31 Gennaio 2024

“Per chi ha inventato il cuore umano”. Le poesie di Héctor Murena

Silenzio
io mi unisco al silenzio
mi sono unita al silenzio
e mi lascio fare
mi lascio bere
mi lascio dire.

(A. Pizarnik, Otro Poemas (1959) en Poesia Completa, ed. Lumen, 2000)

La parola sorge e svanisce nel silenzio, lo tradisce e lo serve; lo spazio vuoto in cui la parola poetica agisce è spazio sacro: un’aura di mistero circonda il vocabolo pronunciato, l’atmosfera del tremendo, dell’infinito, in cui si deve far ritorno una volta che la parola è stata detta; per questo motivo la parola portatrice di mistero chiede “una lettura lenta, interrotta per meditare e tentare d’assorbire l’incommensurabile” (La metáfora y lo sagrado). È questo il regno numinoso in cui i versi di Héctor Murena agiscono.Scritto nel 1964, El demonio de la armonía è un momento di svolta nella poesia dell’argentino; i versi sono brevi, immutabili,  le parole sono pietre di un  sudamericano giardino zen. Le ventitré poesie che vi sono contenute sono divise in strofe asimmetriche, sono dominate dalle interruzioni, dal silenzio. In un intervento comparso sulla rivista SUR nel 1965, Alejandra Pizarnik cosi si esprime sulla sensazione globale trasmessale da questa raccolta:

…serie di frasi brevi continuate da silenzi che intervengono con la frequenza della frase; dissoluzione di temi- frammenti di realtà e irrealtà che vanno e vengono in curve molto rapide. Questa fugacità musicale dei significati è la trama di ogni poesia: concetti metafisici, oggetti solitari, immagini liriche, s’intercalano, si allacciano in un istate, per cedere il passo ad un piccolo silenzio che, a sua volta,  passa a una nuova serie di frasi o una sola frase. Poesia allusiva, reticente, sospettosa, furtiva.

In calce tradotte per la prima volta in italiano una selezione.

***

APOGEO DELLA SIMMETRIA

Lo spazio sorge
da un gesto, divorata
dalla luce s’appaga l’alba, tutto
attende al principio
di un dialogo,
però nel centro
nessuno in lutto
giunge.

Quando sono solo,
una dimensione
in cui negandomi
rinascono mi circonda,
profumo traslucido
che già non sento,
non sono mai solo.

Si zittisce il cuore,
s’abbandona il cane,
s’eclissa
la mia ombra
sempre
insieme
giace l’altro
nel pallido
ognidove.

Un’ascia cade
morde la cenere,
nella sua presa
si fonde:
se io fossi,
chi sarei.

*

TEMPO DEL NIENTE

La nudità del pane
e del sale, l’esplosione
purpurea, l’albero
del cielo, cosa
divennero?

Inizialmente un grido,
un lampo
viscerale,
nel respiro
si ripercuote,
onda arcana
che parte
e seduce,
ogni vocabolo
è opportunità
di vita o morte
che defloriamo
prodighi
fino
all’abisso.

Quindi Trattieni,
Ascolta
il canto del passero
per cui trema anche
il sangue del malvagio:

Guarda fisso.

*

LA CASA DELA MEMORIA

Dietro la porta
della malattia
un pianoforte suona
una melodia
sconosciuta di fiale
e argento.

Prole della solitudine!
Significa
quello che vuoi
intensamente,
Il rimedio, il pugnale
la chimera,
l’ottenuto
nascere
di un bacio.

Curati del tuo silenzio,
non riempirlo,
non svuotarlo,
tutto è menzogna
conta solo un gesto,
uno sperone
preparato
senza discesa.

Così in un piano
morto
palpita la bianca
medusa del tempo,
mentre la pioggia
come infinito
cade.

*

 L’AGUZZINO DEL NADIR

Sopra una collina
coperta dal sole
e da bianche rovine
due scheletri eretti
il vento imparziale
bevono. Sono i sovrani
della realtà
sul suo trono
d’esilio
seduti.

Diminuire.

Cosa? Incubo forse,
che forziamo nella ragione?
Un’arte condannata
all’asfissia
per le sue proprie
leggi, la lebbra
di un pianeta
in cui troppi
abitiamo? Il testo
del nostro copione
brutalmente
s’interrompe,
lo scherzo, la confusione,
la sfida
ci contemplano
speranzosi.

Per segnalarci qualcosa
il martello sonoro
alle origini
scoppia,
contro il disco oro
del ritmo essenziale
la furia
con la fatica colpisce.
Cosa?

*

IL POSTO DEGLI ASFODELI

Sul suolo
si posa
il piede del viandante
o sulla corda
tesa della fatalità.
Uguaglianza e differenza.

Però fra il sempre
e il nulla
un fulmineo lago
dove
il rumore
che ci chiama mortali
affaticato
s’appaga.
Occhio invernale, orizzonte
amico, pronta materia,
oltre i limiti
ci abbandoniamo
senza perderci,
la dimenticata
canzone del tutto
viene
sull’aria d’oro,
accarezza le tempie.

Paradiso, inferno
se non lo portiamo
dentro.

*

BESTIA SENZA AUREOLA

Identità suprema
dell’arcangelo di ferro
verso cui l’uomo
nel cammino corre
pregandolo solo
con la sua smemorata
ombra.

Passato è l’occasione
sempre
passa,
quietate acque
dell’anima, lugubre
calendula
dell’occhio
sostituta, morte
stella
a te estranea
più che tu
per te stesso.

Chi si vide? Uscì
qualcosa dall’amniotico
degrado? Chi s’udì
fra il coro di risate?

Avanti e indietro
lontano e vicino,
sopra e sotto,
nelle sette
direzioni,
non so, niente
successe in verità
dove e qui Lui
sulla bilancia del terrore
viene calcolato:

Colui che deve uccidere
uccida,
Colei che deve generare
generi.

*

Oggetti di Penombra

Crepitano
foglie verdi
ardono
nell’assurdo,
lento matrimonio
del vento
e del fuoco.

Perché esistere?
Della sua scimitarra
armato
lo stridore celeste
e oscuro
attraversa
il mondo.
Chi
mise ordine
con questo peso
fatale
di occhi,
di fango
e in sogno?

Intanto,
ironia,
mastini,
un revolver
all’alba
spara,
diluvio
di mele,
la vita sempre,
sempre la vita
per niente.

*

Aquila remota

Si racconta la corteccia,
s’incorona l’inganno
alla danza incatenata
lo zero sempre giunge.

Chi chiama?

Sotto
ai petali di ferro
del suo nome
la creatura tutta geme,
impugna esilio,
oppone grazia, un grido
che non dura,
sostanza
ostinatamente verginale.

È l’assassinato o
il santo, un panico
discendente, un utero
Infinito
o l’estrema
Impossibilità d’amare:
nessuno lo comprende,
cade il ramo rosa,
macchia,
marcio,
lo zodiaco intero.

E nell’assenza di sé
Ubriachi, diurni,
Tutti alla fine
rivolgono,
mordono
un sapore silenzioso
che non speravano
di trovare.

*

La vita verso tutto

Nel melograno spaccato
nell’idea ossessiva,
nei costretti testimoni, nella maschera
mortuaria o nello specchio
smarrito
che all’adolescenza
assomiglia.
Qualsiasi punto
è l’inizio.

Sì.

Tanto il male
quanto il bene,
ogni movimento entra,
nella scrittura
sanguinante
viaggio nostro
in altre dimensioni, nel regno
dei poteri che dispongono,
nel cipresso
la nostra mano tocca
il cipresso insonne
sotto il cipresso.

Sì.

E la fonte
che sta nel centro
le sue branchie
subito apre
le sue ali pettorali,
s’alza la colonna
chiama i mari,
la folla, mezzogiorno,
appare la pienezza
vestita di Presenza.
Mai ci fu un prima
e il grappolo che trema
Ha il colore
di sempre

Sì.

Eppure,
chi ha inventato il cuore umano

*La scelta e la traduzione sono di Tony Vero

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