Leggere Mauro Bottarelli dona sempre una certa euforia. Un attimo prima ti fa sentire un emerito idiota (possibile che non ci sia arrivato io?). L’attimo dopo ti ficca in zucca l’idea di capire tutto, in modo rapido e rapace. Bottarelli è un cacciatore di unicorni e di asini con le ali. Di solito, disintegra con un raro dono della sintesi – estremista, obviously – le bufale propagate, per mezzo stampa o tivù o social, dai politici che hanno la fregola elettorale, anche quando sono al governo. D’altronde, viviamo nell’era della fiction perpetua e i Governi – con i governanti a far da primedonne – sono uno spettacolo televisivo più o meno kitsch sul palinsesto planetario. D’altronde, “Trump è Hollywood al potere”. Giornalista finanziario di pregio – cioè, con dati veri alla mano – già firma de il Riformista, ora de il Sussidiario, spazio twitter piuttosto seguito, conoscenza accurata del mondo politico anglosassone e una certa, sana, noia nel curare il proprio ego – da quello che leggo in una rara nota biografica ha “37 anni, milanese, vive e lavora tra Milano e Londra” dal 2010… in realtà è nato nel 1973 – Bottarelli ci dice le cose come stanno. Cioè che: l’Occidente tracanna balle a litri (migranti e islamismo radicale, ad esempio, sono temi usati ad arte, cinicamente e ciclicamente dai politicanti per fini propri e per nascondere magagne ben più gravi), l’Italia ha un ruolo cardine nel mondo ma è sputtanata da una classe dirigente incapace e ci precipitiamo verso una crisi economica letale. Niente di tragico, come sempre. Torneremo a ragionare di ‘nazioni’ o di ‘macro-aree’. D’altronde, l’unica cosa di cui avere davvero paura sono i luoghi comuni e la demagogia a go-go.
Il Ministro Salvini pare elevato a guru della comunicazione: fa rumore solo lui, si sente solo lui. Quanto dura la coabitazione con Di Maio?
Dipende, a mio avviso ci sono tre variabili. Primo: capito che ormai ha raggiunto il massimo del consenso elettoralmente possibile per un partito come la Lega e con l’approssimarsi del redde rationem con la realtà economica, ovvero l’impossibilità di porre in essere riforme come la flat tax per mancanza di copertura o vincoli UE, Salvini potrebbe rompere, avendo comunque l’alternativa del centrodestra – di cui ormai è leader indiscusso, numeri alla mano – in caso, pressoché certo, di ritorno alle urne. Secondo: Di Maio o chi intende fargli le scarpe all’interno del M5S già in subbuglio per il protagonismo leghista (vedi Fico o il rientrante Di Battista) decidono che è ora di staccare la spina per i medesimi e opposti motivi: ovvero, il reddito di cittadinanza non si può fare o si può fare solo all’acqua di rose e, soprattutto, l’emorragia verso altri lidi politici sta svuotando il Movimento. Terzo: la crisi economica e finanziaria ormai in ebollizione stile caffettiera coglie entrambi i vice-premier con la guardia abbassata e la crisi di governo assume i contorni disordinati che – temo – qualcuno all’estero stia auspicando. Se non, addirittura, creando ad arte.
Migranti. Non si parla d’altro. Ci aiuti a capire di cos’altro bisognerebbe parlare.
Economia e finanza. Intanto, perché la fine del QE da parte della BCE a gennaio 2019 sarà un altro spartiacque esattamente come lo fu il “whatever it takes” di Mario Draghi che ne sancì l’inizio, di fatto. I mercati stanno correndo l’ultimo miglio ma tutte le metriche, leverage in testa, sono simili, terribilmente simili a quelle di 2000 e 2007, con l’aggravante però del grado di indebitamento pubblico/privato a livello globale che è cresciuto a dismisura negli ultimi 10 anni, alla faccia di Lehman Brothers che doveva aver insegnato la lezione a tutti e circoscritto il fenomeno dell’azzardo morale. Peccato che a stimolarlo siano state proprio le Banche centrali, con tassi a zero e acquisti onnivori mal calibrati, a pioggia, e per un periodo troppo prolungato. Ormai nessuno e dico nessuno al mondo conosce il valore reale di un singolo asset: è tutto distorto dai programmi di stimolo, l’80% dei guadagni azionari degli ultimi anni sono frutto di buybacks azionari finanziati con emissioni obbligazionarie corporate a pioggia, tanto le Banche centrali compravano tutto! Sono dei pazzi! I migranti, invece, sono un’enorme e comodissima cortina fumogena, la crisi vera, l’allarme reale per noi e Grecia c’è stato fino all’anno scorso, poi sono intervenuti il patto UE-Turchia e la svolta Minniti. Ad oggi, gli sbarchi sono pochi e mi pare parecchio radiocomandati dalla Libia, un chiaro segnale delle tribù rimaste orfane del governo precedente e dei suoi fondi che ora bussano alla porta del nuovo esecutivo. Il problema è che il lassismo posto in essere fino ad oggi, penso all’aperturismo indiscriminato della Merkel, ad esempio, ha talmente incancrenito le condizioni di coabitazione nelle grandi metropoli europee da aver innescato una sorta di effetto pavloviano, basta un barcone e si grida all’assedio e all’invasione. La verità è che questo tema, proprio perché diventato prioritario per l’elettorato, soprattutto quello più facilmente propenso al cambio di partito, ora serve come arma per regolare conti politici, spesso tutti interni alle varie nazioni. Guardi il duello Merkel-Seehofer che potrebbe sancire la fine anticipata del governo di coalizione CDU-SPD e della carriera politica della Cancelliera. Guardi in Italia, proprio a partire dalle sparate populiste, demagogiche e irrealizzabili di Salvini, il quale sapendo di non poter garantire la flat tax, batte il ferro del consenso fin che è caldo su un tema sentito e, soprattutto, a costo zero. Guardi l’uso strumentale che Pedro Sánchez, appena divenuto premier, ha fatto del caso Aquarius per guadagnarsi un po’ di consenso – e, magari, flessibilità – in seno all’UE. E Trump, vogliamo parlarne?
“Reddito di cittadinanza”: una fola, una folata utopica, irrealizzabile? Ma che idee ha questo governo in merito all’economia? Soprattutto: ha delle idee proprie o indotte?
Se devo stare agli annunci, siamo al mondo degli unicorni. Non esiste una singola voce di entrata credibile che sia minimamente in grado di finanziare una delle grandi promesse (abolizione della Fornero, flat tax e appunto reddito di cittadinanza) senza ricorrere al deficit, cosa che l’Europa non ci permette. E a confermarlo ci ha pensato l’altro giorno lo stesso ministro dell’Economia parlando alla Camera prima del voto sulla risoluzione al DEF 2018: non si può deviare dal processo di riduzione del debito. Sembrava Padoan. O Moscovici. Quasi Katainen. A chi dobbiamo credere, alle promesse dei vice-premier o alla linea ufficiale dettata dal ministro dell’Economia? Semplicemente, questo governo non ha una linea economica, perché in cuor suo sa che non ci sono margini per voli pindarici: quindi, o farà come ho detto prima, rompendo e tornando alle urne un secondo prima che qualcuno gridi “il Re è nudo” o dovrà scendere a patti con la realtà. In ogni caso, una sciagura per il Paese, se non si fermano in tempo. Il reddito di cittadinanza, così come è stato impostato, è assolutamente utopico e la riprova l’avremo subito: quanto scommette che se il governo reggerà agli scossoni che arriveranno in autunno dai mercati, non partirà nemmeno la fase preliminare di attuazione della riforma dei centri per il lavoro? Sono solo boutade elettoralistiche.
Ruolo dell’Italia nel mondo. Mi illumini.
Fondamentale. Ma gestito in maniera criminale, quindi pari a zero all’atto pratico. Siamo la porta sul Mediterraneo, una potenza esportatrice, il ponte fra Est e Ovest: risultato pratico di questi punti di forza ai tavoli negoziali? Zero. Serve un ricambio totale di classe dirigente. E una visione d’insieme diversa, il provincialismo ci ucciderà.
Donald Trump: un genio della comunicazione pure lui o un emerito genio del male come lo descrivono? Fatti alla mano, intendo.
Ha visto la pantomima delle famiglie messicane divise al confine, con i video dei bambini straziati dalle lacrime diventati virali e in grado di monopolizzare l’attenzione del mondo? Quanto è durato il tutto, prima che Trump decidesse di bloccare la politica di separazione delle famiglie? Un giorno e mezzo. Durante il quale, però, lui ha ottenuto ciò che voleva, anche grazie alla recita da “poliziotto buono e poliziotto cattivo” messa in scena con il tweet strappalacrime della moglie Melania: riempire la Rete e i mezzi di comunicazione di vecchi video nei quali si mostra come quel tipo di politica “inumana” fosse ampiamente utilizzata anche sotto Bill Clinton e, soprattutto, sotto la presidenza del Nobel per la Pace, Barack Obama. Per dirla chiara, ha sputtanato i Democratici in maniera spettacolare, a costo zero e a cinque mesi dalle elezioni di mid-term. Ora, poi, dopo la firma, non solo ha ottenuto ciò che voleva politicamente, ovvero un accordo bipartisan sulla nuova legislazione in fatto di immigrazione ma ha anche messo un altro mattone nel muro della sua stessa candidatura al Nobel per la Pace, dopo l’incontro storico e la riconciliazione con la Corea del Nord. Trump è Hollywood al potere su mandato del Deep State, il quale sa che la regola aurea della politica italiana è sempre vincente. Qui le riforme di destra sul lavoro può farle solo la sinistra, vedi legge Biagi e poi l’articolo 18 di Renzi, mentre Oltreoceano certe restrizioni della libertà e certe circumnavigazione dei diritti civili può farle solo chi si proclama uomo del popolo che lotta contro le élite. Le stesse che, da palazzinaro newyorchese miliardario, non ha mai combattuto realmente in vita sua, basti vedere la quantità di uomini ex Wall Street presenti nel suo gabinetto o il budget spropositato concesso al Pentagono, un regalo al comparto bellico-industriale che, di fatto, governa davvero l’America in nome del warfare, il miglior moltiplicatore del PIL esistente.
Bisogna avere più paura dell’islam radicale o della ‘destra xenofoba’?
Dei luoghi comuni. Degli stereotipi. E, soprattutto, degli utili idioti e degli agenti provocatori. Presenti entrambi, a bizzeffe, in tutti e due i campi. Se Trump governa il Paese più potente del mondo in nome delle élite, facendo però credere di esserne il nemico pubblico numero uno, capisce da solo che ormai il mondo è governato da una sola forza. Anzi, due: dissimulazione e paura. Quanto sta risultando comodo l’allarme terrorismo e lo stato di emergenza post-Bataclan, poi inserito in Costituzione, alla politica di scardinamento del seppur para-sovietico mercato del lavoro francese di Emmanuel Macron? Certo, i sindacati di Air France e SCNF stanno creando non pochi disagi con i loro scioperi ma non certo la paralisi totale o, peggio, incidenti o prodromi di derive violente: in base a quella legislazione, l’inquilino dell’Eliseo ha poteri pressoché illimitati e può bypassare l’Assemblea Nazionale in ogni momento. Mi chiedo: le banlieue violente e covo di estremismo sono nate solo da tre anni o ci sono da più tempo? Come mai questa esplosione di radicalismo a scoppio ritardo, rispetto ad esempio ad altre azioni militari contro Paesi islamici cui ha partecipato la Francia in ambito più o meno NATO, vedi la Libia nel 2011? Forse all’epoca gli interessi di Parigi e dell’estremismo coincidevano, ovvero eliminare Gheddafi? Penso di sì. Come penso che, esattamente come la questione migranti appaia ingigantita nei termini attuali, quella del “terrorismo globale” sia, per così dire, deformata. Spesso ad arte, un po’ come la plastilina.
Ruolo dell’Europa nel mondo. Mi illumini. Lei ha scritto che sta diventando ‘ufficialmente una colonia’. Di chi? Come? Meglio affratellarsi agli Usa o allearsi alla Russia. O attendere, lenti, pacifici, il tracollo? Il punto portante della crisi europea secondo lei è: esaurimento di una fase ‘storica’, esaurimento biologico della creatività, indecenza dei rappresentanti politici, naturale bulimia della Cina?
Siamo vasi di coccio fra vasi di ferro. E USA e Cina sono destinati a scontrarsi, non fosse altro che per la supremazia rispetto alla valuta benchmark negli scambi globali, petrolio in testa, la cosiddetta de-dollarizzazione. Gli assetti del mondo, da qui a dieci anni, saranno irriconoscibili. Il problema è: ci sarò ancora, per allora, l’Europa come la conosciamo oggi? Io dico di no. E allora, gli equilibri torneranno nazionali. O di macro-area. Prima però, temo ci vorrà uno shock sistemico pari all’11 settembre come magnitudo politica, militare e geostrategica. Ma, soprattutto, emozionale. Perché ormai le guerre non si combattono quasi più con le bombe. Basta Facebook.