08 Maggio 2020

“Venuta la sera, entro nelle antique corti delli antiqui huomini”: la poesia come riconoscenza, dedizione, amicizia, chiosa a un testo implicito. Su alcuni libri di Salvatore Ritrovato

Da un po’ di anni Salvatore Ritrovato getta nella corrente del tempo piccole opere di poesie, come barchette di carta contenenti un messaggio fragile, ma anche piccoli sassi levigati, necessari e potenti, che è inammissibile non rilasciare. Anno dopo anno, silloge dopo silloge, il messaggio procede verso la sua composizione, che nessuno sa quando sarà definitiva. Forse mai. Per quanto diversi uno dall’altro e particolari, tutti questi capitoli definiscono un unico movimento, non frammentato, bensì articolato. Sono sostenuti, infatti, dal coraggio della varietà: si va dal testo lirico al poemetto a tema, scritto addirittura per rispondere a una richiesta, dalla poesia per il teatro al canzoniere d’amore. Una varietà che sbriciolerebbe qualsiasi talento debole e che invece, come nel caso di Ritrovato, fa fiorire le potenzialità della sua cultura e la forza della sua ispirazione. Vediamoli: Cercando l’isola, poemetto a tema marino contenuto in un delizioso libretto a leporello guarnito con gli acquerelli di Sighanda, pubblicato da Fiorina edizioni nel 2017; La casa dei venti, raccolta di liriche pubblicato in “Arcana mundi” nella nera collana lucente delle raffinate edizioni de Il Vicolo nel 2018; Dedo, un’opera di drammaturgia in versi per Amedeo Modigliani, accolta da Paolo Valesio nel 2019 nella collana di teatro diretta per le edizioni di Puntoacapo; infine il canzoniere d’amore L’anima o niente, che ritorna alle edizioni artistiche di Marisa Zattini per il Vicolo nel 2020, nella candida collana dedicata a libri sul tema dell’anima.

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Tutte queste opere sono in costante rapporto con la letteratura. Diciamo pure che questa poesia è letteratissima: Omero, Shakespeare, Shelley, Vassilikos echeggiano nelle parole del marinaio dell’Isola; Nievo, Petrarca, Montale, Leopardi D’Annunzio arieggiano nella Casa dei venti; attraverso Jacob, Cocteau, Soffici noi vediamo Modigliani; Montale soprattutto, ma perfino il Protonotaro e Saba e Sereni ne L’anima o niente, titolo d’una bellezza misteriosa e persino violenta, quasi tozziano. Questo solo per citare le evidenze maggiori, le risonanze che anche orecchi poco affinati alle grandi poesie possono avvertire. Figuriamoci se il lettore invece conosce la poesia a fondo: è un continuo incontro, un respiro inesauribile.

Proprio così. Ritrovato non cita e non imita. Non si saprebbe neppure determinare in particolare chi, tanta è la dovizia. Il fatto è che bisogna esserne capaci e oggi, in Italia, credo che siano pochissimi a saperlo fare. Molti giovani poeti, addirittura, si vanterebbero di non farlo, della propria ignoranza insomma. Molti altri, tra di noi, citerebbero senza riuscire bene a fondere il testo evocato, l’autore chiamato in causa un po’ troppo frontalmente a giustificare il proprio operato. Lo si vede dal fatto che le citazioni a bizzeffe, di cui riempiamo i nostri libri, rimangono sempre un po’ staccate, quasi troppo evidenti. Sono persino delle distrazioni, rispetto al testo che poi pretende di contenderne il senso. In Ritrovato questo non accade. La letteratura è un respiro e fa respirare. Ammetto che leggerlo è ogni volta un riossigenarmi rispetto alla maledizione del “letterario” che la retorica contemporanea naive imposta ogni giorno, come se la naturalezza, l’ingenuità e l’immediatezza della poesia non fossero il più artificioso e complesso degli stili.

Sull’uso che Ritrovato fa della letteratura nel suo comporre mi è venuto in mente il filosofo colombiano Nicolàs Gomes Davila il quale a proposito del testo biblico afferma: “Non è stato un Dio ventriloquo a ispirare la Bibbia. La voce divina attraversa il testo sacro come un vento tempestoso il folto di un bosco”. Ecco, mutatis mutandis ovviamente, tratteniamo l’immagine: la letteratura attraversa la poesia di Ritrovato come un vento, perfino impetuoso a volte; ma egli rimane se stesso, come ogni autore degno di questa qualifica. Anche Montale cita a piene mani dappertutto –Eliot, Bergson, D’Annunzio, Rebora – ma rimane ineffabilmente Montale. Non molti, ripeto, ne sono capaci. Cosa gli permette di farlo? Non diciamo la conoscenza approfondita degli autori, cosa che non si discute neanche. Non vorrei esagerare nel tirare in ballo un’immagine davvero classica e celeberrima, quella lettera a Francesco Vettori in cui Machiavelli mette in scena se stesso al cospetto della letteratura: “Venuta la sera (…) entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono…”. Qualcosa del genere sì, mutatis mutandis ovviamente.

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Il respiro della poesia di Ritrovato si mantiene anche in questi anni ampio e arioso. I testi brevi, di solito drammatici, si chiudono quasi troppo improvvisamente, come se implicassero una scia, una continuazione nel sentimento del lettore: si vedano le fulminee quartine di Bagatelle di viaggio ne La casa dei venti, che contiene anche qualche altro testo breve:

Per una rosa

Uno mi chiede quanti anni ho:
ancora neri sono i miei capelli ma tristi.
“Un minuto”, gli dico, “niente più.
Tanto dura, o durerà, la mia vita”.
“Come”, mi chiede, “non capisco.
È un enigma, una verità seppellita”.
E io: “Tutto diedi a lei, chiuso in un bacio
partendo, tutto in un abbraccio.
Durò un minuto, e fui felice”.

Lo stesso sentimento di effimero, di durata breve della gioia possibile, caratterizza questi testi. Il tempo che non s’arresta e cancella, la domanda sul valore, sul perché valga la pena amare, fissare nella parola, vivere e ricordare. “Disegnare è ricordare, possedere” dice Dedo, al che la sua Jeanne risponde: “Dimenticare quello che si deve”. C’è anche un imperativo della dimenticanza (del sogno), della cancellazione nella riflessione sull’arte che è centrale nel poemetto drammaturgico su Modigliani: “Non è che un sogno che si realizza dal vero. Ogni volta che si trovava davanti al viso di un uomo o di una donna, il suo sguardo correva lungo la linea delle cose. Una linea morbida, sinuosa, non decorativa: una linea che cuce le figure, ne argina i volumi cromatici, e insieme le distingue in un mondo segnato dall’attesa di un messaggio”. Come non vedere in questa voce che parla anche una nascosta dichiarazione di poetica sulla poesia stessa di Ritrovato?

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Ma il più delle volte il respiro di questa poesia è tutt’latro che breve: un giro ampio, un darsi tempo, forse per rispondere alla fuga del tempo. Ricordiamo che Ritrovato ha scritto della persistenza del tempo e dello spazio Come chi non torna, titolo dichiarativo di una raccolta del 2008 che contiene alcune mirabili egloghe, che sta continuando a mettere a frutto, innanzitutto come scoperta, appunto, di un ampio giro del respiro, che è attesa di un messaggio e resistenza all’andarsene via, all’effimero, al vuoto che incombe. Soprattutto sull’amore. Si veda nel recente canzoniere L’anima o niente: in perfetto dialogo con il Montale di Satura, contiene poesie che sono vere e proprie offerte all’amore che se ne è andato: amore guardato girandosi indietro, al passato, da un luogo, il presente, dove ormai non c’è più presenza vivificante: “Mi togli le parole dal congelatore dei pensieri/ e scendi nella vita brulicante delle cose”; “Quel poco che avrò vissuto con te in quella vita prima/ sarà un giorno che non potrò più rivivere, ma eterno”. C’è un saluto nascosto in questa poesia. Non si è fatto in tempo a dire tutto e chi narra (delle quattro opere questa è la più narrativa) si attacca a un ultimo filo di legame: “addio, sento/ che è piena di sorprese e ci assomiglia a volte la vita/ e in fondo il fuoco non si spegne se tira un po’ di vento”. Così si conclude il libro.

La speranza è di riuscire a dire ancora qualcosa, in questa frana del tempo che tutto trascina nell’inespresso, nel detto mai abbastanza, che è esattamente quell’anima (o niente). “Tutto cospira a tacere di noi” affermava Rilke nella seconda elegia duinese. Contro questa cospirazione Ritrovato eleva i bastioni della sua poesia, puntellati da sentinelle che sono i cari amici scrittori, quegli antiqui huomini che lo accolgono amorevolmente per guerreggiare con lui contro il tempo, col sospetto che la battaglia sia perduta e, ciononostante, debba essere combattuta lo stesso.

Gianfranco Lauretano

*In copertina: Jan van Eyck, “Ritratto di uomo con turbante rosso”, 1433

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