13 Luglio 2024

“Finalmente, torno alla Natura!”. Tao Yuanming, il poeta amato da Pound e da Valéry

Tra i grandi classici cinesi, Tao Yuanmingn è il quintessenziale. La sua forza, probabilmente, è nell’ispirazione a spirale, nell’orgoglio di chi sparisce nella macchia, all’assalto. La metafora non è impropria: una delle immagini cardinali della pittura cinese mostra Tao Yuanming, il poeta, che tiene il braccio di Lushan Huiyuan, severo maestro buddista, e quello del taoista Lu Xiujing. I tre ridono, ebbri di chiacchiere; una tigre li avverte, con un ruggito, che hanno superato i domini del tempio, hanno invaso il suo territorio di caccia. Naturale l’osservazione che ne segue: la poesia è una forma di alta sapienza, vigilata dalla fiera, sotto assalto della belva.

Al di là dell’iconografia, Tao Yuanming era un uomo buono vissuto in un’epoca feroce. Nato nel 365 nella provincia di Jiangxi, non lontano dal monte Lu, tra boschi a dirupo, Tao Yuanming discendeva da una famiglia – pur impoverita – di alti generali e di burocrati di primo livello. Anche lui, tra diverse reticenze dovute a un carattere implume, votato alla compassione e alla contemplazione più che agli intrighi di corte, si avviò alla carriera da funzionario. Visse, da dentro, i torbidi del periodo delle “Sei Dinastie”: si accorse della corruzione, della delazione, della violenza dilagante – sul campo di battaglia come nei quadrilateri del cuore. Lo circondavano cinque figli.

Insomma, infine Tao Yuanming mollò gli apparati burocratici, fece ritorno tra i boschi: visse lì per oltre vent’anni, ospitando gli amici, alternando la scrittura alla mescita del vino. Festosa creatura di tutto priva dunque per tutto grata, preferì un’esistenza frugale, di sentimenti primi, ben testimoniata dai suoi versi, in cui convergono elementi confuciani, buddisti, taoisti. Morì nel 427, è il primo poeta ‘paesaggista’ cinese, che anticipa una poetica divenuta canone: voltare le spalle al chiasso del mondo, ritirarsi in una ‘capannuccia’, coltivando crisantemi e alberi da frutta, dando ricovero agli sconosciuti. La poesia più nota di Tao Yuanming, Ritorno ai campi (altrimenti: “Ritorno a casa”), per dire di una dinamica dell’essere che sconfina oltre i dettami Oriente/Occidente, scardina i millenni, riappare in The Lake Isle of Innisfree di Yeats, ad esempio, negli inni di Wordsworth, nelle nostalgie del Pascoli. Poesia: rabdomanzia del ritorno, dell’uomo riferire la fiera, la palafitta in versi.

In Italia, alcune poesie di Tao Yuanming sono state tradotte da Giorgia Valensin nell’antica antologia delle Liriche cinesi Einaudi; Antonio Cosimo De Biasio ha tradotto il ciclo Bevendo il vino per La Biblioteca della Dimora (agosto, 2022; grazie a Tao Yuanming il vino diventa un topos della poesia cinese – basta leggere il fenomenale Li Po – come poi lo sarà, congiunto all’ebbrezza mistica, della poesia persiana). Nel mondo inglese, tra i tanti, Tao Yuanming ha avuto un congeniale traduttore nel ‘solito’ Arthur Waley, che lo antologizza in A Hundred and Seventy Chinese Poems (1919), anglicizzando; nella sua formula, il maestro cinese sembra Orazio:

“Le nuvole resistono, rotolano.
Pioggia continua, acquazzoni
nelle Otto Direzioni – medesimo il crepuscolo.
Presso la pianura, il grande fiume.
Ho del vino, ho del vino:
oziando, lo sorseggio alla finestra orientale.
Penso intensamente ai miei amici
ma né barca né carrozza appaiono all’orizzonte”.

Ezra Pound rende la stessa poesia così, tra energumeni, energizzanti tradimenti:

“Pioggia, pioggia, acquartierate nubi
gli otto strati del cielo sono tenebra
la pianura muta in fiume.
             Vino, vino, ecco il vino!
Bevo presso la finestra a Est.
Penso di parlare a un uomo
e nessuna barca, nessun cargo si avvicina”.

In Francia, le poesie di Tao Yuanming – cioè, a loro modo, T’ao Ts’ien – hanno un eccellente confidente – a cui affidare quel linguaggio – in Liang Tsong Tai. Cinese versato nella poesia francese, entrò in amicizia con Paul Valéry, che scrisse una appassionata prefazione a Les poèmes de T’ao Ts’ien, stampato nel 1930 in edizione di lusso – tiratura di trecento copie, con tavole dell’artista sino-francese Sanyu – dalle Éditions Lemarget di Parigi (ne devo la scoperta ad Alessandro Burrone, eccellente studioso di lettere cinesi, che ringrazio). Valéry, come sempre, capisce molte cose. Intanto, esalta l’ostinato legame, proprio dell’antica civiltà cinese, tra politica e poesia:

“Quella cinese è – meglio: era – la più letteraria delle civiltà, l’unica che ha osato affidare la cura del governo agli studiosi, in cui i maestri eccellevano nella calligrafia più che nell’arte dello scettro, che aveva nella poesia il più sublime tesoro”.

Incommensurabile paradosso: la poesia aiuta a raffinare l’attività di governo o ne precisa la crudeltà?

L’altro punto riguarda la semplicità che distinguerebbe i versi di Tao Yuanming, esito di una maestria passata per il regime dell’abbondanza:

“L’estrema raffinatezza, in tutti i paesi e in tutti i tempi, giunge sempre a una sorta di suicidio: si esaurisce nel desiderio della semplicità suprema; una semplicità perfetta, però, simile alla strabiliante frugalità di un uomo ricchissimo che si fa vestire dal più caro dei sarti, la bellezza della cui stoffe – e il loro clamoroso prezzo – sia impercettibile a prima vista, o che si nutre soltanto di frutta, coltivata, però, con grandi spese nelle sue campagne. Intendo dire che esistono due forme di semplicità: la prima, primitiva, deriva dalla mancanza, la seconda dall’eccesso, da un disilluso abuso. La celebre semplicità dei classici, la loro composta nudità, quella purezza così lontana dall’innocente, appare soltanto dopo periodi di disordinata abbondanza ed esperienze accumulate da un disgusto ispirato dall’eccesso di ricchezza, dalla necessità di ridurre all’essenza i propri desideri”.  

La traduzione è introdotta da una lettera di Liang Tsong Tai a Jean Prévost: “Caro amico, queste poesie hanno riposato a lungo nel mio cassetto. Disgustato da troppe cattive traduzioni della nostra poesia, ho temuto di profanare a mia volta quei capolavori, e non ho osato mostrare gli esiti del lavoro. Una sera, alla luce di un lampione, lungo la Senna, te le ho fatte leggere. Con mia sorpresa, hanno trovato in te pronta approvazione”. Come a dire: la poesia reca – anche – lo stigma di un’amicizia.

Di Tao Yuanming il suo traduttore scrive che “si distinse per semplicità e naturalezza, in un’epoca in cui predominava la sovrabbondanza verbale e la ricchezza di immagini. La sua arte raggiunge una tale pienezza da apparire spontanea. Il labor limae non lascia crepe”.

Una tavola di Sanyu per l’edizione francese delle poesie di Tao Yuanming

Che ai suoi tempi fosse poco considerato è naturale martirio di chi insegue il genuino. Tao Yuanming cambiò diversi nomi; voleva sedare i seguaci, confondere le tracce. Poesia, forse, è proprio questo introdursi in una ferina spontaneità, tale da perderti: il trasalimento che si fa assalto, l’opera occulta della tigre, una qualche indefettibile fermezza. Il rigore, forse – analogo, per estro, alla sregolatezza.

***

Sostanza, Ombra, Spirito

La Sostanza all’Ombra:

Da sempre esistono cielo e terra.
Fiumi e montagne non cambiano mai.
Ma nel loro moto incessante
erba e albero mutano di volta in volta
appassiscono e rinverdiscono
grazie alla rugiada e al gelo.
L’Uomo saggio, l’Uomo divino
riusciranno a sfuggire da tale destino?
Per un istante sei al mondo
poi d’improvviso sparisci e non torni mai più.
Come fai a sapere se gli amici che hai lasciato
piangeranno la tua perdita?
Ciò che resta sono soltanto suppellettili:
al vederle, lacrime rigano il viso dei parenti.
Non possedendo l’immortalità
subirai certamente la stessa sorte.
Dunque, ascolta il mio monito:
se hai del vino, bevine.

L’Ombra alla Sostanza:

L’arte dell’immortalità è pura follia:
impotenti siamo a preservare la vita.
Erravo con gioia nel Palazzo di Ts’oung-Hua;
ma qual è il cammino che dovremmo seguire?
Da quando mi sono unito a te
abbiamo condiviso gioie e dolori.
Soltanto al buio ti abbandono
ma a te sono legata ogni giorno.
Effimera è la nostra esistenza
debordiamo dal mondo, siamo per svanire.
Che con il nome scompaia la nomea
è un pensiero che mi corrode il cuore.
Finché siamo in tempo, lottiamo e lavoriamo
per compiere buone azioni, necessarie perché
ci si ricordi di noi. Il vino dissipa il dolore
ma è pari alla rinomanza?

Lo Spirito conclude:

Dio è colui che agisce
la creatura controlli se stessa.
L’uomo, grazie a me, è al secondo dei Tre Ordini.
Benché abbiamo origini distinte
siamo nati l’uno nell’altro.
Invano ci sforziamo di evitare
l’intima mistura di bene e di male.
I Tre Imperatori erano santi
ma dove sono adesso?
Il maestro P’eng ha vissuto a lungo:
voleva vivere ancora, infine è morto.
Poveri o ricchi, tutti devono morire!
Il semplice e il saggio non protestano.
L’ebbrezza ci dona un temporaneo oblio
ma accelera la nostra vecchiaia.
Le buone azioni non sono forse un bene in sé?
Non occupiamoci delle lodi altrui!
Troppi pensieri ti ostacolano.
Piuttosto, va’ dove ti guida il destino
imbarcati sull’onda dell’eternità
senza gioia – senza paura. Quando occorre
partire, parti – senza più lamentarti.

***

Ritorno ai campi e ai frutteti

Da giovane, non sopportavo le folle:
la mia unica passione era per le montagne e i colli.
Accecato, caddi nella Trama della Povere
da cui fui liberato soltanto a trent’anni.
L’uccello in gabbia anela l’antico bosco
il pesce nello stagno ricorda la prima fonte.
Ho acquistato un pezzo di terra a Sud:
voglio una vita frugale, tra campi e frutteti.
La mia terra si estende per dieci acri;
nella mia capanna di paglia salici e orecchie
di mare ombreggiano le gronde;
peschi e susini pattugliano la stanza.
I villaggi sono lontani, tra spirali di nebbia;
il fumo delle case si snoda come una serpe.
Il cane abbaia in fondo a una via
il gallo canta sulla cima di un gelso.
Alla porta, presso la corte: neppure un mormorio.
Nelle camere regnano silenzio e quiete.
Troppo a lungo ho vissuto prigioniero
in una gabbia: finalmente, torno alla Natura!

*

L’ombra impera sul bosco di fronte alla mia stanza:
mezza estate, dilaga la frescura.
Lo scirocco segue il corso della stagione:
il mio petto si apre alle sue raffiche.
Libero da ogni legame, vivo in solitudine.
La mattina suono l’arpa e leggo.
La lattuga è ancora umida nell’orto;
ho ancora molto grano.
Per sostentarmi, devo pormi dei limiti:
abbondanza non è ciò che desidero.
Macino il miglio, faccio il vino;
quando il vino è pronto, me ne verso un po’.
I miei nipoti giocano insieme a me:
sillabe strabiche, primo alfabetico gorgoglio…
Che gioia infinita: dimentico
subito l’alloro e la corona della gloria.
Lontane, lontane, le bianche nubi:
su quelle antiche pagine si perdono i miei sogni.

*

Affamato, parto
senza sapere dove.
Cammino e mi trovo
in un villaggio sconosciuto.
Busso alla porta, balbetto.
Divina il mio viso, sorridi
accoglimi. Tra le risate e il vino
parliamo fino a sera.
Felici della nuova amicizia
cantiamo e componiamo poesie.
Grazie, amico, per la tua
ineffabile bontà: come potrei
mai ricambiarti? Forse
in un’altra vita…

*

Costruisco la mia capanna tra gli uomini:
qui vicino, cavallo e carrozza non fanno rumore.
Come è possibile?, mi chiedi.
Un cuore remoto crea la sua solitudine.
Colgo i crisantemi presso la siepe orientale:
il Monte del Sud mi appare regale, severo.
La nebbia corona i colli, a sera,
gli uccelli tornano, in ampi stormi…
In queste cose c’è una verità profonda
che le parole non sanno esprimere.

*

Anche la mia lettera è povera

Gelido è l’anno ormai invecchiato:
cerco il sole sotto il porticato
ha una veste di cotone.
Il frutteto del sud è spoglio
rami morti si accalcano a nord.
Svuoto la bottiglia, bevo fino in fondo
e dalla cucina non si alza il fumo.
Libri e poesie attorno alla seggiola:
la luce si sbriciola e non potrò leggerli.
La mia esistenza qui non è un’agonia:
a volte però ho indugiato in pensieri tristi.
Non rimproverarmi, allora, se per sedare
l’angoscia mi dico che i saggi
dell’antichità hanno vissuto la mia stessa vita.

Tao Yuanming

*In copertina: Sanyu, Rami, 1963

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