Victoria Ocampo, esteta assoluta, esagitata mecenate, specie di danarosa Osiride consacrata a uno stuolo di intellettuali, incontrò Benjamin Fondane la prima volta a Parigi, nella primavera del 1929, a casa di Lev Šestov. L’incontro fu propiziato da Hermann von Keyserling, accompagnava Mme. il cardinalizio filosofo Ortega y Gasset. Pare che Šestov, accennando a Fondane, abbia detto alla Ocampo, “Non fidatevi di lui, gli piace veder rotolare teste”. In effetti, l’anno prima Man Ray aveva creato un collage fotografico che ritraeva Fondane: il pensatore regge, con candida violenza, la propria testa; nel ’31 l’artista rumeno Victor Brauner lo avrebbe ritratto con la testa mozzata, in un paesaggio desolato, nel delirio di sangue, ligneo. La Ocampo, con ogni evidenza, fu attratta da lui: poco tempo dopo, nel luglio del ’29, Fondane è in Argentina su suo invito. Con gli auspici della società “Amigos del Arte”, Fondane tiene un ciclo di incontri presentando i film di Buñuel e di Man Ray; all’Università di Buenos Aires parla dell’opera del suo maestro, Šestov. Sarà l’inizio di un rapporto importante, tra ostinati e diversi: quando Victoria Ocampo fonda la rivista “Sur”, Benjamin Fondane è tra i collaboratori di spicco. Nel primo numero – “verano 1931” – tra Waldo Frank, Drieu La Rochelle (il notevole cavaliere della Ocampo), Walter Gropius e Jorge Luis Borges c’è lui, Fondane, con un articolo su El cinema en al atolladero.
La collaborazione giunge all’acme l’anno dopo: “Sur” pubblica Martin Heidegger, Che cos’è metafisica?, a Benjamin Fondane è chiesto di commentare e ‘sfidare’ il saggio; egli lo fa con un contro-saggio memorabile, Martin Heidegger ante la sombra de Dostoevskij. Seguiranno altri articoli, spesso preparatori ai grandi libri, La coscienza infelice e Falso trattato di estetica (entrambi editi in Italia da Aragno, per cura di Luca Orlandini). Il rapporto, però, almeno, diciamo così, nell’ambito della convenienza culturale, della convivenza tra opposti, comincia a incrinarsi. Fondane è bestia solitaria, avventata, che fa a brandelli ogni avvenire, ogni carriera, che fa saltare il banco dei carrieristi, degli ipnotizzati dalla cultura, che rendono culto alla ragione, all’idea, al lirismo, alle sorti mistiche e progressive. Nulla lo lega, in fondo, al notevole parterre di amicizie francesi della Ocampo: Paul Valéry, Roger Caillois, Jean Wahl, Jules Supervielle, André Malraux… Questa discrasia è segnalata (ma a contrario) in una confidenza di Lev Šestov del 9 agosto 1932: “Ma guardate la stima di cui godete presso gli editori dei Cahiers du Sud. Sono assolutamente estranei a quello che lei e io portiamo avanti – e tuttavia quale accoglienza ai vostri articoli!… perfino Jean Wahl è rimasto affascinato dal vostro articolo su Heidegger… Nello stile della vostra scrittura vi sono un’intensità e una forza interiore che vi aiuteranno ad aprirvi una strada in questo mondo” (in: Benjamin Fondane, In dialogo con Lev Šestov, Aragno, 2017).
Soprattutto, Fondane voleva fare il cinema in America Latina: nel ’34 lavora per ridurre sullo schermo Don Segundo Sombra, il capolavoro identitario di Ricardo Güiraldes; nel ’36 è regista di Tararira, pellicola girata in Argentina con il Cuarteto Aguilar, “una caricatura della società di oggi, dove l’arte non c’è più”, su cui grava un mistero: è letteralmente scomparsa. Il legame con Victoria Ocampo è testimoniato, tra l’altro, da un fascio di lettere, finora inedite in Italia, raccolte nel 1997 sui “Cahiers Benjamin Fondane”: qui, per la cura di Luca Orlandini, ne pubblichiamo una delle ultime, definitive. Vi si avverte, con pazienza perentoria, la distanza di Fondane dal mondo culturale dell’epoca, una disciplina nei riguardi di rapporti ‘eletti’ e non sacrificabili, lo stigma dell’irritazione (l’articolo cui fa riferimento sarà pubblicato su “Sur” nel luglio del 1940). Il legame, comunque, reca un sigillo ineluttabile: a Parigi, il 18 giugno del 1939, “dopo una cena in cui, come d’abitudine, avevamo parlato di letteratura e scherzato molto”, Benjamin Fondane consegna alla Ocampo il manoscritto del libro a cui tiene di più, quello che raduna i dialoghi con Lev Šestov. “Quale assurdità, Fondane!”, fa lei. Lui è irremovibile. Percepisce la guerra, la sente; prevede la propria fine. “Consegno questo manoscritto inedito a Victoria Ocampo, per timore che una guerra imminente mi costringa ad abbandonare il mio domicilio senza che io possa portare con me il manoscritto…”, scrive Fondane in una nota profetica. I due si lasciano, sulla soglia di un mondo al massacro; Fondane morirà ad Auschwitz-Birkenau nei primi di ottobre del 1944. Quell’anno, per le edizioni di “Sur”, Borges pubblicava Finzioni.
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Ste. Assise, 1 maggio 1940
Mia cara Victoria,
Vi scrivo alle due del mattino, nella sala macchine di una fabbrica, dopo essere rientrato dalla ronda – immerso in una fitta nebbia e sotto le stelle. Vi ricordate la nostra ultima conversazione, quando la vostra auto si fermò a rue Monge? “Davvero credete all’imminenza della Guerra, Fondane?” E allora vi pregai di prendere con voi i miei testi dedicati a Šestov e il mio articolo “Lungo le rive dell’Ilisso”. Il tempo è passato, la guerra è giunta, oggi sono un soldato – un soldato semplice; e voi, davvero credete alla guerra? Non lo credo affatto, benché io abbia avuto tra le mani il vostro eccellente numero “Sur” di ottobre. Non lo credo – è mai possibile, dunque, che non avete sentito la necessità di dare notizie di voi, che non abbiate cercato di sapere quale fosse stata la nostra sorte, di sapere dove fossimo? “Sur”, grazie a dio, mi è stato inviato dalla vostra segreteria – ma “Lungo le rive dell’Ilisso”, che avrebbe dovuto uscire a novembre – all’anniversario delle morte del nostro Lev Isaakovič – non è stato nemmeno annunciato. Davvero gli assenti hanno sempre torto, perché non possono difendere i loro diritti? Oppure “Sur” è diventato la filiale della Borsa valori e le rappresaglie – del Signor Paulhan & Co.? Per me sarebbe un grande dolore, poiché vi voglio bene, Victoria, anche se non lo meritate affatto; quanto alla sorte del mio articolo, me ne infischio altamente; né il danaro, né la gloria effimera e mediocre mi toccano.
Sono povero, e povero resto: ecco una battuta à la Rohan. E quanto alla gloria, non creda che io sia insincero; il nostro amico Calzada è dispiaciuto di non poter vedere il mio nome su “Le Figaro” o su “Le Temps”; […]. Lo so. Ma non amo le scale di servizio. Sono abbastanza orgoglioso da non prendermi il disturbo. E abbastanza stupido da non blandire, lusingare gli imbecilli o dissimulare il mio pensiero. Attendo, irremovibile – chez moi. E se nulla arriva? Allora, credetemi, sarei fortunato. Almeno eviterei di fare il pagliaccio, come il vostro amico Valéry. Non è poi così difficile cantare lo Spirito, l’Ordine, la Civilizzazione e i Mezzi pubblici – non credete? A me, d’altronde, manca in assoluto la giusta disposizione.
[A margine:] Qui rispondono alle mie lettere inviando pacchi di calze di lana e di maglioni. Evitate di fare altrettanto – anche se la lana argentina… Perché non invece una bella edizione, in spagnolo, di San Giovanni della Croce? per scaldarmi lo spirito!
[Pagina XXII:] Sono in preda all’amarezza – pensate. Eppure, se sapeste quanto mi sono indifferenti tali questioni. E tutto ciò a causa del vostro silenzio; del vostro silenzio con “Sur”, per le faccende che mi riguardano. Inizialmente ho pensato di non scrivervi più; poi… di offendermi; alla fine vi ho scritto; forse, dopotutto, la vostra amicizia, per me, non è mai stata di natura “letteraria”. Non oso credere a tale fortuna. Ancora una! Ma, in quanto semplice amico, ho nondimeno il motivo di lamentarmi con voi. Eppure non ignoro il vostro vizio: quanti altri illustri uomini avete collezionato nel vostro album, mia cara filatelista?
Sono immerso fino al collo nella vita militare, confinato in una camerata con una dozzina di uomini; c’è di tutto – contadini, truffatori, tipi dell’ambiente – e un vero barbone. Sono più divertenti, più spirituali e più vivi che mai, rispetto a qualunque “salotto”. Io sto benissimo – il barbone trova molto bizzarro, almeno quanto lo trovo io, che scriva un articolo per la “Revue Philosophique”. Pare che, dopotutto, ci sia la guerra – da qualche parte; talvolta a Montevideo, talvolta in Norvegia; io ovviamente sono pronto ad affrontarla. Sarò degno della fiducia che voi e l’America avete riposto in me. Non mi tirerò indietro. Il soldato muore, ma non si arrende.
La notte avanza. I loschi intrighi suonano alla mia porta – e ciò non cambierà la mia posizione in ambito letterario. È la terra di nessuno – e la carne non soccombe, se non ai ricordi. È grazie a questa debolezza che dovete la mia lettera, poiché non avevo intenzione di scrivervi. Ma dopotutto anche io sono una voce che grida nella pampa. Riuscite a immaginare la “foto” di una voce che grida nel deserto? No, indubbiamente! Ecco perché ve la invio. E se non vi dice nulla, fatene carta straccia.
[In margine:] La solitudine – in mezzo a una dozzina di persone, per me è poca cosa. Siete dello stesso avviso? Soprattutto, non scrivetemi; non potrei perdonarmi di avervi affaticato.
Il vostro sempre devoto,
Fondane