“Un mostro infinito imperversa dentro di me”. Un talento francese: Léna Ghar
Libri
Anna Chiara Santacà
Inserito a pieno titolo in quella ristretta élite di privilegiati che nella prima metà del Novecento si spostava in un perenne vagabondaggio di lusso tra le grandi città europee, la Costa Azzurra, Capri con qualche divagazione esotica nelle colonie dell’Impero britannico in Estremo Oriente, a prima vista William Somerset Maugham (1874-1965) sembra la quintessenza dello snob inglese, anche se in realtà era nato a Parigi e ha trascorso la maggior parte della vita, quando non era in viaggio, in Francia.
Risentito con il destino per la prematura scomparsa dei genitori e più in generale con madre natura che non era stata particolarmente benigna nei suoi confronti regalandogli una pronunciata balbuzie e una statura non proprio imponente. Cinico, disincantato, spesso sarcastico e per questo malvisto da molti contemporanei eccellenti, convinti di riconoscersi nei protagonisti delle sue storie. Dunque, Maugham non aveva proprio niente per attirare le simpatie del prossimo, eppure è stato uno degli scrittori di maggiore successo della sua epoca e tutt’oggi leggerlo è un autentico piacere per ogni lettore degno di questo nome. E questo grazie a una straordinaria qualità come narratore. Già, perché Maugham scrive in modo divino. Abilissimo a maneggiare le parole, si esprime in una prosa semplice e fluida con una leggerezza di tono che ha del sovrannaturale. Il suo è uno stile che danza sempre su un filo sospeso tra un aristocratico scetticismo e una caustica ironia. Il tutto condito da un impareggiabile gusto del paradosso. Un autentico virtuoso nell’arte di costruire dialoghi sempre brillanti ed efficaci. Insomma, un uomo nato per raccontare.
Cresce a Parigi perché il padre è addetto all’ambasciata britannica in Francia, ma, dopo la morte di entrambi i genitori torna in Inghilterra e si laurea in medicina. Eserciterà la professione solo per pochissimi anni, anche grazie all’immediato successo riscosso dal suo primo romanzo, Lisa di Lambeth, uscito nel 1897. Ammalatosi di tubercolosi si trasferisce nel sud della Francia e poi a Parigi. Intanto continua a scrivere romanzi e contemporaneamente le sue commedie spopolano nei teatri.
Scrive bene, ha successo di pubblico e guadagna molto, tanto che negli anni Trenta arrivò a essere considerato lo scrittore più pagato al mondo. Si può permettere di acquistare una magnifica villa a Cap-Ferrat e inizia a raccogliere quadri dei maggiori pittori moderni.
La sua produzione svaria da grandi romanzi, primo su tutti Schiavo d’amore, a numerosissime commedie, fino ai racconti, che a parere di molti, e anche mio, sono il vero e proprio fiore all’occhiello di Maugham. Non a caso è stato paragonato a Maupassant come autore di short stories. Mi piace citarne uno per tutti, Pioggia, noto anche per la trasposizione cinematografica con Rita Hayworth. Un racconto in cui Maugham mette da parte la proverbiale elegante leggerezza delle sue commedie per affrontare a muso duro quei temi profondi che vanno al di là delle apparenze. Basta prenderlo in mano e cominciare a leggere per restare inchiodati fino alla fine. La storia di uno scontro epico tra un missionario e una prostituta, una lotta tra lo spirito e la carne combattuta senza esclusione di colpi sotto una pioggia torrenziale e incessante che marchia a sangue tutto la vicenda:
«Non era la pioggerellina inglese, che cade gentilmente sulla terra; era una pioggia spietata, in qualche modo terribile; ci sentivi la malignità delle forze primordiali della natura. Non cadeva, fluiva. Era un diluvio celeste, e batteva sul tetto di lamiera con un’intima rabbia».
Un racconto magnifico che ha il fascino perverso dei grandi incontri di pugilato. Pagina dopo pagina il lettore assiste da bordo ring a uno spettacolo spietato, ma straordinario, fino al finale che è un autentico colpo da K.O. Una grande metafora della vita, che non è quella passeggiata di piacere che vogliono farci credere tutti quei paraguru alla pastrafolla che ci affliggono dalla mattina alla sera, ma una lotta dura, feroce, crudele dove alla fine non vincono tutti. La scrittura di Maugham ha un ritmo incalzante, che ti coinvolge in modo quasi parossistico fino a lasciarti alla fine esausto ma appagato, nella mente e nei sensi.
Come ho già detto, Maugham ha scritto moltissimo e in varie forme, ma un sottile filo tiene insieme tutta la sua opera. Una vena di scetticismo che dà un tocco di amarezza costante alle sue storie, la cui origine molto probabilmente va ricercata nella sua biografia. D’altra parte, c’è una sua citazione che mi sembra riassuma al meglio questa specie di retrogusto amarognolo che impregna tutto quello che Maugham ha scritto:
«La gente mi ha sempre interessato, ma non mi è mai piaciuta».
Una sintesi perfetta per uno scrittore capace di creare attraverso le sue storie splendidi ritratti di uomini e donne, con i loro vizi, le loro virtù, le loro ipocrisie, le loro verità, grazie a una conoscenza amara e problematica della vita.
Silvano Calzini