29 Febbraio 2020

29 febbraio, muore Roberto Rebora, “il più puro dei poeti”. Scrisse Carlo Bo: “fu legato all’idea di verità che ha servito pagandone fino in fondo il peso e la fatica”. Ricordarlo è un privilegio

Ripassando pile di libri, l’esercizio più sensuale e lussurioso che un amatore di volumi possa fare, ho incontrato il titolo impetuoso di un poeta dimenticato: “Al tempo che la vita era inesplosa” di Roberto Rebora (un ricordo dello zio Clemente), un libretto elegante, con la copertina rossa come solo Scheiwiller sapeva fare nella sua oreficeria editoriale. Quella frase mi riportava a Milano 1982, quando c’era ancora la nebbia e camminando in Corso di Porta Romana ti sentivi un artista… mi fermavo qualche minuto a vedere le vetrine della Libreria Internazionale, in quattro anni di soggiorno meneghino ci sono entrato due volte, per comprare Rebora e Joseph Cornell, un disposofobico che riempiva scatole di polvere e meraviglia… erano gli anni della “Milano da bere”, dove sogni e garofani piovevano dal cielo e dove se avevi le mani sporche “bastava tenerle chiuse e nessuno lo avrebbe saputo”… sentivi di essere nel cuore del design, della fotografia e scendere i gradini della Galleria Il Diaframma di Colombo faceva “yankee”.

Da alcuni giorni mi ronzava in testa quella frase profetica dal suono impavido… “Al tempo che la vita era inesplosa” e non capivo il richiamo di quella potenza verbale … ecco perché… il 29 febbraio, il giorno in cui Roberto Rebora morì nel 1992… mi era giunto l’impulso partito quattro anni fa dai Campi Elisi, e così, oggi, qualcuno si è ricordato di lui. Scriveva di teatro ed era anche spettatore discreto della sua vita, un grande osservatore che merlettava con le parole, sapendo che una poesia è come un filo, ha un capo e una coda.

I suoi preziosi scrigni, che Vanni Scheiwiller stampava in mille copie numerate, al massimo 70 pagine 12 per 17, perfetti per la tasca della giacca, Per il momento, Parole cose, Non ancora, Fra poco con quelle copertine timide e seriose svelano cioccolatini di sillabe amare, sicure e nebbiose.

Nel suo “coccodrillo” scritto da Carlo Bo sul Corriere della Sera il primo marzo 1992, che ho riscritto in calce, le ultime righe sono l’essenza della sua esistenza: “…legato all’idea di verità che ha servito pagandone fino in fondo il peso e la fatica”. Eh, si, il peso di saper trotterellare con le parole con facilità, e la fatica di essere poveri… pare che nell’ultimo periodo gli amici gli portassero sempre qualcosa da mangiare. Ricordarsi di Roberto Rebora oggi, 29 febbraio, nel quadriennale giorno della sua morte, non è un atto di riparazione nei suoi confronti, dimenticato era e dimenticato lo sarà anche in futuro ma è un lusso per noi che attraverso le sue nove raccolte di poesia possiamo regalarci fantasiosi ceselli di parole. (Silvano Tognacci)

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È morto Roberto Rebora, il più puro dei poeti

Se n’è andato il poeta più puro dell’Italia di questo secolo e anche il più ignorato e dimenticato. Roberto Rebora era nato a Milano il 25 gennaio del 1910 in una famiglia di professionisti, di professori universitari e di poeti, era nipote di Clemente. Quando si dice che è stato ignorato bisogna però aggiungere subito che la colpa è stata anche sua, nel senso che ha coltivato nella più assoluta solitudine e in perfetto silenzio la sua vocazione. Era entrato in poesia come si entra in religione epperò non ha mai previsto nessun tipo di carriera. È morto povero, aiutato da pochi amici, e forse non ha fatto neppure in tempo a riscuotere la prima rata della legge Bacchelli che gli era stata concessa. Fra tanti poeti che hanno visto consacrata la loro opera completa in edizioni solenni, Rebora non è mai stato accolto da un vero e grande editore. Dopo il primo volumetto Misure ha mantenuto un regime di grande riservatezza e di straordinaria pulizia interiore fino a ieri quando l’amico Scheiwiller gli ha stampato l’ultimo volumetto che si intitola Per ora. Sempre per questa fedeltà insuperabile ha seguito il suo itinerario interiore senza confondersi mai con nessun gruppo o con qualche scuola, legato all’idea di verità che ha servito pagandone fino in fondo il peso e la fatica.

Carlo Bo

Corriere della Sera, 1.3.1992

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Aiuto

Aiuto aiutare aiutato
qualcuno mi…
non credo che i richiami
abbiano voce

aiuterò (sarò aiutato)
con il muto pensiero
dentro la mano
che sostiene o accarezza

l’aiuto non ha sillabe
lo si coglie con gli occhi
stupisce a volte
apparendo in una pietra striata
che ferma ciò che per un attimo
è sembrato svanire
nella nebbia infida.

1986

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Appunto 2

Un nome che si avventura
tra le foglie e si districa
via nello spazio

una storia di verbi
di qualche aggettivo
di attese

una voce sola
che accarezza e non cede.

1986

*

Se mi chiedono

Se mi chiedono perché
ho molte parole per la risposta
ma di suono affaticato
o sono parole isolate
che non trovano l’altra…

Come chi improvvisamente
spalanca la porta e non riconosce nulla
se non l’invito ad avanzare
su un terreno troppo silenzioso…

oggi è così
come sempre del resto
e allora raccolgo l’invito
del vecchio e vedo una strada
la vedo proprio con il suo carico
di lontananze e con le tracce
di chi è passato.

1986

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