Corrispondenza e diario, gioco di specchi che dietro la figura pubblica dell’intellettuale, di volta in volta copre e svela l’uomo con le sue fragilità e paure – una per tutte quella d’invecchiare. Racconto dei suoi amori e dei rapporti con la famiglia e i fratelli, ma ancora di più con amici e rappresentanti di Bloomsbury, al centro delle complicate dinamiche che reggono i fili di uno dei sodalizi artistico-letterari più anticonvenzionali del ’900 – di cui convoglia la volontà di superare la rigida etica vittoriana per aprirsi al nuovo.
Spaccato, dunque, del fermento culturale del proprio tempo nelle discussioni letterario-filosofico-artistiche con scrittori, poeti, pittori, scultori e alti ranghi della nobiltà, a partire dall’amica Ottoline Morrell, nel cui salotto tutti s’incontrano. Ben più di semplici carteggi personali, le lettere di Lytton Strachey entrano a pieno diritto nella sua eredità letteraria, tra l’altro come banco di prova dei saggi, perché spesso contengono embrioni di idee poi sviluppate nelle opere.
Autoritratto d’artista, infine, l’epistolario realizza in forma scritta le mille sfaccettature di diamante che dell’amica Virginia Woolf costituiscono un personaggio: uno dei più influenti personaggi letterari del Ventesimo secolo. Lo scambio epistolare con Virginia, in particolare – spunti, riflessioni, reciproche influenze, commenti e posizioni critiche – è documento di un’amicizia e insieme cartografia di un habitat culturale:
“Da circa una settimana sono rientrato nella Vita Londinese (…). La trovo molto cupa e nebbiosa. Naturalmente sono stato due volte a teatro e da Simpson’s, e inoltre alla London Library e nell’ufficio dello Spectator [diretto dal cugino Loe Strachey, ndt] e al momento sto scrivendo una recensione di Swinburne sugli elisabettiani. (…) A tratti (…) mi pare di vedere la vita con lucidità e nella sua completezza, ma non sono che istanti (…) Le dieci. Mi chiedo dove sei adesso – forse a Gordon Square. Sembra assurdo che tu non sia qui intorno al fuoco come al solito. Immaginami in una straordinaria solitudine, che quasi mi venderei l’anima per un poco di conversazione. Quanto riuscirò a sopportarlo, non ne ho la più pallida idea (…), ma ho con me Saint-Simon a sostenermi, meraviglioso come sempre…”
Nato in una famiglia importante, con un ruolo decisivo pur dietro le quinte nella storia inglese (La tempesta contiene, pare, allusioni a vicende familiari), undicesimo figlio del generale Sir Richard Strachey e di una madre tra le prime sostenitrici delle suffragette, Giles Lytton Strachey raggiunge la celebrità con un libro simbolo dell’epoca vittoriana appena trascorsa: Eminent Victorians. Titolo che sembra quasi descrivere il clan degli Strachey: la sorella maggiore Elinor nasce infatti nel 1859, l’anno in cui Darwin pubblica The Origin of Species e il minore James nel 1887, quando la fama dello scienziato è tale che il libro dell’anno è Darwin’s Life and Letters. Delle altre sorelle Dorothy è la traduttrice di Gide, Pippa un’accanita attivista nel movimento suffragista, Pernel tra le prime presidi donna del Newham College di Cambridge. Tra i fratelli Oliver sarà un celebre decifratore di codici segreti in entrambe le guerre mondiali e James, futuro medico, tradurrà in inglese l’opera di Freud.
Eminent Victorians (1918) sorprende gli inglesi ancora in guerra per il genio del dettaglio e l’ironia acuminata. Così nel divertente e dissacrante profilo di Florence Nightingale, la “dama con la lampada”:
“Certo, lei era eroica. E tuttavia il suo eroismo non era di quel semplice tipo tanto caro ai lettori di romanzi e compilatori di agiografie – quello romantico e sentimentale di cui l’umanità ama investire i suoi eletti: era eroismo di materiale ben più duro. Al soldato ferito nel suo letto di dolore poteva apparire un pietoso angelo di misericordia; ma i medici militari, gli attendenti e le sue infermiere (…) avrebbero raccontato una storia diversa. Non era stato grazie a dolcezza e abnegazione femminile che aveva portato ordine nel caos dell’ospedale di Scutari, che, con le proprie risorse, aveva rivestito l’Esercito Britannico, che era riuscita a imporsi e dominare le serrate e riluttanti forze del mondo degli ufficiali; era stato con metodo fermo, disciplina severa, rigida attenzione al dettaglio, fatica incessante, determinazione tenace e volontà indomabile. Dietro il suo contegno calmo e distaccato si celavano fiamme d’orgoglio e passione.
Mentre attraversava le corsie nell’abito di semplice foggia, così quieta, così modesta, colpiva l’osservatore quale modello della perfetta signora; ma l’occhio più acuto percepiva qualcosa di più – la serenità di nobili riflessioni nell’alta fronte, il segno del potere nell’assertiva curva del naso sottile, tracce di un carattere granitico e pericoloso — un che di insofferente, beffardo ma preciso – nella bocca piccola e delicata. (…) Una volta, data che ebbe un’indicazione, un medico si avventurò a sottolineare che la cosa non si poteva fare. “Ma si deve fare”, disse Miss Nightingale. Chi l’avesse sentita parlare, per tutta la vita non ne dimenticava più l’invincibile autorità. E parlava quasi in silenzio, sempre sottovoce.
A notte fonda, quando le migliaia di letti giacevano nell’oscurità, Miss Nightingale sedeva al lavoro nel suo stanzino, intenta alla corrispondenza. Era uno dei suoi doveri più impressionanti. C’erano centinaia di lettere da scrivere ad amici e parenti dei soldati; l’enorme massa di documenti ufficiali da sbrigare; le sue lettere private a cui rispondere; e, soprattutto, la stesura dei lunghi rapporti (…). Poi riempiva le pagine di raccomandazioni e suggerimenti, appunti sui più minuziosi dettagli dell’organizzazione, calcoli elaborati, analisi esaustive e dichiarazioni statistiche impilate l’una sull’altra con ansia martellante. E poi la sua penna, nella sua volubile virulenza, si precipitava a studiare gli individui, la denuncia di un chirurgo incompetente o il ridicolo eccesso d’indipendenza di un’infermiera. Il suo sarcasmo perlustrava i ranghi dei funzionari con la precisione mortale e spietata di una mitragliatrice (…). L’intollerabile vuotaggine dell’umanità la ossessionava come un incubo (…). Quanti uomini retti v’erano a Scutari? Quanti si prendevano cura dei malati, o avevano fatto qualcosa per alleviare le loro pene? Ve n’erano dieci? Cinque? O forse uno solo? Non poteva esserne certa…”.
Come nella successiva, brillante biografia della regina Vittoria e in Elizabeth ed Essex, Strachey introduce nel suo taglio biografico le idee nuove di Freud, da cui si fa psicanalizzare, ma irriverenza e intuizione psicologica abbondano già nell’epistolario.
Allievo di George Moore e membro dei circoli esclusivi di Cambridge – dagli Apostoli alle Società di Conversazioni segrete –, ha l’allure del rango: critico letterario di opalina limpidezza, le sue opinioni schierano il passo inesorabile del definitivo: “Ho letto Keats in estasi. (…) la meravigliosa poesia color vetrata di St. Agnes’ Eve! Mosaici sulla volta del cielo!”. A Cambridge e Londra frequenta tutti: Leonard Woolf, i fratelli Virginia, Vanessa e Adrian Stephen, Bertand Russell e Ottoline Morrell (per lui, confidenzialmente, “Bertie” e “Ott”), Maynard e Geoffrey Keynes, i pittori Duncan Grant e Charles Lamb, Clive Bell e Saxon Sidney-Turner. Eliot e Kipling, Gide e Forster. Rupert Brooke, Walter Lamb – fratello di Charles – e Thoby Stephen sono suoi compagni di studi e quando quest’ultimo muore nel 1906, nel dolore Lytton si lega ancora di più all’ammirata Virginia:
“Considero quella di Virginia l’opera di un genio. La fluidità dello stile mi riempie d’invidia (…). Come riesce a far fluttuare e fluttuare di continuo la lingua inglese?”.
Anche il romanzo infatti, si sta rinnovando, nell’epoca pervasa da forze e tensioni discordi, ricca e ristretta, a cavallo tra ’800 e ’900: Strachey attraverserà la seconda parte del regno di Vittoria, il “mondo di ieri”, una guerra mondiale e l’avvento del Modernismo. E se riconoscerà i meriti della Woolf e di Eliot, non apprezzerà mai l’opera di Joyce.
Nella vita l’uomo è un nodo di contraddizioni. Sofisticato e pungente, coltissimo e indiscreto (lui e Virginia sono soprannominati “le pettegole di Bloomsbury”). Cinico e sentimentale, socialista radicale nato nella classe dominante, è un democratico che preferisce evitare contatti troppo diretti con il popolo. Scettico con animo di poeta che crede totalmente nell’amore (“la musica sconfinata dell’amore”, ricopia da Swinburne per Leonard Woolf), allo scoppio della Prima guerra mondiale si dichiara obiettore: la guerra è il male del mondo, la sciagura dell’umanità. Poi, da pio ateo militante e razionalista lettore di Darwin, per lui viene la religione. Amante della bella vita, vive a lungo con austerità per mancanza di denaro, tra club e case di amici che lo ospitano. Omosessuale dichiarato, intrattiene con una donna, la pittrice Dora Carrington, una delle storie d’amore più strane e commoventi dell’epoca.
Le 1930 lettere selezionate e raccolte da Paul Levy per la Viking Press – The Letters of Lytton Strachey, 2005 – sono una miniera di informazioni, aneddoti, ritratti, quasi uno studio dell’intellighenzia britannica novecentesca. Un tesoro letterario di 658 pagine che narra i primi tre decenni del secolo, dalla lettera indirizzata il 21 dicembre 1900 a Leonard Woolf – “Leon”, l’amico di una vita –, all’ultima datata 4 dicembre 1931 per Roger Senhouse, l’ultima passione.
Tra le più commoventi, quelle a Dora Carrington sono missive a volte lunghissime altre poco più di biglietti, ma sempre cariche d’affetto e senso dell’umorismo, venato da intense risonanze emotive. La prima, del 7 giugno 1916, stabilisce la tonalità di fondo: un velo di malinconia, a riflettere l’intensità della loro unica e impossibile relazione, per lo più platonica, fuori da ogni norma ma, in entrambi, sorretta tutta la vita da una profonda dipendenza emotiva.
Qui come altrove, Lytton chiama Dora “Chère Bébé” – nel giugno 1916, dopo aver parlato di Rimbaud le ha regalato il Bateau Ivre – e le riscrive da Garsington, la villa dei Morrell, “Scrivimi di nuovo, per favore, con più dettagli in ogni argomento – discreto e indiscreto”, con una complice spontaneità che non verrà mai meno: “vorrei tradurre per te tutta la letteratura francese, e darti lezioni su tutta quella inglese (…). Senza il tuo sostegno, dubito di riuscire ad affrontare di nuovo questo posto …”. Le pagine collezionano sentimenti e minuzie, consigli di lettura e dolcezze:
“Sono seduto sul prato di fronte alla casa, presso uno stagno colmo di ninfee, il giardino che va degradando davanti a me, e nell’intrico di allegria e serietà delle tante malvarose scorgo le colline del Surrey che distendono la loro colorata fantasia … finora non è stato troppo caldo, il che è un prodigio. Tra un minuto dovrò iniziare a lavorare, dannazione. Non essere troppo triste, ma chère bébé. Leggi il dr Donne (ti consiglio Il profumo), (…), fai il bagno in mare (…). E inoltre scrivimi ancora, je t’implore (…). Tutto il giorno ho desiderato che tu fossi qui con me a goderne – e a farmi apprezzare di più il panorama…”.
All’inizio del 1918 i due vanno a vivere insieme a The Mill House, a Tidmarsh, nel Berkshire occidentale. Lei lo ama, le storie di Lytton con i ragazzi non contano. La fattoria diventa un quadro molto noto di Dora, con un orto e delle galline, il giardino e una vita libera: “ammetto di vergognarmi alquanto di me stesso. Un letterato di mezza età, con barba e occhiali, andare a zonzo con babbucce di satin rosa e cotone a fiorellini! È ridicolo, ma ha i suoi vantaggi”, confida lui a Leonard Woolf.
A Tidmarsh, Dora occupa la mansarda “dove si chiude tutto il giorno a dipingere quadri che non ho il permesso di vedere”, tra cui il famoso ritratto in cui Lytton legge disteso, con la barba rossiccia e gli occhiali, il libro sorretto da dita lunghissime. Specie se lei è altrove lui legge giù, nel prato:
“Ho appena raccolto delle pere. (…) In quanto alle more, non credo riuscirò mai a insinuarmi sotto quel loro groviglio. (…) Di nuovo sera. Ho trascorso la giornata scrivendo numerose lettere seduto fuori sul prato giallino, molto accaldato, e moderatamente felice. Le rose rampicanti sono diventate la caratteristica più notevole del giardino – una romantica chiazza di rosso; si vedono anche alcune speronelle. Voilà tout”.
Nel maggio del 1921 Dora sposa Ralph Partridge, che per Lytton è stato un amore impossibile, e dopo il viaggio di nozze in Toscana e Romagna i due lo raggiungono a Venezia. Poi, vivranno tutti e tre alla fattoria:
“…spero tu non abbia mai dubitato del mio affetto per te. Sai quanto trovo difficile esprimere i miei sentimenti (…). Tu comprendi il mio umore mutevole, ma forse non comprendi altrettanto bene l’essenza dei miei sentimenti. Forse è colpa mia. (…) Oh mia cara, vuoi davvero che ti dica che ti voglio bene da amico? – Naturalmente questo è assurdo, e tu sai benissimo che ti voglio bene molto più che da amico, tu, angelica creatura, la cui bontà verso di me mi ha reso felice anni, e la cui presenza nella mia vita è stata, e sarà sempre, fondamentale. La tua lettera mi ha fatto piangere, mi sento un triste povero vecchio, e forse ti ho provocato più infelicità di tutti. Prego solo che non sia così, e che il mio amore per te, sebbene non sia come tu lo desideri, possa renderti il nostro rapporto una fortuna, come lo ha reso a me. (…) Sto davvero invecchiando, e se la tua decisione avesse comportato in un modo o l’altro perderti, non credo l’avrei potuto sopportare. Tu e Ralph e la nostra vita a Tidmarsh siete ciò a cui più tengo al mondo (…), le uniche cose al mondo a cui tengo. Sarebbe orribile, se dovessero sparire…”
Anche Lytton intrattiene varie relazioni, ma è sempre a Dora – o Carrington, come la chiama – che scrive subito, lontano da Tidmarch. Le scrive da Charleston, casa di Vanessa e Clive Bell: “Vorrei tu fossi qui. Sono fuori sull’erba ai piedi dei Downs, al sole, felice ma piuttosto solo. Les gens ici sont très aimable, mais… vorrei essere di nuovo con la mia famiglia e tutti i miei comfort a Tidmarsh…”. O da Londra: “quanto vorrei fossimo tutti di nuovo a Tidmarsh, e darci la buonanotte!”. E dopo Tidmarsh, dal 1924 in poi la casa di Lytton, Dora e Ralph Partridge sarà Ham Spray House, sempre nel Berkshire: “Mia adorata creatura [appellativo usato ugualmente per Roger Senhouse], ieri mi ha riempito di felicità ricevere la tua lettera con l’elegante cigno d’argento. (…) Il primo giorno qui è stato terribile perché ero ancora sempre con te” le dice, di nuovo a Charleston.
L’ultima lettera indirizzata a lei è del 14 novembre 1931. Lytton è già malato anche se il cancro che lo ucciderà non è stato ancora diagnosticato. L’ha firmata, laconicamente: “Con tutto il mio amore, Lytton”. Il 21 gennaio 1932 lui muore, lei compie il primo tentativo di suicidio.
Il giorno prima Strachey – senza forza per scrivere – ha detto: “Cara Carrington. Io l’amo. Ho sempre voluto sposare Carrington, e non l’ho mai fatto”. Lettere e diario tacciono da dicembre. Roger scomparirà nel 1970, dopo una brillante carriera di editore. L’11 marzo Carrington, deciso che non vuole vivere senza Lytton, getta simbolicamente via la sua scatola dei colori e i pennelli. Quindi si spara.
Paola Tonussi
*In copertina: Lytton Strachey secondo Dora Carrington, 1916