini in cerca dell’impossibile: «Già mi rendevo conto che lo scopo principale del mio viaggio in Georgia, più ancora della salute, era la ricerca delle misteriose cattedrali di legno dove visse il monaco Nicolaiev, ex colonnello Rosati ormai diventato a tutti gli effetti nonno del generale Gagarin» [La pioggia tiepida].

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Oppure in cerca della propria casa, intesa nel senso più ampio possibile, come luogo dove trovare la propria essenza. Personaggi come il protagonista de L’uomo parallelo paiono scomposti, a pezzi, non solo dai comportamenti, dagli atteggiamenti, ma anche da come interpretano il mondo: «Quando gli alberi e le case e i pali della luce si mettono a correre è segno che sono in treno o in macchina» [L’uomo parallelo].

Guerra cambia la prospettiva delle cose, delle persone, del tempo, con la naturalezza con cui giocano i bambini. Così, a cento anni dalla nascita, grazie a un colore, un suono, una nuvola che si smonta e si ricompone in cento mille forme, Tonino Guerra non è l’eterno bambino che si stupisce davanti al mondo, ma è l’uomo che nasce ancora, e ancora, e ancora…

Valerio Ragazzini

*In copertina: Tonino Guerra insieme a Michelangelo Antonioni, con cui ha scritto capolavori come “La notte”, “Deserto rosso”, “Blow-Up”, “Zabriskie Point”

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