11 Gennaio 2025

“Lamentarsi è il mestiere del debole”. Rosa Luxemburg, o il socialismo tra le cinciallegre

Rigettando l’accecante settarismo che conduce a presentare soltanto autori di cui si condividono propositi generali e istanze ideali, ho sentito la chiamata di un epistolario a me estraneo per presupposti filosofici e finalità: Dappertutto è la felicità, lettere di gioia e barricate, della oramai celeberrima Rosa Luxemburg, pubblicato dalla casa editrice L’orma nel 2019 e introdotto da Cristiano Armati e da Eusebio Trabucchi.

Oltre alla feroce verve rivoluzionaria che accomuna anche nel linguaggio la militante spartachista ad altri leaders socialisti, della suddetta raccolta colpisce quanto le idee politiche di Rosa siano per così dire raffinatamente amalgamate con le emozioni a tal punto da indurre qualche storico a definire la nota autrice polacca una sorta di socialista dal volto umano. Delle lettere – scritte il 1895 e il 1919 – impressiona pertanto la spiccata sensibilità della rivoluzionaria marxista ma anche la dura polemica nei confronti di alcuni militanti socialdemocratici e comunisti. I destinatari delle lettere testimoniano d’altronde il coinvolgimento della ideologa materialista alle più importanti vicende del proprio tempo: Leo Jogiches, suo amante di qualche anno più grande; il giornalista Robert Seidel; i coniugi Kautsky e i coniugi Wurm; Kostja Zetkin, figlio di Clara Zetkin e suo giovanissimo amante; alcuni compagni della SPD e il medico Hans Diefenbach; Paul Levi; Sofia Liebknecht.

Rosa ha il piglio del capo, è sicura delle proprie doti, è integra nei propri principi ed è pronta metterli in pratica; dalle lettere affiora la sua insofferenza per il “cretinismo parlamentare” e, quasi profeticamente, la sincera volontà di morire “sulla breccia” “in una battaglia di strada o in carcere”. Eppure, Rosa, avversando il “partitismo”, si sente a suo agio nella natura piuttosto che in un congresso di partito e pensa che il suo io più profondo appartenga alle cinciallegre e non ai compagni. Ecco perché l’autrice si prodiga in lunghe descrizioni bucoliche commentando la gioia inattesa e parzialmente inspiegabile che la natura sarebbe in grado di donarle. La natura però non sarebbe rifugio romantico e idealizzato meta-luogo privo di contrasto, ma, un po’ come la Storia, dimensione che custodisce anche violenza irrimediabile, scontro tra le creature, al quale non si può opporre nulla, se non un momentaneo dispiacere. Il fanatismo militante di Rosa Luxemburg, forse consustanziale al suo ruolo, si attenua proprio mentre la scrittrice di lettere si apre al sentimento del sublime originato ancora una volta dalla natura, ad esempio dal mare in burrasca. La natura suggerisce in questo caso la contingenza, la fragilità dell’uomo. Nondimeno questa consapevolezza emozionale atterrisce la futura martire che vorrebbe “gettarsi nella cascata e sprofondare come un guscio di noce piuttosto che annuire con saggezza e lasciarla scrosciare”.

Bisogna fare rumore, procedere rotolando, non trattenersi a contemplare dalla riva il corso degli eventi, ruzzolare suscitando suono e scandalo, precipitare in modo dialettico, non lineare. E questo vale anche per la pratica del socialismo, concepita non tanto come tecnica di paziente attesa né come espressione della volontà di una manciata di intellettuali quanto come forza attiva capace di inserirsi nelle contraddizioni dialettiche conferendo agli eventi una direzione che potenzi le linee già tracciate dai fatti, da altri compagni e dall’interconnessione tra vicende nazionali e internazionali. È appunto l’azione diretta delle masse a entusiasmare la rivoluzionaria nonché la speranza che lei stessa possa, malgrado l’insufficienza individuale, svolgere un ruolo utile all’instaurazione del socialismo; il quale, invero, quasi sorelianamente, si concreta in ogni istante della lotta, essendo l’impegno rivoluzionario il socialismo medesimo.

A un certo punto, Rosa racconta uno dei suoi incontri con Lenin, col quale avrebbe dialogato volentieri e che sarebbe stato “colto e intelligente”: “uno di quei brutti musi che mi piace tanto guardare”. Dal canto suo Lenin, dopo la morte della celebre compagna, paragonerà Rosa a un’aquila che, pur restando tale, si sarebbe talvolta abbassata al livello di galline quali Kautsky e Paul Levi. Come per lo stesso Lenin anche per Rosa la lotta rivoluzionaria è tutto, a tal punto da giudicare non solo assurdo ma triste che qualcuno le suggerisca di fuggire da Berlino per non farsi arrestare:

“Mio caro giovane amico (compagno Stoecker), le assicuro che non scapperei neppure se rischiassi il patibolo, e per un semplice motivo: ritengo assolutamente necessario che il nostro Partito si abitui a dare per scontato che il sacrificio è uno degli attrezzi del mestiere del socialismo. Lei ha ragione: “Viva la lotta!”.   

E allora che lotta sia, come risulta dalle lettere successive vergate dai vari carceri dove Rosa è stata internata a causa delle sue idee politiche. In questo quadro la pasionaria del nascente comunismo tedesco definisce i parlamentari ed ex compagni della SPD esseri striscianti appartenenti rispetto a lei a un’altra “specie zoologica” “scorbutica, immusonita, bassa e vigliacca”. Questi “asini di seconda mano” che vivono in una “città di rospi” avrebbero avuto paura di essere arrestati rendendo vana la lotta e vendendo il loro già insufficiente eroismo a un prezzo ridicolo. A tutti loro Rosa consiglia di restare umani: “essere saldi, lucidi e allegri (…) nonostante tutto e tutti perché lamentarsi è il mestiere del debole”. Essere umani, prosegue, “significa gettare con gioia la propria vita sulla grande bilancia del destino, se i tempi lo richiedono, ma anche sapersi rallegrare di ogni giorno di sole e di ogni splendida nuvola”. Il mondo infatti sarebbe ancora bello, ma lo sarebbe ancora di più “se non fosse infestato dai deboli e dai vigliacchi”.

Con queste parole severe la militante politica non punta a idolatrare se stessa a discapito dei compagni giacché, come si diceva, non contano i singoli ma la lotta delle masse, il socialismo; di conseguenza Rosa non avrebbe voluto sulla sua tomba nessun epitaffio retorico ma esclusivamente il verso delle cinciallegre in grado di scintillare chiaro e acuto nell’aria “come un ago d’acciaio” quando incombe l’avvento vermiglio della primavera. La teorica di una delle tante forme di socialismo rivoluzionario si sente a casa ovunque ci siano, oltre che uccelli e nuvole, anche “lacrime umane”. Il socialismo insomma dovrebbe redimere i dolori della umanità, addirittura di tutti gli esseri e Rosa ne ribadisce lo spirito internazionalista, perfino naturalista, finanche talvolta embrionalmente animalista. Tuttavia, ciò non deve alimentare il determinismo attendista di molti marxisti ortodossi ma un continuo, imperterrito attivismo che inviti sempre i militanti a

“buttarsi con tutte e dieci le dita sul pianoforte del mondo per farlo risuonare come un tuono”.  

Nella lettera all’amico Robert Seidel, Rosa rifiuta lo stile ripetitivo dei giornalisti di partito da cui emana “il suono di un ingranaggio” dovuto alla perduta capacità di guardarsi dentro e di fare propri gli argomenti di cui si scrive senza perdersi in pedisseque ripetizioni di dogmi o in cervellotiche disamine ma badando alla fulgida chiarezza espositiva, sempre tesa ad accendere nelle masse coscienza e prassi rivoluzionaria. Questioni di estetica, dunque, e di politica che ritornano anche nelle lettere all’amante Leo Jogiches, come quando l’autrice ambisce a una scrittura che sappia colpire “come un fulmine” ghermendo gli altri “con l’ampiezza della visione, il potere del convincimento, il vigore dell’espressione”.

Rosa è capace di scorgere luce perfino in prigione, pure ad Alexanderplatz allorquando dalla cella scruta una bambina che gioca intorno a suo padre:

“dappertutto è la felicità, se ne può trovare e raccogliere un po’ a ogni angolo della strada, e di continuo ci viene ricordato che la vita è bella e ricca”.

La vita è dunque e bella e ricca – anche quando ogni cosa frana e l’avvenire non è più solare; dappertutto si mostrerebbe la felicità, financo nel divenire annichilente che, a dispetto della indefessa cinciallegra rossa, scorre inesorabilmente come un turbinoso fiume distruttore di valori e di ideali. Sulle sue acque insanguinate, galleggiante e scarlatto, il residuo ancora vivo di una rosa.      

Luca Caddeo

Gruppo MAGOG