28 Ottobre 2023

“Fate arrossire i fiori”. Simon Čikovani, il poeta amato da Tarkovskij e da Boris Pasternak

A differenza dei poeti della generazione precedente – Tician Tabidze e Paolo Iašvili –, Simon Čikovani, nato ad Abasha, in Georgia, nel 1902, sopravvisse alla persecuzione sovietica. Cresciuto a Tbilisi, fu arrestato, a poco più di vent’anni, con l’accusa di essere un poeta ‘ribelle’, che si opponeva all’annessione della Georgia nei ranghi russi. Il fratello fu preso nel ’37, inghiottito dalle purghe ordite da Stalin. Partito come futurista, degno allievo di Majakovskij, Čikovani virò verso una poesia di larghi paesaggi, rivelativa, di arditezze del cuore, dimenticando i temi polemici.

In breve, Simon Čikovani, il cui talento era avvampato nel fiore della giovinezza, divenne uno dei più autorevoli poeti georgiani dell’epoca. Nel 1947 ottenne il Premio di Stato dell’Urss, dal 1944 al ’51 è presidente dell’Unione georgiana degli scrittori. L’epistolario intrattenuto con Boris Pasternak – in parte raccolto in: B. Pasternak, Lettere agli amici georgiani, Einaudi, 1967 – dimostra l’importanza e l’autorevolezza di Čikovani. Pasternak ha tradotto in russo diverse poesie di Čikovani: nell’introduzione al libro (Alcune parole sulla poesia georgiana moderna, 1946), ne parla in questi termini:

“L’elemento immaginativo, comune a ogni poesia, acquista in lui un significato nuovo, diverso e altamente sostanziale. Čikovani è artista e pittore per natura, ed è appunto questa natura artistica, al livello di quella di Whitman e di Verhaeren, che gli dà ampiezza e libertà nella scelta dei temi e nella loro trattazione”.

Le lettere ci permettono di leggere in filigrana i tremori di un’epoca piena di spettri. Pasternak chiede a Čikovani di far pervenire a Nina Tabidze, vedova del poeta Tician Tabidze, arrestato e fucilato dalle milizie staliniste nel 1937, l’assegno di anticipo e i ricavi delle vendite dalle sue traduzioni dei poeti georgiani, “in modo che lei non sappia nemmeno da chi proviene”. In Čikovani, Pasternak vede l’ultimo simbolo della Georgia, suo paese dell’anima:

“Per me un viaggio in Georgia equivale a una completa liberazione artistica; un viaggio fino da lei è un viaggio dentro me stesso, ossia è il più caro sogno d’artista, e non rinunzierò mai a realizzarlo”.

Il 14 giugno del 1952 Pasternak si confessa: “la prosa che sto scrivendo”, il futuro Dottor Zivago, lascia perplessi gli amici, non li convince. Lo stupore altrui – o l’indifferenza o le critiche – convincono Pasternak, per paradosso, di essere sulla buona strada: il suo romanzo ha rilievi messianici.

“La maggior parte di quelli che hanno letto il mio romanzo sono malcontenti, dicono che è un fiasco, che è scialbo, che da me si aspettavano di più, che è inferiore alle mie possibilità. Ebbene, quando lo vengo a sapere m’illumino tutto e sorrido come se rimbrotti e biasimi fossero un elogio”.

La necessità dell’incomprensione.

Nel 1957, l’uomo che scrive a Čikovani non è un disilluso dell’epoca – è un poeta che quell’epoca l’ha già sovrastata, consapevole del divario implacabile tra mondo e mondano:

“A chi giova la vena sorgiva delle sue ricerche, la sua precisione, la sua eleganza, l’altezza e la stringatezza del suo solitario sapere?”.

Simon Čikovani morì sei anni dopo Pasternak, nell’aprile del 1966. Una grave forma di diabete lo aveva reso cieco. Per non far preoccupare gli amici, aveva diradato le visite, compiva sempre gli stessi, meccanici gesti, in casa, a simulare buona salute davanti al prossimo. La moglie, Marika, a cui aveva dedicato, negli anni, diverse poesie, si occupava di lui.

Futurismo georgiano: Simon Čikovani fu promotore del gruppo/rivista H2S04 (Tbilisi, 1924)

Più di Pasternak, sodale di Čikovani fu Arsenij Tarkovskij, il grande poeta russo, amato da Marina Cvetaeva, papà di Andrej, il regista. Tarkovskij aveva conosciuto Čikovani nel 1945: il poeta georgiano lo aveva invitato per un ciclo di incontri a Tbilisi. A Tarkovskij Il dottor Zivago non piacque: dopo aver letto il manoscritto, lo disse a Pasternak, che recise, con elegante freddezza, ogni rapporto con lui. Invece, tradusse diverse poesie di Čikovani, gli erano congeniali. Tarkovskij credeva che un grande poeta dovesse essere anche un brav’uomo, credeva in una sorta di misteriosa effusione tra estetica e morale. “Simon Čikovani era buono e saggio, e non vi era persona al mondo che ne parlasse senza rispetto. Era una delle persone più degne che io abbia conosciuto in vita mia”, scrive in una “memoria” raccolta in Costantinopoli (Libri Scheiwiller, 1993).

Tra le poesie di Čikovani, Tarkovskij preferiva questa, in cui, scrive, si avverte “lo sconfinato amore per la vita sulla terra e la rattenuta tristezza del mirabile poeta condannato a separarsene”:

“Il tempo non è stato avaro di canizie
e ha intonato il canto del crepuscolo. Cammino,
alle spalle ho la vecchiaia, al passo con quei
platani il cui fogliame è come in delirio.

Ho falciato, ma il fieno se l’è portato via il vento.
O viso di sole, dov’è la tua coroncina soave?
Sfoltendosi le corone degli alberi s’incurvano
mentre discendo per uno stretto sentiero nella valle.

Lo stormire delle foglie m’è come Chopin, simile
ad un tenue canto di dolore.
Al mondo, come sempre, tutto fugge, eppure
al risuonare di questi suoni si tiene la semina invernale.

E la memoria serba scelti pensieri,
come l’oro delle riserve di granaglie,
e le foglie son come la grana dei ricchi:
verrà la notte e farà loro perdere valore.

Scruto nella nebbia: del mare, dov’è il luccichio di ieri?
Una radice m’ha legato i piedi,
non m’è più dolce il migliore dei frutti, e sul campo
faccio il seminatore anche in questi giorni”.

L’anno prima che morisse Čikovani, era morta Anna Achmatova, di cui Tarkovskij si riteneva il talentuoso discepolo. Fu lui – per la stizza di Iosif Brodskij – a tenere il discorso funebre sul corpo morto della poetessa. Dopo la morte di Čikovani, Tarkovskij partì per l’Inghilterra, a visitare Londra e la città di Shakespeare. Sapeva che da quelle parti viveva una delle due sorelle di Pasternak. Non andò a farle visita. I libri di Tarkovskij erano tirati in 20mila copie: a quel tempo il poeta teneva tra le mani il cuore del suo paese.

Simon Čikovani (1902-1966)

***

Nel mio giorno natale

La nascita di una poesia è frantume di dolore
e gioia. Si tratta di ricostruire la vita – infinita
ricerca: oggi non so cosa scriverò domani, eppure
prima che nasca, la poesia mi morde il petto.

Un canto muto, intendo, trattenuto in gola
che non riesce a sgorgare dal cuore, che a nessun
fiume è diretto e non fa arrossire i fiori, non è
autentica poesia: nessuno, d’altronde, può dirsi poeta.

Allora dimmi, poesia, perché ti ostini a nascere?
Sono le frange del lago a ispirarti, le zattere
trascinate dall’acqua? Sono gli occhi di brace
della mia amata, il profumo del fieno appena tosato?

La nascita di una poesia è un assedio:
devi combattere i dubbi che divorano il cuore
è come scegliere una stella tra le costellazioni
o usare le mani per trovare un ago nel fango.

Nessun potere celeste o terreno potrà
soffocare un sogno che emerge dal cuore:
la poesia è incenso incessante, fuoco che incede –
il “sì” della giovinezza che si ribella al “no” dell’era.

*

Chi dice che la mia nativa terra è piccola,
quel regno della bellezza e della norma?
Nella bella Georgia chi ha mai scambiato
un forte o un torrione per una lettera?

Allora, lascia che i tuoi occhi siano catturati
dalle alte montagne, dalle creste d’argento:
ascolta il bisbiglio delle ali dell’aquila
e il grido penetrante del cervo selvatico.

Su ogni picco si staglia un forte:
l’occhio del poeta è sempre in veglia
misura la potenza e i lucori
della natura che germogliano nella luce.

Sprigionati dagli abissi, i tifoni
urlano con passione selvaggia,
i torrenti crollano e ringhiano
pari ai tuoni nel cielo…

In passato, la gloria ha bucato l’etere
ha oltrepassato i confini del tempo:
il cuore georgiano vibra
per le gesta e il volto di Gorgassali.

La Porta che si erge sul confine
ha oltraggiato la furia di tutti i fuochi:
una fiamma dilata la mia anima
per la bellezza che la Georgia ispira.

Qualcuno dice che la mia terra natia è piccola:
ma è la terra della bellezza e dell’armonia.
Nella bella Georgia nessuno ha mai
ritenuto piccola una fortezza.

*

Nido di rondine

Vigile, veloce, su fulminee ali
la rondine costruisce il suo piccolo nido
depone uova che brillano come braci
sotto il petto che trema di piume.

Quando ascolto l’usignolo gioisco
ma è quando vedo volare la rondine
nelle ruote dell’aria e mi sfiora
come argento vivo, che desidero

dare una mano a quel piccolo
muratore nel suo lavoro:
trascina piume, erba e fango
tra cinguettii e molta fatica.

Potrei lanciare al vento le parole
che ho scritto ieri sera: forse
la rondine le raccoglierebbe
per rivestire il suo nido…

Che la rondine si adagi sui miei versi
becchi ogni parola dal foglio bianco;
il genio dell’uovo e la mia speranza
daranno vita a due nuovi uccelli.

Rondine, non mirare ad altre terre:
decora il nostro cielo nativo.

Simon Čikovani

Gruppo MAGOG