01 Settembre 2018

“Sta sorgendo un mondo in cui l’‘uomo’ non potrà più vivere”: Romano Guardini è il più acuto pensatore del Novecento. Ma nessuno ve lo dice. Una antologia con commento

L’abito del nostro vivere è la contraddizione. Durante le ferie – o nei sogni raffigurati dall’onirico desktop del nostro piccì – sogniamo luoghi selvaggi, isole deserte, spazi incontaminati dove riconoscerci ancora uomini; poi, però, in fondo, non sapremmo rinunciare allo shopping, alla leccornia surgelata, al macellaio sotto casa, all’acqua calda.

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Non sottovalutate l’importanza del macellaio. Ha reso una bestia viva qualcosa di anonimamente roseo sotto una pellicola di plastica. La ‘fettina’ di pollo, lo sferico hamburger, il sugoso trancio di carne: tutto appare puro, cristallino, indolore. Nella carne sotto plastica non sentiamo il puzzo del sangue, il dolore della bestia scannata – non ne vediamo gli occhi, iniettati di paura. Mangiamo, fieramente, incuranti: non siamo noi ad avere ucciso. Sapremmo uccidere e poi scuoiare, affettare, cucinare per dar cibo ai figli? Tuttavia, era una azione perfino comune – qualcuno avrà dei nonni che avevano le bestie a razzolare in giardino, a ingrassare per la festa.

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Stringo sul punto. Che ha un nome. Romano Guardini. Relegato tra i pensatori cattolici – manco fosse un marchio d’infamia – Guardini, nato a Verona, cresciuto a Magonza, formatosi a Tubinga, sacerdote dal 1910, superprofessore a Berlino e a Monaco di Baviera, morto nel 1968 fa, è uno dei grandi pensatori del Novecento. La sua opera è stampata, libro per libro, da Morcelliana, sia lode, ma dovrebbe circolare nel vacuo dibattito odierno alla stessa stregua di Nietzsche – di cui si discute perfino della lunghezza dei baffi – o di Heidegger – che ormai si cita solo per il passato nazista. Cominciai a valicare Guardini attraverso Rainer Maria Rilke. Romano Guardini è uno dei grandi esegeti delle Elegie duinesi, a suo avviso opera disumana ed extraumana, di una mente assoluta. Il libro è affascinante, forse arduo – son quasi seicento pagine.

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A mio avviso, il libro più accessibile, necessario, potente – e splendidamente scritto – di Romano Guardini è Lettere dal lago di Como, che è poi una riflessione, in nove epistole, su “La tecnica e l’uomo”. Il libro – che è edito da Morcelliana nella traduzione di Giulietta Basso – è costituito da nove lettere, pubblicate in origine tra il 1923 e il 1925, poi raccolte in volume nel 1926. Il libro è antico, allora – e di una cocente prossimità. Guardini, con il delicato gusto del paradosso, ci pone le domande che imbarazzano: che cosa significa ‘progredire’?, dove svanisce l’uomo nella società robotizzata?, che legame abbiamo con la cultura e con la natura se ci adagiamo in esistenze regolate dallo stipendio fisso (o meno), dall’avvenire statalista, dallo statuto dell’orario?

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Il discorso intorno alla tecnica è vecchio di millenni. L’uomo ha deciso di esiliarsi dal vitale, dal naturale, dall’orrido – dunque – da quando Minotauro è stato accerchiato dal labirinto (ogni costruzione dell’uomo, infine, è labirinto), da quando Edipo ha vinto la Sfinge che era dentro di lui, compiendo, ragionevolmente, l’irragionevole, rifiutando di far patti con l’irrazionale – con cui patteggiare significa morire a morsi. Eppure, Gesù sceglie il deserto e muore nella città, riconosce l’uomo ma si esilia dal mondo degli uomini.

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Guardini non anela un ritorno – idiota – all’Eden perduto: la malinconia mette lustrini a mascelle gonfie di zanne. Eppure, la differenza che c’è tra il fuoco e il riscaldamento centralizzato è rapace. Quel mondo umano e tanto umano che è nato intorno al fuoco è finito. Il rimpianto non fa una filosofia – ma il filosofo deve osare le domande assurde. (d.b.)

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Guardini libroSento chiaramente che sta sorgendo un mondo un cui l’‘uomo’ – preso in questo senso particolare – non potrà più vivere, un mondo in certo qual modo disumanizzato.

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Riesco a sentire quale meravigliosa manifestazione di cultura stia nel fatto che l’uomo, in virtù di un legno ricurvo e debitamente connesso e di una tela tesa, possa signoreggiare sull’acqua e sul vento?… Ebbene, indubbiamente l’uomo ha già pagato questa sua vittoria con un distacco dalla natura. L’uomo, nella sua barca a vela, non è più incluso nel regno del vento e dell’acqua, come lo sono l’uccello e il pesce. Gli si è venuto modificando lo slancio dionisiaco col quale egli, a mo’ di un dio, si abbandonava alla natura. Una volta ho letto di una popolazione di pescatori dell’Oceano Pacifico, i cui uomini si gettano tra i marosi a cavallo di un semplice asse: solo per gioco, per puro piacere! Quale indicibile ebbrezza deve impadronirsi di un uomo che, unendosi in tal modo alla natura, sembra quasi trasformarsi in un re delle acque, o divenire addirittura uno spruzzo dell’onda.

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Permettimi di esagerare, di forzare il mio pensiero: essere uomo significa accendere il fuoco in un luogo nel quale non lo si abbia a temere e affinché illumini e riscaldi. Sfera dell’uomo primitivo – Prometeo! Ma senti come ci discostiamo da questa sfera non appena adottiamo la moderna stufa a carbone che si accende in autunno e che, regolare come un orologio, brucia fino a primavera? Oppure il riscaldamento centrale che, in modo assolutamente anonimo, porta per mezzo di un’unica caldaia tutta la casa a un determinato grado di temperatura? O addirittura il riscaldamento elettrico, nel quale non c’è più niente che ‘arde’, dove soltanto un filo metallico corre attraverso la casa e fa sì che si riscaldi, in una determinata ubicazione, un diffusore di calore? Il fenomeno della cultura è scomparso, il contatto con la natura spezzato, ne è derivata una situazione quanto mai artificiale. E tutto ciò che di esistenza umana e di vita era stato attuato davanti al fuoco, all’aria libera, è ormai distrutto.

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L’abbassamento di livello colpisce dappertutto. È la fine di ogni ordine gerarchico. Ciascuno crede che tutto gli sia permesso. Niente sussiste più della sottomissione alla sostanza contenuta nelle cose, alla dignità storica o sociale della forma. Non esiste più niente che sia ritenuto degno di rispetto. Tutto libero, fuori dalla legge. Niente più si considera come irraggiungibile. Si tende la mano verso qualsiasi cosa. Tutti i problemi filosofici, tutta l’arte, tutti gli avvenimenti storici, tutte le personalità, fin negli ultimi recessi del ricordo, corrispondenze e diari intimi, tutti i valori religiosi fino alle testimonianze dei più profondi misteri – tutto questo viene messo in piazza e dato in pasto al pubblico. Come è disgustoso tutto ciò! Com’è divenuta borghese la nostra esistenza in tutte le sue manifestazioni, anche religiose; poiché l’abbandono di qualsiasi senso di arcano, l’irruzione del frastuono e della frenesia nel silenzio creatore, nulla hanno veramente a che fare con la profonda uguaglianza dei figli di Dio e con l’espressione ‘tutto vi appartiene’! Come ardentemente si desidera una disciplina dell’arcano, che protegga il sacro dalla esibizione in pubblico! E anche dalla ostentazione interiore!

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I giornali, i manifesti, la pubblicità e i discorsi sono all’opera e rovinano tutto. Ancora pochi anni fa la parola ‘nobile’ significava qualcosa di prezioso. La si adoperava raramente e con riguardo. Si sapeva che serviva a designare qualcosa di eccellente, di raro, di unico, di eccezionale. Oggi, questo vocabolo è vilipeso. Si è cominciato a parlare di gas ‘nobili’, poi sono venuti i comunisti ‘nobili’ e l’acciaio ‘nobile’. Per finire, adesso, con l’acquavite ‘nobile’! Ma mi pare di perdere qualcosa quando un vocabolo insostituibile viene trascinato in ogni tram dalla sfacciata ed appariscente pubblicità di una marca di liquore! Cosa ne è stato della parola ‘uomo’, delle parole ‘vita’, ‘valore’!

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…ovunque tu avverti il progressivo sbriciolamento delle cose, lo smembramento delle misure, percepisci come una creazione sia inghiottita da un’altra, come un ordinamento antico sia soppiantato da uno nuovo.

Romano Guardini

Gruppo MAGOG