Questa volta sfatto, ma non sconfitto, m’imbatto e mi rifugio nella parola: quella che si fa poesia: la sola che reca conforto nel buio di certi istanti. Ma non è nostalgia la mia, ne tanto meno accoramento. Un balzo, piuttosto, nell’ignoto ignudo e santo, che ridona bellezza alla mestizia. Voglio parlare di Paul Celan. Ma prima di farlo, ecco cosa mi accade. Mi scrive, raggiungendomi con un’email (nella notte torbida, in una periferia tutta italiana) un poeta cileno, Eugenio Dávalos Pomareda. Eugenio è un poeta che sente la poesia come solo i sudamericani la possono intendere. Ovvero, come qualcosa di universale e assoluto. Eugenio, in passato, mi cercava spesso. Mi chiedeva come stavo. Roba dell’altro mondo! Probabilmente, nemmeno il vicino del piano di sopra si ricorda che faccia ho.
C’è un altro modo d’intendere la vita e la presenza, dall’altra parte del mondo. E difatti le sue parole mi danno gioia, mi fanno di nuovo sentire più vivo e fraterno. Fanno esplodere il silenzio… Allora afferro il libro dei poeti dello Specchio, dove sono pubblicate le poesie di Luce coatta e altre poesie postume, e come al solito apro a caso:
CON LA MIA NOTTE folleggio, noi due
accaparriamo
tutto ciò che qui
riuscì a liberarsi,
carica anche il tuo
buio sui miei occhi
vaganti, dimezzati,
anch’esso deve udire,
sorgente da ogni dove,
l’eco incontestabile
di ogni offuscamento.
Così scriveva Paul Celan. Così mi vengono alla mente le parole di un prete ascoltate svariati anni fa a Rimini: «Il tuo buio lo devi guardare in faccia».
Così guardo in faccia il mio buio, qualsiasi esso sia. Non me ne vergogno, non ne ho paura; anzi, voglio attraversarlo e farmi attraversare. E Celan, oggi, stasera, me ne dà conferma. Una riprova di un fatto incontestabile. Questi suoi versi mi ricordano che non devo temere nulla. Che non ho alcuna intenzione di scappare da niente: e dove vado, o dove dovrei andare, se non posso nemmeno farlo?
Poiché con la notte (qualsiasi essa sia) occorre folleggiare. E ti prego ‒ sembra dire ‒ amore, “carica anche il tuo / buio” sul mio sguardo sonnambulo e perso. Poiché anche il tuo buio deve sentire fino in fondo, sorgivo ovunque, “l’eco incontestabile” del turbamento.
Che nella mia notte mi abbia raggiunto con le sue parole un amico, è altrettanto incontestabile. Stanotte, difatti, Eugenio quanto Celan hanno abbracciato il mio niente, portando il nulla alla presenza di uno sguardo, pronto a caricarsi del mio peso. Come fa l’amata con l’amato. Come fa il tuo cuore con il mio, se solo sapessi, musa adorata, quanto bene per sempre ti voglio…
Giorgio Anelli