
Le ossessioni e gli spettri della mente: Poe nostro contemporaneo
Filosofia
Massimo Triolo
“Signori della giuria, non sono stato neanche il primo”. Già, Lolita non era vergine quella notte in hotel, quando finì tra le braccia di ‘papà’ Humbert. O fu lui a finire intrappolato tra le sue gambe? Ecco l’osceno, quello che non si può pensare né mai e poi mai dire, pena l’inferno. Povero Humbert, rammaricato da non essere maestro a letto, lui che smaniava dal possedere quel corpo acerbo, creduto innocente, da giostrare a suo insindacabile piacere. Humbert uomo tra i più banali, come gran parte dei suoi simili di ogni tempo, pronti a sfuggire al confronto tra amanti, una vergine come un trofeo sennò sai che smacco non essere i più bravi, i soli a farti toccare l’estasi. Quanto si sbagliava Humbert, e quanti si sono sbagliati dal 1955, quando Lolita vide la luce pubblicato da un editore di romanzi pornografici: ritenuto tale cominciò a passare furtivamente di mano in mano, ad essere letto di nascosto, in sfida alla propria, personale rettitudine. La realtà non è mai stata quella che Humbert pensava fino a renderlo folle: lui non è stato il carnefice, ma la vittima di una ragazzina sessualmente assassina. Ogni tesi inversa è scorretta, fuorviante, dovuta al fatto che la voce narrante del libro è una sola, maschile, e suo lo sguardo sui fatti. Per una volta, proviamo a vederla con gli occhi di Lo? Chi più adatto, un lettore uomo, da Lolita immancabilmente sedotto, o una lettrice preda di inevitabile femminile competizione, che quella ragazzina vorrebbe come minimo strozzarla?
Non siamo mai puri, ogni volta che prendiamo in mano Lolita: vi ci accostiamo condizionati della nostra educazione, schiavi dei nostri pregiudizi. Pochi accettano di farsi ‘violentare’ dalle sue parole, e rivoltare l’anima da quello che è capace di scardinare. Ma la vera letteratura è proprio questo, è abbandono e rottura di ogni sicurezza. La vera letteratura se ne infischia dei nostri sentimenti, della nostra morale, va al di là del bene e del male, non potrebbe esser tale se non lo facesse. E noi lettori, che cerchiamo in Nabokov? Perché lo leggiamo avidi, non abbandonandolo dopo le prime abominevoli righe? Vi inseguiamo quanto di più orribile e lontano da noi, l’illecito, lo scabroso. La nostra morale ci fa vedere Lolita come non è, una ragazzina traviata e contaminata, inesorabilmente rovinata da mani sporcaccione. Nabokov è così potente da farci dimenticare che Lolita non è reale, bensì un personaggio, una proiezione, il frutto della mente di uno scrittore. È una ninfetta, quindi creatura non umana, un corpo da bambina con un cervello da strega. Se non una donna, certo un’adolescente fatta e finita, di un’intelligenza diabolica, calcolatrice. Lolita nella penna di Nabokov è femmina viva, palpitante, lo è tra le braccia di Humbert, come ai nostri occhi che la leggono. È nutrimento dei nostri sensi, linfa che ne irriga le più nascoste terminazioni, è cibo ghiotto seppur indigesto, stimolo della parte (in)coscia più oscura che abbiamo. Quella che ci fa più paura. Cosa amiamo in Lo se non i suoi aspetti più luciferini e perversi? Ci piacerebbe lo stesso se fosse davvero una vittima?
Pagina dopo pagina, è Lolita a condurre il gioco, non quell’illuso di Humbert. È lui il bambino, non Lo. Chi seduce per primo? Chi bacia per primo? Prima di Humbert, Lolita sperimenta il sesso con un coetaneo e una coetanea. È Lo ad insegnare a Humbert cosa le piace, e come. Humbert si innamora dell’idea che si crea di Lo, non della Lolita vera, perché di Dolores ha paura. E sicuramente Lo non ama papà Humbert, lo usa finché le serve: dopo le prime volte, gli si concede solo per denaro, fermando la magia sul più bello per alzare la tariffa. I suoi obiettivi sono altri, è lo ‘zio’ Quilty, e alla fine del libro è Lo a umiliare Humbert, rivelandogli quanto Quilty l’abbia fatta godere molto più di lui. Humbert ha rubato l’innocenza a Lo? Davvero credete a questa versione? Lo è tanto scaltra da dire no a Quilty, che la vuol filmare mentre uomini e donne ne armeggiano il corpo. È Lo, risoluta, a dirgli: “Io quelle cose non le faccio”. Dove la vedete la ragazzina tremebonda? Non c’è pagina in cui Lolita non decida del suo percorso di donna e amante. Tradendo, brigando, usando chi più le conviene. Lolita è una ragazzina con dentro un demone, il più terribile, quello che rovescia il bene nel male, e ce lo fa adorare. È dentro talmente donna che sa che il suo corpo è un’arma: è lei ad incitare Humbert – e noi su pagina – a rotolarsi in quelle calde lenzuola, che saranno le sue prigioni mortali. Lolita dà forma concreta ai nostri più reconditi timori. Per questo leggiamo il libro, cioè le diciamo sì: per mettere alla prova i nostri limiti, varcarli, andare oltre. Tocchiamo e ci masturbiamo col Male, per uscirne purificati.
La vera letteratura non conosce moralità. È lì a svelare i nostri lati più bui, immondi. Non saremo dei mostri nella vita reale, ma nelle nostre fantasie sì, al riparo della mente possiamo essere irrazionali e liberi e quanto più sporchi e depravati vogliamo. Mentalmente possiamo flirtare col Male. Non lo saprà nessuno, quanto siamo lerci. È questa la forza di Lolita, che resiste integra e splendente a chi periodicamente le bela contro la sua indignazione: il fango di cui viene ricoperta è balsamo, rinnovo della sua lussuria.
Se non siete d’accordo con me, chiudete il libro, e distogliete lo sguardo dalle immagini che Kubrick e Lyne vi hanno ricavato. Così sarete salvi. Intatti e puliti. Ma io non credo che lo farete.
Barbara Costa
*Barbara Costa è l’autrice di “Pornage. Viaggio nei segreti e nelle ossessioni del sesso contemporaneo” (il Saggiatore, 2018). Collabora con “Dagospia” e in questo articolo reagisce a quanto “Pangea” ha pubblicato qui.