29 Luglio 2022

“Tornare alle radici del tempo, dove tutto è cominciato”. Reportage dalla Grecia

Chi scrive ha avuto il privilegio di conoscere e frequentare Giampaolo Rugarli, scrittore di raffinatezza ed eleganza ineguagliabili (diversamente dai suoi colleghi contemporanei, che scrivono di commissari e ispettori perché incapaci di immaginare un mondo capace di sopravvivere senza). Un giorno, al cimitero di Recanati, Rugarli mi confessò che stava cercando la tomba di una donna (il nome della quale non mi ha mai rivelato) che secondo molte attendibili fonti poteva essere la Silvia amata da Giacomo Leopardi. E poi aggiunse che nei cimiteri dei veneziani, sparsi in quasi tutte le Ionie e soprattutto a Zante, c’erano «almeno una cinquantina di muse ispiratrici dei più grandi poeti e scrittori d’Occidente». E che proprio il fatto che fossero state clandestinamente sepolte lì e non altrove «annullava ogni idea di Occidente che il nostro immaginario coltiva, più per nostalgia che per necessità». Perché? «Perché solitamente la storia è molto più lontana da dove la cerchiamo, chi vuol trovarla deve andare nei luoghi in cui l’abbiamo seppellita…».

L’idea di andar per necropoli con la speranza di incontrarci la vita, di cercare i defunti per inciampare tra i vivi, è così presente nella letteratura contemporanea da evidenziare innanzi tutto una profonda lacuna di fonti ispiratrici e immediatamente a seguire una sorta di pentimento per quello che stiamo facendo al passato. Soprattutto al passato dei nostri luoghi, delle nostre radici. Da questo punto di vista, la trascuratezza e l’approssimazione dei greci sono così colpevoli da non lasciare scampo ad attenuanti di sorta.

Tutto il passato, fuori e dentro le isole Ionie, grida vendetta perché gettato a una specie di autocommiserazione, a una catarsi che non ha niente a che fare con la riflessione e molte più parentele con l’abbandono. A cominciare dai luoghi dell’infanzia di Ugo Foscolo, il poeta che per primo instillò il bisogno di patria («Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, almen le ossa rendete allora al petto della madre mesta») e che per primo sentì la necessità di parlare di una grande comunità di solitudini che raccolte insieme potevano rappresentare una sola inquietudine, un popolo nuovo, una terra ampia e condivisa (potrebbe essere di aiuto la lettura dell’illuminante saggio di Enzo Neppi La cultura europea di Foscolo: un bilancio provvisorio). Le Ionie, oggi come allora, sono quell’anello di congiunzione tra passato e presente, tra le civiltà che abbiamo rinnegato e l’edulcorazione di un benessere in cui fatalmente non ci riconosciamo nemmeno più.

Ecco perché la Grecia ha preferito, in tutti questi lunghi anni che vanno dall’esilio economico globale alla ripresa della sua identità, abbracciare un presunto straniero piuttosto che farsi pugnalare da un fratello. Perché le lusinghe ricevute dai russi e da un’ampia parte di Oriente ed estremo Oriente erano di gran lunga superiori alla trascuratezza opposta dall’Europa, segnatamente a quella dell’Europa a cui la Grecia (a costo di truccare i conti della repubblica che fu di Socrate, Platone e Aristotele) agognava di appartenere.

«Ci hanno lasciato soli come se appartenessimo a un altro Continente – racconta Alexiosos, imprenditore turistico di Zante proprietario di un importante complesso a Vasilikos –, come se non fosse bastato fare per dieci anni i compiti a casa che loro stessi ci avevano dato da fare. Ci hanno sempre trattato come dei cugini scomodi e scorbutici, invece noi siamo la Grecia. Se il mio popolo lo capisse un po’ di più e un po’ meglio… l’unica rivoluzione a cui potrebbe dar vita sarebbe quella culturale. Tornare alle radici del tempo, dove tutto è cominciato. Cioè qui». 

Una collaborazione economica e non solo, quella coi russi e con l’intero mondo arabo, che i greci non pensano affatto di interrompere, nemmeno dopo l’ingresso sullo scenario geopolitico internazionale delle sanzioni introdotte dall’Unione Europea. «Come arrivano qui i russi? Dalla Turchia – risponde Alexiosos – o dall’Ungheria. Perché dovremmo mandarli via? Ci riempiono le stanze degli alberghi, le case da fittare (studios, NdR) e le strutture che per anni sono state ad aspettare gli aiuti dell’Europa. La cosa che abbiamo visto scomparire negli ultimi anni? I veneziani, che qui avevano parenti tramandati da generazioni e generazioni, e gli inglesi». Una conferma dell’Europa stravolta da sé stessa, che si ridisegna continuamente proprio mentre noi cerchiamo di marcarne grossolanamente confini e appartenenze. Invece la Grecia, la lezione delle sue isole più esposte all’Europa e quindi al potere d’acquisto degli europei, insegna che una ridistribuzione dei rapporti di forza era già in atto da anni. E che, come sempre, ha fatto comodo a tutti non rendersene conto.

Dentro le chiese cattoliche e ortodosse a pochi metri sul mare, c’è tutta la forza di una religione più votata a Est e sempre più reclinata dal suo pentimento per la mancanza di rispetto verso Ovest. Gli sfarzi delle decorazioni che proprio i veneziani hanno portato qui, con imbarcazioni che hanno anticipato di secoli l’ingegneria navale più evoluta, raccontano del bisogno dei greci di raccontare quanto questa posizione di bilico fosse in realtà la loro vera forza.

Zante stessa è l’isola in cui nacque Ugo Foscolo e in cui qualche decennio dopo morì l’idea di Occidente a cui siamo tanto legati (da citarla continuamente senza sapere cosa sia). Eppure la Grecia contiene molto più futuro di tutta l’Europa messa insieme, perché ha affidato al mare le sue speranze di sopravvivenza.

«Il nostro futuro arriva dal mare – aggiungono alcuni indigeni incontrati fuori alla cattedrale di San Dioniso, a Zante – e noi ne siamo ben felici. Anche l’Italia ha voltato le spalle al mare, noi invece non abbiamo paura del mare e pensiamo che dal mare possa arrivare l’unica speranza di salvezza del nostro popolo e della nostra storia. Mentre tutto il mondo corre a blindare i confini della propria costa, noi abbiamo deciso di lasciare il nostro territorio aperto al mare e alle sue novità. Questo perché come i nostri antenati abbiamo fiducia nel mare, non ci spaventa anzi ci commuove ancora».

L’esigenza di raccontare questo breve viaggio è essenzialmente quella di ricordare, soprattutto a noi stessi, come il cinismo che abbiamo rincorso con indomita ostinazione ci abbia presentato un conto salatissimo da pagare, un conto che ha a che fare con le nostre stesse origini. Sul cui scontrino non ci sono solo numeri, riferimenti e importi, ma soprattutto la bocca che morde la mano di chi l’ha sfamata. La storia della Grecia insulare e peninsulare è quella di un popolo che abbiamo messo all’angolo, punito, umiliato ma non sconfitto, e che adesso è l’unico in grado di insegnare a tutti (a tutto il mondo, non solo all’Europa) che andando per cimiteri si incontra molta più vita di quella che ipotizziamo. Perché «solitamente la storia è nei luoghi in cui l’abbiamo seppellita…». E l’Europa pensando di seppellire economicamente la Grecia, senza accorgersene ha seppellito sé stessa.

*Davide Grittani (Foggia, 1970) è giornalista e scrittore. Il suo ultimo romanzo, La bambina dagli occhi d’oliva (Arkadia Editore, 2021), ha vinto il premio Alda Merini 2022, il premio Città di Siena 2022 ed è stato finalista al premio Città di Grottammare-Franco Loi 2022. È editorialista del Corriere del Mezzogiorno, scrive per Pangea. È consulente di diverse case editrici italiane, dirige la collana di reportage narrativi Dispacci Italiani / Viaggi d’amore in un Paese di pazzi per Les Flaneurs Edizioni (Bari).

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