“Scrivere è come maneggiare il fuoco”. Dialogo con Flaminia Cruciani
Dialoghi
Federico Magrin
Antologia: antelucana razzia.
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Secondo etimo: antologia, raccolta di fiori. Florilegio. Che ci sia una analogia tra la poesia e il fiore. Entrambi, splendono per un istante – per quell’istante, il fiore è puro come il sole, imperituro come la pietra. Poi, si spande, sfiorendo. Un’antologia va sfogliata: bene effimero. Ama ciò che muore.
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Altra analogia: le labbra sono come i fiori. Sussurrare un testo, sfogliare un libro. Il fiore del verso russo, straordinaria antologia di Renato Poggioli, era il 1949.
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Raccogliere fiori: è diverso dal mietere un campo. Il fiore non ha bisogno di essere messo a vomere, di dare frutto: sazia da sé. Semmai, capire il legame tra la raccolta di fiori e l’erbario. Emily Dickinson, fior fiore della poesia universale, coltivava l’arte dell’erbario.
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La poesia può essere tassonomica? Poesia-fiore: nasce dalla terra, tende al cielo.
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L’antologia nasce per conservare l’effimero? Mistura di fiori secchi, agro afrodisiaco.
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Mangiare il fiore. Lotofago. E se l’antologia mirasse all’oblio?
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L’antologia nasce per “fare canone”? Canone: esigenza di formule fisse. Obbedienza. Anonimato, primizia del poeta. Che sia la lingua – anima del poeta, stigma dell’individuo – a parlare, taccia la firma. Privo di patronimico, il poeta – di se stesso patriarca.
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Antologia: mettersi in caccia. La Bestia è irta di fiori, sta nella macchia per assalirti.
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Ogni poeta ha la propria antologia di pari – i propri lari, impari. Mai analoghi. Quello è il suo lignaggio, le frasche con cui si costruisce la capannuccia. Nessuno lo seguirà.
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Perfino la Bibbia è un’antologia – ma nel deserto non crescono i fiori. Raccolta di rupi.
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Valutare la relazione tra antologia e palazzo, tra antologia e potere. Antologia palatina. Kokinshū etc. antologie imperiali giapponesi. Antologia: monumento di un’era. Ogni antologia – quelle moderne, per lo più, quelle “critiche” – è un esercizio di potere: qui ci sono quelli che devi leggere; arrivano i nostri.
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Ci sono dunque antologie che segnano la via (questa è la via la verità la vita). Ci sono antologie che vanno fuorivia. Ci vuole zaino e zattera per inerpicarsi in luoghi ignoti, impervi. Non ci sono agorà, sentinelle, sentieri preferenziali, dibattiti, battute. Nuove coste, nuove costellazioni.
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Raccogliere un fiore non significa strapparlo: da qui, la particolare delicatezza nello sfogliare un’antologia. Se sei su una zattera, non lamentarti che non è un veliero; se si parla di fiori non rimproverarli di non essere abeti.
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Capricci d’Albione. Nel 1936 W.B. Yeats pubblica The Oxford Book of Moderne Verse, con l’idea di stivare il meglio della poesia inglese dal 1892 ai tempi suoi. È una antologia ‘d’autore’, firmata da un Nobel per la letteratura, dunque capricciosa. I ‘modernisti’ sono quasi del tutto ignorati e gli amici di Yeats – che, ovviamente, si auto-inserisce –, Shri Purohit Swami, Margot Ruddock, William Plomer, Lady Gregory, primeggiano su Joyce, Eliot, Wilde e Pound. Alcuni autori, per problemi di diritti – che affliggono ancora ogni impresa simile, oggi – non vengono antologizzati. In risposta, T.S. Eliot fa curare a Michael Roberts – modesto poeta, solido critico –, nello stesso anno, la Faber Book of Moderne Verse, che vanta criteri, diciamo così, di maggiore oggettività. Eliot, naturalmente, fa la parte del leone. Questa antologia, a differenza della precedente, è un inno alla nuova voga della poesia inglese: vi sono inclusi anche Dylan Thomas e Wallace Stevens; le esclusioni – Thomas Hardy, Kipling, Robert Frost, A.E. Housman –, come norma, fanno ululare i cattedratici.
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In un’antologia critica, è vero, gli esclusi splendono tanto quanto gli inclusi. In un’antologia che privilegia i tempi lunghi e i fuori pista, conta soltanto la selezione degli inclusi. Il sacrificio serve a insaporire il segreto, la via aliena. A cannonate il canone, gli imberbi della ragione.
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Nel 1958 l’editore Gallimard pubblica un’antologia fuori-via, eversiva rispetto al tempo. Trésor de la Poésie Universelle è curato dall’antropologo Roger Caillois e dal poeta e critico Jean-Clarence Lambert. L’idea regnante è inscritta in quarta: “Il lettore rimarrà meravigliato dall’imponente portata della testimonianza poetica lasciata dall’Uomo attraverso secoli e latitudini”. L’antologia – che segue la scia dei secoli dagli albori della civiltà fino all’Ottocento: l’ultimo riferito è il giapponese Kobayashi Issa (1763-1828) – è divisa in tre grandi sezioni: “Le Livre Sacré” (dagli inni magici e gli esorcismi alle cosmogonie ed epopee sacre, dal Popol Vuh al Corano, dalla Bibbia al Mahabarata), “Tradition et Sagesse” (gita vertiginosa tra Milarepa e Dante, Omero e Chrétien de Troyes, Virgilio, Pindaro e Firdusi) e “Le Livre Lyrique” (dai trovatori ai grandi poeti persiani ai lirici di Cina e Giappone). Naturalmente: le sezioni (come ogni categoria) sono fallibili, le assenze sono patenti, ma il gusto dell’avventura in tradizioni poco conosciute è impagabile. Nella prefazione, Caillois stigmatizza “la barbarie contemporanea che tiene in così poco conto un linguaggio tanto alto”, qual è quello poetico, e difende la propria opera: “l’audacia dell’impresa, l’opulenza di tale Trésor giace nella giustizia resa a ciascun popolo e a ciascuna civiltà, irrecusabile testimonianza della sua potenza creativa, della sua dignità”.
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Dieci anni prima, in Italia, era stata compiuta un’impresa analoga, ma con altro rito e altro tiro. “Il tesoro della lirica universale” stampato da Sansoni nel 1949 con un titolo affascinante – Orfeo – aveva come compito profondo quello di ricostruire lo spirito dell’Italia distrutta dalla guerra. Meglio ancora, l’intento dei curatori – Vincenzo Errante, straordinario traduttore, ed Emilio Mariano – era quello di ricostruire, attraverso la poesia, “la coscienza d’essere umanità”, attraverso
“un Libro in cui, superati a ritroso i millenni per risalirli, spaziando in tutte le terre, e quindi in tutte le lingue del mondo, ci riuscisse di raccogliere, come in un immenso corale, tutte le voci dei Lirici più rappresentativi d’ogni popolo nei loro più tipici canti”.
L’idea dell’opera nacque ad Errante “nell’immediato dopoguerra, tra le rovine e le croci… come accorata reazione contro tutto ciò per cui, lungo oltre un quinquennio, proprio la cosiddetta umanità più civile del mondo era pur riuscita a degradare: se stessa sotto il livello d’una belva della jungla, in ferocia: e d’una modesta gallina, in idiozia”. Il libro – che reca in sé l’idea della traduzione come ri-creazione – mirava, tramite il florilegio, a “porgere ai Lettori, in una effigie ideale, l’anima stessa, ignuda, dell’umanità intiera”. L’antologia – olimpionica prima che orfica – va dall’Enūma eliš, il poema babilonese dell’XI secolo prima di Cristo, a Ezra Pound, “delizia di tutta una giovane generazione”, tradotto da Luigi Berti e Leone Traverso (con sfottò agli Usa nella dida dedicata a ‘Ez’: “la sua fede nei valori e nei destini dell’Europa, fu dai nordamericani stimata degna se non proprio di un processo, almeno di un manicomio”). I traduttori sono il meglio di quell’epoca – ma ci sono versioni di Carlo Bo, Mario Luzi, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Benedetto Croce (traduce Goethe), Tommaso Landolfi, Emilio Villa, Vittorio Sereni (che traduce Paul Valéry), Mario Praz. Sono rappresentate tutte le tradizioni liriche mondiali – dall’islandese alla slovena dalla macedone alla tigrina –, prevalgono quella tedesca, inglese, francese. Le assenze sono, ovviamente, molteplici – c’è Charles Vildrac ma manca René Char, c’è Paul Géraldy e manca Francis Ponge, mancano Robert Frost, Wallace Stevens, William Carlos Williams come Marina Cvetaeva e Osip Mandel’štam e César Vallejo – ma è gioco stupido rimirarle: la selezione di oltre 1600 pagine è meravigliosa e invita alle vie insolite, a far pasto nell’inconsueto (ad esempio, mi ritaglio il profilo di Carlos Pezoa Véliz, “schietto poeta cileno” del tutto postumo e fuori posto, “fuori da ogni scuola, fedele al suo destino di poeta vagabondo e maledetto”, e quello di Johann Christian Günther, “poeta tedesco che logorò tutti i doni della giovinezza in una vita breve e sregolata che lo portò fino al fondo della miseria”).
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Anto-logia. Molestare le etimologie. Antilogia dell’antologia. Antologia come anti-logos, opposizione al verbo. Poesia: opposto del discorso, ombra del dialogo, verbo deflorato. L’antologia raccoglie i fiori perché il prato sia sgombro, verde. Ora possiamo camminare con un cuore in rincorsa.