12 Novembre 2022

Cancellato dalle graduatorie. L’insegnamento suddito della matrioska istituzionale

Sono stato cancellato dalle graduatorie di supplenza nella primavera del 2021. Alla segreteria del liceo che mi aveva convocato, tra le varie formalità da sbrigare, a un certo punto mi fu chiesto se avessi completato il percorso dei 24 crediti. Domanda a cui candidamente risposi di no. L’espressione piuttosto eloquente della segretaria, tra incredula e sconvolta, mi portò ad aggiungere che, se non erravo, il possesso dei suddetti crediti era necessario solo a chi tentasse il concorso ordinario. Erravo, candido lettore. Erravo. In effetti, dall’apertura delle ultime liste e quindi da quell’anno scolastico, i crediti erano necessari anche a chi volesse semplicemente sostituire. Ah. Imbarazzo della segreteria, sbuffi di malcelato fastidio, chiamate il preside scusi aspetti si sieda qui. Dopo avermi spiegato perché non potesse evitare di cancellarmi dalle graduatorie, il preside – già professore di letteratura – nel vedermi un tantino amareggiato, tenne pure a spiegarmi che queste procedure e normative sono forse un po’ macchinose, che a ognuno è richiesto un certo sforzo per seguirle e starvi al passo, ma che tuttavia assicurano uguaglianza, parità di trattamento e soprattutto imparzialità.

Ebbene, non posso essere d’accordo. Accetto il fatto d’essere depennato (quindi di non avere diritto a lavorare nelle scuole fino all’apertura delle prossime graduatorie) da un preside, ma non posso accettare questa affermazione di pretesa imparzialità da un uomo di lettere. Non posso accettarlo perché è chiaro che queste procedure, che questi requisiti avvantaggiano chi abbia uno spirito burocratico, chi organizzi i propri studi e la propria “carriera” accademica come una lista della spesa dettata da altri per i banchetti di altri e non, invece, come un percorso in cui, a partire dalla propria sensibilità, ci si avventuri nell’oceano della conoscenza e ci si educhi al piacere del sapere assumendo piena responsabilità delle proprie scelte, della bussola rappresentata dal proprio gusto e dalle proprie idee. Piuttosto che chi segua questo percorso, oggi ha maggiore possibilità di educare i “nostri” (come amano dire i vari demagoghi e arruffapopolo) ragazzi chi si tenga aggiornato su tutte le varie genuflessioncelle amministrative e salamelecchi burocratici e pseudo-formativi richiesti dal ministro di turno.

Il docente è formato da due persone: funzionario pubblico ed educatore. In quanto funzionario, egli è tenuto a rispondere del proprio comportamento alla matrioska istituzionale di cui fa parte, ma in quanto educatore lo è invece e prima di tutto a sé stesso, alla sua disciplina, ai ragazzi che si ritroveranno tra le sue mani senza averlo davvero scelto. Non possiamo permettere che l’educatore sia fagocitato dal funzionario.

Ora si parla d’altre misure, altri crediti, altri costi. Se è vero che, per agire in seno ad una istituzione, è necessario un certo grado di sudditanza alle sue direttive, pure è vero che questo grado è prodotto storico, non divino. Chi proviene da studi storico-letterari non può non comprenderlo, non averne coscienza e non dedurne una responsabilità anche individuale, non solo istituzionale. Le nostre discipline servono prima di tutto a trasmettere il gusto del pensiero libero e della meraviglia – preludio alla libertà – non a sfornare psicologi aziendali e human resource manager. Ma per trasmettere questo gusto e questa meraviglia bisogna prima averne fatta esperienza diretta, quindi la forma della propria vita. L’etica è un’abitudine che si è cristallizzata, che si è fatta natura, abito. Chi tenta questa strada, oggi, è perlopiù destinato a non venire captato dai radar della scuola pubblica.

Come avevo spiegato al preside in quel mattino di primavera, sono un appassionato lettore di Ivan Illich. Il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato. Questo credo. E credo che lo stesso debba valere per le istituzioni, quindi per la scuola.

Francesco Zevio,

Estate 2022 Parigi

Gruppo MAGOG