13 Dicembre 2022

“Ho sbagliato tutto…”. Dora Carrington, pittrice estrema

Carrington, semplicemente: così i compagni avevano iniziato a chiamarla alla Slade School of Arts a Londra. Quello era l’uso, tra gli studenti, ma lei aveva preferito mantenere poi per sempre il nome-cognome.

In parte perché assecondava il suo aspetto androgino e le rendeva più semplice vivere tra molti ragazzi, in parte perché, adottato un nome che non era né maschile né femminile, avrebbe potuto in futuro risultare meno diversa all’uomo che amò tutta la vita, omosessuale dichiarato e dichiarato misogino (il capitolo dedicato a Florence Nightingale in Eminenti vittoriani oscilla, a tratti, tra il sorriso e la punta d’acido).

Sul grande schermo la vita di Carrington l’ha raccontata Christopher Hampton in un film del 1995, protagonista Emma Thompson, basato sulla vita di Strachey.

Lei si chiamava Dora de Houghton Carrington, nata nel 1893: manifestata presto una spiccata inclinazione pittorica, la famiglia le aveva fatto dare lezioni di disegno, per portare alla luce le sue doti. Dopo la scuola a indirizzo artistico, aveva lasciato la famiglia a Bedford per continuare a studiare a Londra. Dora aveva 17 anni. Per accedere alla prestigiosa accademia d’arte Slade aveva vinto una borsa di studio. Trasferitasi nella capitale nel 1910, iniziava a studiare disegno, pittura, scultura da futura professionista.

Alla Slade aveva conosciuto i fratelli Paul e John Nash, John grande illustratore di opere letterarie (negli anni ’20 ‘firma’ splendide immagini per le Elegie ovidiane), Paul membro del London Group e formidabile illustratore di guerra. Poi Christopher R.W. Nevinson, rinomato paesaggista e tra i più celebri artisti della Grande guerra, e il ritrattista Mark Gertler. Più o meno tutti si erano innamorati di lei. Ma è Gertler, con cui l’anticonformista Dora ha una storia d’amore non breve, a consegnarci uno dei pochi ritratti che la raffigurano.

Come nell’autoritratto o nelle fotografie che sono sopravvissute, lo sguardo fissa sognante l’interlocutore, velato da patine di malinconia, poi accentuata dalle linee della bocca chiusa, con gli angoli rivolti al basso. Sembra non voler lasciare molte tracce dietro di sé, Carrington, per scomparire nel vortice della propria arte. Quasi dicesse al pittore: “Lasciami andare…”.

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Prima della guerra era una delle pittrici più promettenti d’Inghilterra. Non firmava però  i suoi quadri, non voleva nemmeno esporli: dipingeva solo per gli amici e per chi amava.

E per essere sempre più Carrington e sempre meno Dora (lo considerava un nome lezioso post vittoriano), un bel taglio e via: un poco come la Berenice nel racconto di Francis Scott Fitzgerald, un giorno recise i lunghi capelli che erano l’orgoglio materno e che lei preferirà portare per il resto della vita in un caschetto squadrato, la frangia dritta sopra gli occhi, a incorniciarle il viso in linee decise.

Bravissima nel disegno dal vivo, ritrae con passione la vita intorno a sé, la vita quotidiana così come la vede, i “lampioni colorati” di Virginia Woolf. Il rapporto con la sua arte è assoluto: Carrington vive per dipingere. La notano, il suo nome inizia a circolare negli ambienti artistici della capitale. Lei non fa niente per farsi conoscere. Lavora sporadicamente all’Omega Workshops nella centrale Fitzroy Square.

Fondato nel 1913 dall’inesauribile Roger Fry (nel 1910 aveva organizzato la prima mostra di Post Impressionisti a Londra, che aveva cambiato la percezione dell’arte moderna), l’Omega fungeva da laboratorio sperimentale di design, spazio espositivo, atelier.  Cofondatori con Fry erano Vanessa Bell, sorella di Virgina, e Duncan Grant, un aiuto finanziario lo aveva offerto anche George Bernard Shaw. Lo frequentava tutto Bloomsbury, in seguito per qualche tempo anche Gaudier-Brzeska e Wyndham Lewis

E.M. Forster secondo Dora Carrington, 1924

Gli artisti di Omega si firmavano solo la lettera greca Ω, e tra i loro acquirenti e amici figuravano Virginia Woolf, Lady Ottoline Morrell, Edward Morgan Forster. Pare che ispirata da Omega Virginia abbia acquistato il torchio, con cui avrebbe dato vita alla Hogarth Press con il marito.  

Entrata in contatto con il gruppo di Bloomsbury – Virginia e Leonard Woolf, Vanessa Bell e Duncan Grant e altri –, Carrington entra ed esce da Bloomsbury senza mai farvi parte veramente. Introversa, schiva, non si sente del tutto a suo agio in quell’ambiente altoborghese e un poco snob. É è totalmente assorbita dalla pittura. Ritrae Morgan Forster, David Garnett, Gerald Brenan, Duncan Grant, Julia Frances Strachey, molti altri.

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A dicembre del 1915 la sua vita radicalmente cambia quando, sempre a Bloomsbury, conosce Lytton Strachey, uno dei maggiori animatori del gruppo. Sarà il più grande amore della sua vita: un amore impossibile, platonico, impastato di sofferenza, ma ineludibile. Fino alla fine. Lei lo aspetta in un’attesa straziante e già sbarrata in partenza, lui frequenta ragazzi sotto i suoi occhi, che accetterà anche un originale ménage a trois: lei, Lytton e il di lui amante Ralph Partridge, un giovane ex ufficiale, sempre membro di Bloomsbury.

I due hanno una sintonia astrale: discutono di letteratura, di pittura, Carrington studia con Lytton e per Lytton i classici, impara il francese, coltiva in silenzio un desiderio mascherato: l’impossibile che si avvera per l’eroe più coraggioso delle favole, perché sa che proprio chi crede all’inconcepibile può, a volte, essere ricompensato da strani dei.

Il 1918 porta a Lytton la fama con la pubblicazione di Eminent Victorians, che inaugura un modo nuovo di fare biografia, a Carrington l’amicizia con Ralph. Nel 1921 lo sposerà, pur rimanendo innamorata di Lytton, pur concedendosi altre avventure.

Vivranno tutti e tre insieme nella stessa casa, la fattoria di Ham Spray nel Wiltshire.

 Dora Carrington; Stephen Tomlin; Walter John Herbert (‘Sebastian’) Sprott; Lytton Strachey, 1926

Uno scatto tinta seppia li vede insieme, nel giardino di Ham Spray, leggere il giornale, Ralph e Lytton seduti su due sedie a sdraio, Dora per terra, con un abito chiaro operato che le si raccoglie sotto le ginocchia. Deve essere estate, perché lei e Ralph portano le maniche corte, Lytton indossa il leggendario cappello a tese larghe di paglia.

La fattoria sarà per molto tempo il rifugio di tutti loro, un luogo in cui scrivere e dipingere, scambiarsi idee e progetti, un luogo di creatività, attesa e dolore. Dora Carrington è una di quelle donne che non si piegano, ingaggiano battaglie solitarie alle soglie dell’invisibile, non si danno mai per vinte.

Come nella vita vuol sperimentare e non sempre senza soffrire – Lytton resterà per sempre un amore platonico, un rapporto intessuto di tormento – così in arte Carrington passa da una tecnica all’altra, in pittura, come decoratrice di mobili e ceramiche: disegna su vetro, produce xilografie, perfeziona la tempera e l’olio. Ama la pittura cinese, ne ripropone le forme interpretandole secondo il proprio stile, si appropria di linee essenziali e colori puri, che oppone alla mercificazione moderna dell’opera, propugna un nitore quasi naif alla volgarità del moderno. La purezza intransigente della sua visione sembra anticipare certe idee di Walter Benjamin.

Firma tele sempre più astratte, i suoi paesaggi si fanno sempre più elegiaci in antitesi alla società capitalistica che avanza, i temi e la loro resa scavano un lirismo perduto dopo Constable.

Nel 1916, un anno dopo averlo conosciuto, ritrae Lytton Strachey. Ho visto quel quadro al MART di Rovereto, anni fa: è il quadro di qualcuno che ama il suo oggetto, che sembra dipinto per celare un frammento di colloquio amoroso in ogni linea, in ogni sfumatura del pennello.

Disteso a letto, gli occhialini rotondi alla John Lennon calati sul naso importante, Lytton Strachey legge di profilo, reggendo il libro piuttosto vicino agli occhi, la barba fulva quasi sfiorata dalla copertina. Le mani dalle lunghissime dita sottili formano quasi una croce con la figura distesa, coperta da un caratteristico paisley rosso, e rosso è anche il taglio marmorizzato delle pagine, in contrasto al nero dell’abito e i capelli bruni. Il viso concentrato è tutto rivolto al libro – metafora forse, o intuizione o forse evidenza – del rapporto tra i due.

Lytton Strachey secondo Dora Carrington

La vita alla fattoria non è sempre indulgente per Carrington: dipinge e lavora, finge di non accorgersi degli ‘amici’ di Lytton, continua ad amarlo, cocciuta di quel coraggio affranto che ha solo chi sa di essere senza speranza.

Il 1932 sconvolge la vita sua e di Strachey: al critico è diagnosticato un tumore allo stomaco. Tra le ultime parole, quando ormai è in delirio, pare dica: “Ho sbagliato tutto, volevo sposare Carrington…”. Carrington lo accudisce tutto il tempo, senza lacrime. Il tumore è fulminante, se lo prende in pochi mesi.

Dora cade nel buio di una depressione senza uscita: non vuole vivere senza Lytton. Ralph cerca di starle vicino, di proteggerla anche se, nel frattempo, è diventato il marito di un’altra.

Il secondo tentativo le riesce: a due mesi dalla morte di Lytton, dopo aver gettato simbolicamente colori e pennelli, l’11 marzo 1932 Dora Carrington si spara.

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