Fin da piccoli ci hanno insegnato quanto sia maleducato parlare e soprattutto sparlare di persone assenti. Una sacrosanta lezione assorbita tuttavia da pochi, e men che meno dagli storici, i quali quasi sempre discettano con la consueta saccenza di personaggi morti e sepolti, e più volentieri se si tratti di figure “maledette”.
Una delle vittime più note di questo malvezzo è, nemmeno a dirlo, Adolf Hitler. E fin qui niente di nuovo sotto il sole.
Però qualcosa di felicemente sorprendente è nato sotto i nostri bigi cieli, ossia una casa editrice il cui catalogo dovrebbe togliere ogni scusa a chi si occupi a qualsiasi titolo di storia. La Thule di Roma, infatti, cerca di colmare con fatica le sedie vuote attorno al tavolo della discussione storica, stampando in via esclusiva una notevole quantità di documenti nazionalsocialisti, con l’auspicio che le persone meno viziate da luoghi comuni e riflessi pavloviani vi attingano per acconciarsi da se stessi un’idea circa gli uomini e l’epoca del Terzo Reich.
Senz’altro centrale nel catalogo è il libro più dannato dell’umanità dopo l’inesistente Necronomicon, ossia il Mein Kampf, ma ora nella prima e unica versione dignitosa nella nostra lingua. Infatti tutte edizioni apparse sino a oggi in Italia – da quella del 1938 sino alla Kaos curata dal pur ottimo Giorgio Galli, per tacere di quella “classica” con lo swastika in copertina – sono inutilizzabili, tanto lardellate di errori, tagli e omissioni d’ogni sorta. Senza tema di apparire troppo categorici, possiamo considerare questa edizione del Mein Kampf definitiva.
Un altro testo che merita attenzione, tradotto per la prima volta, è il così detto Secondo libro del Führer, una sorta di seguito dell’opus magnum e composto nel 1928, sulla cui autenticità, negata da qualcuno, fa chiarezza una mirabile introduzione filologicamente ineccepibile.
Utilissimo a mio giudizio è anche La politica sociale del Terzo Reich, di Heinrich Schulz e Ludwig Heyde. Nella roboante ed esondante letteratura sul nazionalsocialismo sino a oggi soltanto lo storico marxista Timothy W. Mason (La politica sociale del Terzo Reich) si era degnato di analizzare l’argomento. Per il solito gli storici in voga lo ignorano, sia perché esso non lascia spazio alle solite lungagnate retoriche sul nazionalsocialismo, sia perché essi dovrebbero ammettere che, in quel torno di tempo e almeno fino alla guerra, la vita di ogni tedesco era assai migliore di quanto normalmente si pensi. Si sa: la democrazia non ammette mai che ci siano regimi più efficienti.
Nell’introduzione al testo della Thule Maurizio Rossi cita in maniera assai critica Mason, affermando che questi vuole «esclusivamente presentare la politica sociale nazionalsocialista come il paravento mascherato di indicibili e feroci provvedimenti di sfruttamento e di repressione volti alla riduzione in schiavitù della popolazione lavoratrice tedesca». Togliendo l’aggettivo «tedesca» è una definizione che si attaglia perfettamente al capitalismo, di cui il nazionalsocialismo, tesi ad esempio della Sinistra comunista e segnatamente di Amadeo Bordiga, altro non sarebbe, in parole povere, che il volto autoritario. (In parentesi, già nel 1945 Bordiga scriveva profeticamente che lo sfruttamento e tutto l’armamentario oppressivo sarebbero proseguiti in democrazia con altri mezzi. Fascismo e nazionalsocialismo avevano perso la guerra: ma avrebbero vinto la pace).
Sono letture della politica sociale nazionalsocialista irriducibili l’una all’altra. Dal canto mio, suggerisco di approfondirle tutte. Farà solo bene.
Benché sia ovvio quanto questa casa editrice abbia un preciso orientamento politico, le osservazioni di accompagnamento ai titoli che ho potuto leggere, sono alquanto scarne ma utili e persino neutre; sicché non ci ritroviamo a doverci sgranocchiare ghiande ideologiche, che peraltro tentano di somministrarci anche liberalismo, neoliberismo e democrazia. L’intenzione della Thule, a quanto mi par di capire, è più che altro fornire fondamentali documenti: taluni persino più che rari, come ad esempio di diari di Goebbels o gli scritti di Dietrich Eckart, uno dei padri spirituali di Hitler e del nazionalsocialismo. E buon pro ci faccia.
Thule però non si limita alla produzione strettamente storico-politica: una menzione speciale merita infatti il Richard Wagner di Houston Stewart Chamberlain.
Diversamente ma non meno dei gerarchi del Terzo Reich, Wagner e Chamberlain sono altri due illustri maledetti: l’uno perché eugenetista, antisemita, sfruttatore di denari altrui, puttaniere, bugiardo e insomma Richard Wagner; l’altro perché antisemita e genero del primo.
Come è risaputo anche la letteratura su Wagner soffre di quel peccato originale che si chiama pregiudizio o per meglio dire carognaggine mista a imbecillità. Non darò conto di ciò, ché pur comprimendo al massimo, occorrerebbero almeno due lunghi articoli, e mi atterrò a rilevare quanto il volume menzionato valga quale eccellente introduzione generale alla biografia dell’artista di Lipsia.
Esso tra l’altro mostra una spiccata dote analitica. Ad esempio sono davvero sorprendenti le osservazioni sulle conoscenze filosofiche di Wagner, di primaria importanza per capirne l’arte e persino i comportamenti, e segnatamente sulla declinazione di Feuerbach e soprattutto di Schopenhauer. Senza la filosofia classica tedesca capire Wagner è impossibile: se lo tengano per detto quanti si ostinano a scriverne senza aver mai nemmeno cincischiato una pagina filosofica.
Chamberlain è chiaramente un entusiasta ammiratore di Wagner, ma lo ha studiato a fondo, a partire dai suoi numerosi scritti teorici, letture che assai di rado e superficialmente mostrano di aver svolto i feroci denigratori dell’artista. Scusate se insisto su certe differenze – chi ha letto, chi no –; ma mi sembra doveroso precisare quanto poco sia uso, prima di commentare chicchessia, attingere alle fonti primigenie. Incredibile, ma vero!
Purtroppo la partigianeria, peraltro evidente e quindi onesta, non consente a Chamberlain di menzionare, se non in maniera oltremodo trascurabile, figure e passaggi più impegnativi sotto ogni rispetto della biografia materiale e intellettuale di Wagner, ad esempio Friedrich Nietzsche. Il silenzio denuncia quanto l’argomento Nietzsche nell’entourage wagneriano fosse tabù. Infatti nel 1907, anno in cui apparve il libro la prima volta, Cosima era ancora viva e operativa e se ci fu persona ostile a Nietzsche fu proprio lei. Basti leggere le lettere superstiti o i Tagebücher in cui qualche volta la dama sbaglia persino a scrivere il nome del filosofo. Ma c’è materiale abbondante anche nella nostra lingua.
Chamberlain fa il pesce il barile anche parlando dell’impresa di Bayreuth, tacendone tutte le enormi magagne che principiarono sin dall’indomani della morte di Wagner e che furono denunciate nero su bianco da wagneriani più liberi, come ad esempio Dietrich Mack. Va tuttavia ribadito: il lavorodi Chamberlain è passaggio doveroso e utile per chiunque intenda avventurarsi in quella ubertosa e vasta foresta che è Richard Wagner.
Infine, se qualche bacchettone o censore avrà qualcosa da obbiettare contro questa iniziativa editoriale, si ricordi una cosa: nonostante tutti i tentativi di falsificazione e nonostante la propaganda, niente e nessuno potrà cancellare certi nomi dalla storia. Quelli dei censori, invece, sono già scomparsi.