15 Marzo 2024

Il poeta è stato sostituito dallo “specialista”, l’eroe dal manager. Riflessioni sulla fine di un mondo, tra Musil e Bob Dylan

«Sull’Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi verso nord. Le isoterme e le isotere si comportavano a dovere. La temperatura dell’aria era in rapporto normale con la temperatura media annua, con la temperatura del mese più caldo come con quella del mese più freddo, e con l’oscillazione mensile aperiodica. Il sorgere e il tramontare del sole e della luna, le fasi della luna, di Venere, dell’anello di Saturno e molti altri importanti fenomeni si succedevano conforme alle previsioni degli annuari astronomici. Il vapore acqueo nell’aria aveva la tensione massima, e l’umidità atmosferica era scarsa. Insomma, con una frase che quantunque un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella giornata d’agosto dell’anno 1913».

Con queste parole inizia L’uomo senza qualità di Robert Musil. Una semplice osservazione climatica diventa il pretesto per passare l’intero universo attraverso le lenti del microscopio tecnico. Il vento, a lungo rappresentato come un ineffabile soffio che stabilisce il destino di pastori e marinai, diventa un «minimo barometrico» che avanza sull’Atlantico, determinazione geopolitica di un oceano che il poeta aveva sempre visto blu e infinito. Isoterme e isotere si «comportano a dovere», rispondendo a standard precisi e prevedibili: la loro curva è la restituzione grafica di imperituri movimenti atmosferici che devono essere compresi – penetrare la numerologia del mondo significa possederlo. La temperatura dell’aria, presa come dato a sé, non ha alcun valore, se non quando è messa in relazione a una media annua. Il sorgere e il tramontare del sole, arbitrio di imperscrutabili divinità, così come le fasi di luna e pianeti, corrispondono ora al potere del numero, obbediscono a una legge vergata su registri razionali – calcolo numerico, statistica, parcellizzazioni della vita e delle sensazioni.

È una bella giornata d’agosto dell’anno 1913 e il mondo è cambiato: attraverso l’alambicco dell’osservazione scientifica, le cose non sono più le stesse di prima. Di più, le cose non sono più semplicemente cose; o forse, al contrario, diventano per la prima volta semplici cose. Poi, quando tutto sembra perduto, sclerotizzato in una visione fredda e calcolante, ecco che una forza riluce tra le righe. Dall’incontro di due dati ha origine un’inedita comprensione del mondo: isotere e isoterme iniziano a “comportarsi”, assumono capacità di essere senzienti, personificazioni arcane. La luna ruota intorno alla terra, il sole sorge e tramonta; l’anello di Saturno si muove silenzioso, le fasi dei corpi celesti, come in un giroscopio cosmico, seguono la loro rotta con precisione millimetrica. L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si sovrappongono, si intrecciano nella filigrana dei numeri. Il vapore acqueo ha la tensione massima, l’umidità atmosferica è scarsa: la chimica è in equilibrio, gli elementi attendono in soprafusione – quiete o tempesta, vita o morte procedono dai numeri. Una nuova bellezza è annunciata e tutto nasce e torna in una codificazione universale. Il ribaltamento comporta che il linguaggio scelto da Musil, iper-tecnico e antipoetico, lasci trasparire una forza demoniaca, la follia di una razionalità esasperata. L’eccesso di analisi determina una tensione esoterica e l’incipit si presenta come una formula misterica, come le parole da cui scaturirà l’apocalittico incantesimo delle grandi guerre.

Il cambiamento non riguarda soltanto il modo di vedere il mondo, ma anche l’essenza stessa delle cose, che ora, mostrandosi sotto un’altra forma, hanno infine abbracciato l’essenza stessa di quella forma nuova. La trasformazione si estende anche agli uomini, come avviene per il personaggio centrale del romanzo, Ulrich, l’uomo senza qualità, o meglio: l’uomo le cui molte qualità sono essenzialmente di tipo analitico. Anche la misteriosa “azione parallela”, ircocervo burocratico e kafkiano che si diffonde tra i capitoli del romanzo di Musil, è parte di questo mutamento. Finito il tempo della poesia è finito anche il tempo degli eroi, finito il tempo degli imperi è iniziato quello degli stati. Questa riduzione specialistica di cose e persone investe tutte le categorie, decretando il successo della figura del tecnico, individuo extra-morale e senza qualità. I grandi e terribili dittatori del Novecento rappresentarono il canto del cigno di un modo di concepire l’esistenza destinato a tramontare. A questo proposito, è emblematico del nuovo modo tecnico di esistere e di esercitare il potere il ritratto che Sebastian Haffner fece di Albert Speer, l’architetto di Hitler.

«Albert Speer non è il solito nazista appariscente e ottuso… è molto più del semplice uomo che raggiunge il potere, simboleggia invece un tipo d’uomo che sta assumendo sempre più importanza in tutti i Paesi belligeranti: il tecnico puro, l’abile organizzatore, il giovane brillante uomo senza bagaglio e senza altro scopo che seguire la propria strada, senza altri mezzi che le proprie capacità tecniche e manageriali. Degli Hitler e degli Himmler ce ne sbarazzeremo, ma con gli Speer dovremo fare i conti ancora a lungo…».

Il passaggio da un modello all’altro non è stato facile, a tal punto che si potrebbe pensare che tutto il dolore della prima metà del XX secolo sia servito a garantire questa trasformazione. La tecnica necessitava di un nuovo orizzonte, la cui imposizione doveva passare da un atto di forza. Il senso di apocalisse di quegli anni, così come l’immane grandezza dei suoi protagonisti, è ben restituito da una pagina di Chronicles, l’autobiografia Bob Dylan:

«Io ero nato nella primavera del 1941. In Europa infuriava la Seconda guerra mondiale e presto l’America ci sarebbe entrata. Il mondo si stava disintegrando e il caos stava già tirando un pugno in faccia a tutti quelli che allora si affacciavano alla vita. Chiunque fosse nato in quel periodo, o ci fosse ben vivo, sentiva il vecchio mondo che se ne andava e il nuovo che stava cominciando. Era come far tornare l’orologio a quando a.C. era diventato d.C. Quelli che come me erano nati in quegli anni partecipavano di tutte e due le epoche. Hitler, Churchill, Mussolini, Stalin, Roosevelt erano figure gigantesche delle quali il mondo non vedrà mai più l’uguale, uomini che contavano solo sulla loro determinazione, nel bene e nel male, ciascuno pronto ad agire da solo, indifferente a ogni approvazione, senza curarsi né di amore né di beni materiali, intento a presiedere al destino dell’umanità e a ridurre il mondo in macerie. Eredi della stirpe degli Alessandro Magno e Giulio Cesare, Gengis Khan, Carlo Magno e Napoleone, avevano piantato i loro coltelli nel mondo come se fosse un piatto davvero squisito. Che portassero i capelli divisi in due o si mettessero in testa un elmetto vichingo, era impossibile ignorarli e impossibile venirne a capo, rudi barbari che correvano in branco sopra la terra, martellando ovunque le loro visioni di geografia».

Antonio Soldi

*In copertina: Richard Avedon, Charlie Chaplin, 1952

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