13 Aprile 2022

Salone del libro: il solaio degli egoriferiti. Non vi sopporta più nessuno

Per non so quale miscuglio di autolesionismo e mediocrità da pubbliche relazioni ho assistito alla seconda conferenza stampa del Salone internazionale del libro di Torino del 2022, che, per noi comuni cristiani, è un altro salotto che lascerà tutto come prima. Anche se in realtà personalmente riesco ancora a provare del fastidio per i soliti quattro nomi chiamati a gestirlo, un grigiume di assistenzialismo culturale che, con i soldi degli editori che per qualche ragione ignota ancora frequentano il salone, permette a queste figurine tutte postura e poco cervello di comprarsi le loro costosissime scarpe ortopediche artigianalmente cucite da immigrati palestinesi.

Ma bisogna essere onesti, almeno quando si scrive. C’è dell’invidia. Io personalmente invidio chi nella vita ha scritto un libro e, eclissatosi dalle fatiche letterarie (il più delle volte è un sollievo per il lettore ingannato da abili grafici), si siede su una comoda sedia cesca della sua casa al Pigneto o a San Salvario e si mette, pancia piena e polvere bene in vista, a ricopiare pedissequamente il programma dell’anno precedente che, of course, è stato un successone. E sulle capacità del Comandante in capo di questo carrozzone che è il salone nessuno può dir nulla, Nicola Lagioia porta avanti questo Salone come un condottiero la sua battaglia, oddio, forse più che un condottiero sembra un Cincinnato, qualcuno che vuol sempre uscirne ma che poi alla fine resta sempre lì.

In ogni caso, il problema principale è che sono andato a vedere questa dannata conferenza che è partita bene, regalandoci delle nozioni che mai avremmo sperato di poter apprendere in questa occasione: ci hanno spiegato da dove entreremo, che addirittura la superficie è aumentata rispetto al 2019 e che la società delle Ferrovie dello Stato ha messo a disposizione la stazione del Lingotto per l’accesso in fiera. Che culo. Ma non solo, c’è anche una grande novità green che non fa mai male di questi tempi: un parcheggio per le biciclette. Forse non avremo risolto il problema del surriscaldamento globale, ma vieni al parcheggio delle bici che ti faccio vedere come mi sono pulito la coscienza.

Ma attenzione, non è finita qui: d’un tratto è salito sul prestigioso palco l’illustrissimo, magnificente Dottorissimo nonché azzeccagarbugli, presidentissimo del Circolo dei Lettori, chiarissimo Giulio Biino che, in uno slancio divulgativo ci ha tenuto a ricordarci la radice giuridica del termine Solidarietà. Anche qui, veramente, ringraziamo il cielo di tanta bontà, raramente si assiste a questi vertici di riappropriazione culturale. Ma l’illustrissimo Notaro ha seguito la grande regola dello spettacolo: quando il pubblico è difficile e non sembra apprezzare le lezioni troppo alte di terminologia giuridica, abbassa il tiro: ed ecco che alla fine della sua Lectio Magistralis tira fuori dalla giacca una lettera, chiusa, sigillata, garantisce lui, dice: «Perché, sapete, sono un notaio e non mi va di pagarne un altro» – gelo in sala, più di prima anche se sembrava impossibile – e ci informa che lì c’è scritto il sacro numero delle presenze al salone del 2022 che verrà reso noto alla conferenza di chiusura (io sarò in Guatemala per l’occasione, anche se mi sembra ancora troppo vicino al Lingotto di Torino).

Su una cosa però il Presidentissimo ci ha preso pienamente: il solo successo cui ambisce il salone è la presenza, la massa, indistinta e bellissima. Il che è anche emblematico della miseria intellettuale: ma come, un salone del libro che si accontenta di un numero?

Ma lasciamo andare la bellissima immagine del Notaro per concentrarci sulle modalità espresse dal Salone per ottenere il suo successo di presenze: il Programma. Programma, diciamo l’elenco di incontri che vengono messi insieme per permettere a questa massa indistinta di paraeditoriali di campicchiare sulle macerie della cultura italiana con i soldi di editori, contribuenti e lettori.

Ad ogni modo, il Programma. Che si dica: ragazzi, è lo stesso dell’anno scorso ma con i libri nuovi, così i grandi editori accontentano gli autori, noi ci salviamo perché la gente viene a vederli aspettando dieci ore per scattare una foto da mettere su Instagram e un altro anno di lauto stipendio ce lo siamo portati a casa. Sarebbe onesto e sarebbe bellissimo. Sarebbe anche meno imbarazzante quando provate a raccontarci che al salone si fa cultura. Ma quale cultura, al salone si vende, tanto al chilo, e nulla di più giusto (tutti devono campare, si intuisce) ma che si dica che è questo: la fiera, essendo tale, è un’occasione commerciale che nella vendita esaurisce il suo scopo.

Perché il salone è una grande fabbrica, un parco giochi sempre più costoso in cui gli editori prenotano un giro di giostra ad autori egoriferiti che accorrono felici nella città dei Re d’Italia scoppiando di felicità dentro di sé (ce li immaginiamo a marzo, aprile in stato febbrile davanti al cellulare ad aspettare la chiamata divina mentre rosicchiano le unghie e fumano tabacchi afghani, mentre lottano contro infantili allergie al polline), ma lasciando trapelare all’esterno, durante gli incontri e nei corridoi del Lingotto, quell’aria un po’ altera e svogliata, snob e superiore di chi se ne starebbe volentieri a casa con la coperta a vedersi la partita. Ma non è vero niente, gli autori sono i primi che scrivono per poter parlare di ciò che hanno scritto. È così, lo sappiamo tutti, ma nessuno ha il coraggio di dirlo, neanche gli editori, che se cominciassero a evitare queste imbarazzanti kermesse non avrebbero più nessuno a cui far scrivere i libri.

Perché nessuno, penso realmente nessuno, vuole ancora ascoltare Gifuni che legge qualcuno o qualcosa, che sia Sciascia o la sua lista della spesa, nessuno, letteralmente nessuno, vuole ascoltare Loredana Lipperini che incontra solo e soltanto donne con cui parla solo e soltanto di donne che hanno avuto le peggiori sciagure di questo mondo, nessuno, realmente nessuno, si alza la mattina per andare a vedere Beppe Servegnini che dialoga con il Generale Figliuolo. A questo punto almeno si spera in una parata degli alpini, almeno si beve.

Andatevene, non vi sopporta più nessuno.

Stando Fiero

 

Gruppo MAGOG