
Dentro di noi abita un selvaggio… Sul libro di Marie-Louise von Franz
Stili di vita
Clery Celeste
In queste giornate di novembre siamo collettivamente sottoposti al regno di Plutone, dio degli Inferi. A livello astrologico infatti abbiamo il sole, mercurio e marte che sono esattamente sullo Scorpione, segno che è dominato dal caro Plutone. Questa simbologia ci suggerisce di restare dentro la tana, di entrare nelle nostre profondità oscure con grazia e in silenzio, di accettare un periodo di apparente stasi e dolore per poi liberarcene tornando tra i vivi fiori e le vive foglie. Entrare in contatto con la propria dimensione onirica e infernale è una fase necessaria per la conoscenza di se stessi. E’ il compito di un uomo che risponde alla chiamata del viaggio sciamanico.
Ed è esattamente questo percorso che il dio Odino compie dentro se stesso per raggiungere la conoscenza delle Rune. Senza solitudine estrema, senza questa discesa nel mondo dei nostri morti, delle nostre debolezze, non è possibile la conoscenza. Il maestro è infatti colui che contiene in sé anche la figura del martire. Non possiamo essere maestri di noi stessi senza dedicarci la nostra personalissima morte. Le rune sono uno strumento sciamanico, grazie alla loro conoscenza e al sapiente utilizzo è possibile passare i mondi, dilatare quel velo che impedisce ai vivi di vedere davvero, e consente ai morti di sentire oltre misura. La runa dedicata al dio Odino per eccellenza è Ansuz e un poema runico anglosassone recita così: “Ansuz, fontana del verbo, regge la saggezza, consola i savi, gioia e speranza dei signori”. La radice indoeuropea ansu– significa infatti spirito, essere sovraumano e divino. Questo simbolo ha infatti la forma stilizzata di un arcobaleno, un ponte fra cielo e terra. Si dice che il punto in cui nasce e muore un arcobaleno siano luoghi magici: da qui sgorgano le parole, il verbo, il primo segno fonetico. La parola contiene un potere immenso se utilizzata con saggezza e consola i savi, dona gioia e speranza ai signori della terra.
Ricordiamo che le rune sono lettere, hanno un ordine e ognuna di essa rappresenta una fase di vita dell’uomo e un percorso dell’anima. Ansuz quindi è la prima runa che incorpora la dimensione spirituale nella vita dell’uomo. Dopo la realizzazione dei bisogni primari come il cibo e l’allevamento del bestiame, la forza della sopravvivenza, la capacità di creare una casa e difendere i confini arriva Ansuz. E’ infatti la quarta runa secondo la successione dell’alfabeto futhark. Rappresenta la lettera A, e come in molte culture questa è la prima lettera dell’alfabeto, è il nuovo inizio. Ansuz determina il potere del simbolo, del segno e del presagio.
Con Ansuz siamo in grado di diventare consapevoli di noi stessi accedendo alla dimensione spirituale. Siamo finalmente giunti a dominare l’energia primordiale della notte della creazione e a incanalare gli sforzi per una coerente sopravvivenza in accordo con la natura e i suoi ritmi inalterabili. Ansuz arriva come una benedizione alla porta. Rappresenta il nostro spirito guida che ci chiama a esistere nel mondo, a iniziare davvero la vita per seguire quello a cui siamo destinati. La lettera A è la lettera dell’ascolto della chiamata, consapevoli del nostro vuoto. Odino è il principale dio della mitologia norrena, padre di molti dei importanti come Thor, e rappresenta la conoscenza suprema, il “totalmente altro”. Odino è una sorta di Prometeo immenso ma molto più saggio che concede agli uomini giusti i segreti del mondo e delle rune.
Ma la divinità nordica non è qualcuno che sta in un cielo lontano a giudicare e osservare gli uomini come piccoli topi. La divinità nordica non esiste come tale a priori da tutto, non ha quindi una conoscenza assoluta ma è sottoposta anche lei al sacrificio e al viaggio. Ecco che Odino diventa signore della magia e delle rune solo attraverso un immenso e totale sacrificio. Nell’Edda poetica viene raccontato il processo di iniziazione alla conoscenza.
Io so che pendetti dall’albero (spazzato dal) vento
per nove notti intere,
dalla lancia ferito e sacrificato a Odino,
io stesso a me stesso,
su quell’albero che nessuno sa,
da quali radici cresca.
Pane (nessuno) mi diede né corno (per bere) ,
in basso guardavo;
raccolsi le rune, urlando le presi,
poi caddi di lassù.
Succede quindi che Odino, dio potentissimo della guerra, decide di intraprendere questo viaggio sciamanico di sacrificio per arrivare ad assumere con consapevolezza la saggezza delle rune antiche. Un dio che si presta a sacrificare se stesso, appeso a testa in giù al grande albero cosmico Yggdrasil, che per nove notti e nove giorni sta senza mangiare e bere, ferito da una lancia. Attende Odino, sperimenta la quasi morte, attende e sprofonda nel dolore dell’abbandono. Sacrifica se stesso a se stesso. Odino è il grande sciamano della storia norrena, è colui che concede a se stesso di morire pur di arrivare alla conoscenza delle rune. Odino compie il viaggio ctonio, sprofondando nell’abisso e nel vuoto.
Odino incarna con questa prova il concetto di ispirazione e furore, ovvero l’arte poetica per eccellenza. Ecco perché è il dio della poesia. Una volta che riesce a raccogliere le rune la prima cosa che fa è urlare, liberare quindi l’energia residua dello sforzo attraverso il suono. Odino è un vate, un poeta sciamano capace di conoscere il vuoto e il furore, di dominare gli elementi esattamente come fanno i poeti con le parole. Ma le rune sono lettere e sono anche parole, ogni runa rappresenta un concetto e un archetipo. Odino le conosce e può domare la stessa natura. Ansuz rappresenta la capacità della mediazione dei conflitti attraverso la parola, Odino infatti è anche il dio degli indovinelli. In diversi miti Odino è coinvolto in gare di saggezza per salvare un elemento magico o ricostruire una alleanza. La conoscenza quindi è anche potere, se utilizzata senza cattiveria e senza sprechi. Odino infatti sceglie solo uomini giusti a cui donare l’immenso potere della scrittura, perché sa quanto sia pericoloso un uso improprio.
Dalla saga di Egill: “Nessun uomo incida rune se non è capace di interpretarle e di domarle. Giacché le rune che proteggono sono state fatte dai numi e dipinte dal vate possente Odino.” Odino quindi rappresenta l’archetipo del vecchio saggio errante, incarna quindi il vate ma anche l’eroe. Gli dei norreni non sono separati dai mondi, non stanno soltanto nella loro dimora dorata ma affrontano il mistero della creazione perché anche gli déi sono sottoposti al potere immenso della chiamata. Ansuz chiama e Odino deve rispondere, sacrificando se stesso, sceglie di seguire un percorso di iniziazione.
Ecco perché noi umani non possiamo esimerci dal viaggio dentro la nostra notte, non possiamo ottenere la conoscenza soltanto leggendo libri e accumulando titoli. La conoscenza ci viene donata attraverso il sacrificio più feroce, dobbiamo essere disposti a sacrificare noi stessi a noi stessi per essere capaci di ascoltare la chiamata, per comprendere i segni, per decifrare il presagio. La poesia fine a se stessa non esiste, è suono che cade, la poesia che invece contiene furore e ispirazione si propaga, contiene in sé lo sforzo, lo slancio e il vuoto.
Clery Celeste