04 Ottobre 2023

Operazione Giacarta, o sulla disinvolta criminalità della “più grande democrazia del mondo”

Durante lo svolto del 1975, in Cile, avanti il definitivo colpo di Stato americano che avrebbe liquidato Allende e piombato la popolazione sotto il ferreo tallone del burattino Pinochet, ricordato da molti in queste settimane, nel Paese iniziò a circolare una paroletta allusiva di cui quasi nessuno intercettò significato e implicazioni: Giacarta.

Ce ne informa il fondamentale libro dell’ottimo Vincent Bevins, tutto dedicato al Metodo Giacarta (Einaudi) e dal sottotitolo inequivocabile: La crociata anticomunista di Washington e il programma di omicidi di massa che hanno plasmato il mondo.

A principiare dal 1948 insino al 2000, la Cia scatenò e sostenne in circa ventiquattro Paesi del globo un’azione di sterminio degli esponenti, dai più marginali su su insino ai vertici talora anche degli Stati, delle organizzazioni comuniste o almeno di sinistra radicale, quasi sempre svincolate da Mosca. Un’operazione silenziosa, vòlta a sgombrare la scena politica internazionale dagli uomini i quali, a vario titolo e anche solo virtualmente, avrebbero potuto costituire o costituirono in effetto un ostacolo al dominio planetario statunitense conquistato con la vittoria nella seconda guerra.

Certo, l’Operazione Giacarta fu in parte informata dalla tabe anticomunista americana; ma a leggere il resoconto e i documenti offerti da Bevins, penne determinata ma equilibrata, è immediato capacitarsi della programmaticità strategica dell’iniziativa. Iniziativa che dovette ingigantirsi talora a sanguinose ondate inusitate dove e quando la resistenza comunista e paracomunista a petto dell’imperversante dominio a stelle e strisce assumeva caratteri di autentico pericolo, come ad esempio nel citato Cile, in Indonesia (donde il nome dell’Operazione) oppure in Brasile, lasciando in terra quasi due milioni e mezzo di morti ammazzati.

Bevins giunge a dire che l’Operazione Giacarta

«ebbe un ruolo fondamentale nel costruire il mondo in cui viviamo oggi […]: la violenza e la guerra contro il comunismo [ebbero] un ruolo così importante del determinare la nostra vita di oggi – sia che abitiamo a Rio de Janeiro, a Bali, a New York o a Lagos».

Chi scrive soggiunge: Roma, Berlino, Parigi; e si sappia che il libro è del 2020, sicché lo «oggi» di Bevins, è anche nostro.

Da queste pagine si staglia così una storia della Guerra fredda, e oltre, parecchio diversa da quella cui i vincitori occidentali del ’45 (insieme, non scordiamolo mai, ai traditori stalinisti, non solo di Russia, ma altrettanto d’Italia) ci hanno abituati, e che mostra, ve ne fosse bisogno, sia la disinvolta criminalità della «più grande democrazia del mondo», che, a conti fatti e in ogni senso, insieme ai collaborazionisti d’ogni latitudine batte qualsiasi somma tra le dittature novecentesche, sia, ciò che a mio avviso più conta, il ruolo rivestito e il peso avuto, soprattutto prima della colata a picco degli anni successivi il triennio ’89-’91, del movimento comunista internazionale in ogni angolo del pianeta, il quale, da sempre, si conferma l’unica e vera alternativa al dominio capitalistico, che alla sua volta, vediamo, ne è ben cosciente. Terzo elemento da ritenere è l’ennesima prova dell’efficienza censoria delle democrazie borghesi: chi infatti non si addentri in certe faccende o non le abbia vissute sulla propria pelle, sino a oggi ne è rimasto all’oscuro (e d’altra parte non mi pare, neppure a “sinistra”, d’aver letto qualche recensione del libro di Bevins).

Per spiegare ai distratti certe affermazioni circa il ruolo dei rossi nella storia mondiale, veniamo all’Italia e alla Germania degli anni Venti e Trenta del secolo trascorso, di che dovremmo trarre la severa lezione per cui a scatenare la doppia reazione – che non a caso i più avveduti proprio così chiamano – di fascismo e nazionalsocialismo, fu il “pericolo comunista” incombente sui rottami europei esciti dalla Grande Guerra, e non certo volontà malefiche ctonie, o provvidenze rovesciate, o il semprinvocato “caso” o “fato” delle teste di rapa.

Il capitalismo imperialista necessitava di campo libero e programmaticamente finanziò e armò i massacratori del proletariato e delle organizzazioni comuniste (talora infiltrandole e corrompendole), allora dilaganti ché forti e della spontaneità popolare e della gloriosa spinta dell’Ottobre rosso, non senza la complicità dei socialtraditori, ovvero socialdemocratici.

Toccò dapprima alla Germania con Luxemburg e Liebknecht, subito dopo all’Italia del biennio rosso (ottomila compagni ammazzati) del rinnegato Mussolini, ex socialista massimalista in esercizio di meretricio presso Francia e Gran Bretagna (costava così poco!), indi ancora Germania, due volte: 1923 e il fatale 1933, con tutto ciò che vi fu nel mezzo.

La borghesia e le classi dominanti crearono e si servirono dei così detti “fascismi” contro la sollevazione comunista – che frattanto se la sbrigava da sola, come ad esempio Budapest 1919 insegna – intenzionata a romper loro le uova nel paniere, non senza scordare qualche testa, imprimendo all’Europa un altro volto. E si taccia per banali motivi di spazio su Stalin e soci, liquidatori per ordini ultraoceanici della vecchia guardia bolscevica rivoluzionaria. (Sulla disfatta comunista tedesca e sulla fallita Repubblica dei consigli magiara, fondamentali e unici sotto ogni rispetto sono L’«Ottobre tedesco» del 1923 e Il biennio rosso ungherese 1918-1919, entrambi di Corrado Basile).

Una storia che solo in questi ultimi anni, se pure con la erculea fatica di chi muove battaglia solitaria contro il resto del camorristico mondo, sta emergendo per le voci di militanti e di qualche ricercatore onesto, indipendente o simpatizzante. (E che, in parentesi, venga pur fuori la benedetta verità, ché tanto non inciderà più).

Ora, mutatis mutandis, si estendano i fattacci di quel torno ferale d’anni d’un secolo fa al globo intero e li si moltiplichi con Vincent Bevins, non certo un pericoloso rivoluzionario, ma una delle sparute e coraggiose voci capaci di intonare un’altra canzone, non fatta per irretire come sirena i cervelli e i corpi dei pochi, pochissimi proletari ancora non del tutto rimminchioniti.

Luca Bistolfi

Gruppo MAGOG