Leontia Flynn, poetessa originaria di Belfast, si distingue come una delle voci più profonde e articolate della poesia irlandese contemporanea. Nata nel 1974, la Flynn è cresciuta in un contesto segnato dal conflitto noto come “The Troubles”, che ha sconvolto la regione dalla fine degli anni ’60 fino all’Accordo del Venerdì Santo del 1998. Anche se non sempre in modo esplicito, l’eco di quelle tensioni emerge nelle sue poesie, che esplorano temi come l’identità, l’appartenenza e la memoria.
La formazione accademica della Flynn ha contribuito in modo significativo alla sua crescita poetica. Ha studiato letteratura inglese alla Queen’s University di Belfast, dove ha conseguito un dottorato sulla poesia della connazionale Medbh McGuckian. La sua scrittura è influenzata da poeti di primissimo piano come Seamus Heaney, da T.S. Eliot e W.H. Auden. Da questi autori ha appreso l’abilità nel fondere riflessioni personali con una profonda analisi sociale e politica, sviluppando una poetica che coniuga chiarezza espressiva e complessità tematica.
Nel corso degli anni, Leontia Flynn ha pubblicato diverse raccolte poetiche, ottenendo importanti riconoscimenti, tra cui il Forward Poetry Prize per la raccolta These Days (2004) e l’Irish Times Poetry Now Award per The Radio (2017). Queste opere, insieme ad altre come Drives (2008) e Profit and Loss (2011), rappresentano una continua evoluzione stilistica. Se le prime raccolte erano più legate alle tensioni politiche dell’Irlanda del Nord, le opere più recenti si concentrano su riflessioni universali, esplorando la condizione dell’individuo nel mondo contemporaneo.
Flynn possiede una notevole capacità di trasformare momenti apparentemente banali della vita quotidiana in profonde riflessioni poetiche. Il suo linguaggio è diretto e colloquiale, ma non per questo meno capace di scavare nelle contraddizioni dell’esistenza e del mondo che la circonda. Spesso, con sottile umorismo, la poetessa riesce a evidenziare l’assurdità della vita contemporanea, esprimendo una disillusione nei confronti della modernità e del ruolo che la poesia occupa in essa. Nella raccolta Drives, ad esempio, Flynn esplora la costante lotta interiore del poeta nel tentativo di mantenere la propria individualità in un mondo sempre più alienante.
La poesia di Leontia Flynn rappresenta non solo una voce importante per la letteratura irlandese, ma anche una finestra sulla condizione umana universale. Tradurre le sue opere in altre lingue non è solo un atto di arricchimento culturale, ma una vera e propria operazione di dialogo globale. La sensibilità della Flynn, profondamente legata alla storia e all’identità dell’Irlanda, riesce a risuonare anche oltre i confini nazionali, toccando chiunque abbia vissuto tensioni politiche, crisi d’identità o abbia cercato di riconciliare il passato con il presente. Per chi si avventura nella traduzione delle opere di Leontia Flynn, il lavoro rappresenta una sfida stimolante: riuscire a trasmettere al lettore di un’altra lingua la complessità che distingue la sua poetica, mantenendo al contempo intatta la freschezza e l’immediatezza del suo stile. (Emma Magnanini)
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BELFAST
Il cielo è uno sfondo teatrale sbiadito
dietro le nuove facciate di vecchie terme e officine del gas;
in centro, sotto i teli verdi delle loro impalcature,
le cime di una dozzina di edifici si ergono sopra lo skyline.
Belfast è finita e Belfast è in costruzione.
Ciò che era grigliate miste e whisky (senza cultura, senza grazia, senza svago)
è ora concerti e tour a piedi (Gradevoli! Dinamici! Svariati!).
Un opuscolo turistico contiene la visione artistica
di portici, finti colonnati, guglie di chiese e bar di tapas:
sono forse tentativi spietati di bellezza acquistabile?
Ci sono 27 McDonalds, mi dici, in Irlanda del Nord
(‘ma cosa dovremmo farne di questa informazione?’).
Una partita a Windsor Park nella settimana del Gay Pride.
Alle due di notte la strada echeggia di rumore.
Ascolto We are the Billy Boys
che si confonde, quattro porte più in là, con Crazy di Patsy Cline.
Riuniti nei pochi bar della città,
non immersi nell’oscurità né avvolti in finta pelle beige
gli uomini parlano di Walter Benjamin e di ‘Grandi Narrazioni’.
che cercano sempre di fratturare e interrogare.
*
ROMA
Roma non fu costruita in un giorno. “Roma?
Visiteremo tutto in un battibaleno”.
Roma! Vorrei questa cartolina del Pantheon
(a Roma!), e anche questa calamita del Colosseo.
…Non riesco a trovare Roma. C’è troppa Roma a Roma.
Dov’è Catullo che rompe le palle al foro?
Dov’è il mio bambino dalle mani bianche come la pietra di Roma:
I resti di Santa Leontia, saccheggiati dalla sua catacomba…
*
VIRGINIA WOOLF
“Perché il corpo e la malattia non hanno preso il loro posto
accanto a battaglia e amore come temi principali della letteratura?”.
Virginia Woolf siede per contemplare le sue parole
quando, proprio in quel momento, un’aura – luminosa, seducente –
si accende in un occhio. Poi si sentono voci in lontananza.
Balza dalla sedia: pensa a Lear nella brughiera.
Pensa alle donne di Bedlam che vaneggiano, dimenticate.
Le voci si alzano. La marea la sommerge.
Mentre vaga intorno alla scrivania cercando una specie di ancora
si rasserena con il tondo solido del suo fermacarte.
*
F. SCOTT FITZGERALD
“Naturalmente, tutta la vita è un processo di disgregamento”.
Puoi godertela per tutta una generazione
ma come è sicuro che il picco del boom economico
scoppi come una bolla, dando inizio alla DEPRESSIONE,
come è sicuro che la moneta scintillante della felicità
(oh, l’estasi per me!) viene spesa alla fine…
Fitzgerald si rigira nel letto. È arrivato a ovest;
il suo comodino si riempie lentamente di vuoti.
Come è sicuro che ti fidanzi e poi ti incazzi;
come è sicuro che compri l’auto più spettacolare
e poi finisci fuori strada…
Dal passato
i lunghi treni della nostra giovinezza serpeggiano – lontani
attraverso i campi di grano…
Ciò per cui ci stavamo sforzando,
Fitzgerald si ferma, già perduto.
*
LA MADRE DI CHARLES BAUDELAIRE
Questa vita di vizio, depravazione e male
dove l’infanzia è un giardino remoto e misterioso
dal sole intermittente (e il temporale
che sferza i fiori la maggior parte dei giorni), dove sbronze,
pillole e dipendenze, malattie, fottute puttane
ci tengono occupati fino alla tomba
(preferibile, sia chiaro, all’annoiarsi a morte)
che può essere la ricostruzione malata di un grembo
(perché cos’altro ci trascina qui?). Tuttavia
a chi, alla fine dei suoi giorni, Baudelaire
(stordito dall’oppio, tormentato dalla sifilide)
si è rivolto, se non alla propria madre?
“Pur destinati all’amore sincero”, le scrive
“Uno dei due ucciderà l’altro, per davvero”.
*
ELIZABETH BISHOP
Il buio sta calando su Worcester, Massachusetts.
Le ombre si allungano. Il sole passa davanti ai tetti
e sparisce dalla vista. Elizabeth ha la bronchite.
E l’asma. E l’eczema.
Rapita
dalla sicurezza, la porta che ha sentito sbattere
(la madre non tornerà dall’istituto)
sbatte anche per lei. Pensa ci sia scritto il suo nome:
orfana, depressa, alcolizzata, lesbica…
e presto perdente veterana. Perdere
in molti luoghi affascinanti: Maine,
New York, e (scena della sua quasi morte
con un anacardo) Brasile…
genitori persi, case che perderà straordinariamente bene,
amante dopo amante. Perde persino il respiro.
*
LA MORTE DI GEORGE ORWELL
Le lampade sono accese alle cinque e mezza a Jura
mentre l’isola sprofonda in un oscuro isolamento.
George Orwell ha una visione del futuro – un
luogo così spoglio. Si accende una sigaretta e pensa.
In ogni stanza una sorta di schermo a doppia faccia
il cui linguaggio dice una cosa ma ne significa un’altra
controlla il popolo (e distrarrà le masse)
e scoraggiato dalle notizie di una guerra lontana e perpetua
ogni uomo deve trascinare la croce della propria esistenza
come Orwell, nella difficoltà e nella malattia, ora trascina la sua.
Non si dovrebbe fumare, quando si soffre di tubercolosi…
Completato il lavoro, si riposerà a Cranham,
progettando altri libri – non si può morire se hai libri
ancora da scrivere! pensa Orwell tra sé e sé. Poi, muore.
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Dialogo con Leontia Flynn
Quali sono i poeti che l’hanno influenzata maggiormente?
Prima dei diciotto anni, la precisione cristallina delle prime opere di Philip Larkin – quella perfetta fusione tra il senso comune del linguaggio parlato e l’elaborata struttura verbale – mi lasciava senza fiato (letteralmente). Da allora, sono stato ispirata e ossessionata da Paul Muldoon, Medbh McGuckian, Sylvia Plath, Elizabeth Bishop, Robert Lowell e Seamus Heaney per la loro innovazione, intuizione, verità, impegno e resistenza – e talvolta per il modo in cui hanno vissuto le loro vite. Leggo anche molta altra poesia, però.
Se le chiedessi perché ha iniziato a scrivere, le verrebbe in mente un momento specifico della sua vita?
Avevo otto anni e scrissi una poesia su uno yeti. Tutto faceva rima con “yeti”.
Qual è, secondo lei, il pubblico a cui sono destinate le sue poesie?
Il pubblico più ampio possibile, o chiunque utilizzi un linguaggio. Non intendo esattamente il “lettore comune”, poiché sono pochi quelli che leggono poesia, ma piuttosto qualcuno che, forse per una certa introspezione o difficoltà a socializzare, riesce a lasciarsi affascinare dai giochi, dalle forme e dalle sorprese di una poesia. Immagino che, piuttosto che un “amante della poesia” già convinto, il lettore ideale sia qualcuno che cerco di scoprire e conquistare un po’ alla volta.
Come ha scelto il titolo Drives per il suo libro? Qual è il significato dietro questo titolo?
Ho imparato a guidare soltanto a trentuno anni, ho superato l’esame di guida al quarto tentativo, in una piccola cittadina del Tyrone (Cookstown), dove c’erano solo un paio di strade e una rotonda. Preciso che non sono originaria di Cookstown, né la conoscevo affatto – era semplicemente il posto più facile per fare l’esame. Per molte persone, imparare a guidare è una tappa importante e una sfida. Per me, per anni, è sembrato quasi impossibile e ha finito per rappresentare una serie di difficoltà quasi fobiche che ho avuto con la vita “adulta” a causa della mia disattenzione, ansia e strano senso dello spazio. Imparare a guidare una macchina, per me, era come imparare a volare. Ho scritto le poesie della mia seconda raccolta mentre prendevo lezioni di guida e subito dopo aver passato l’esame. Riflettevo anche su cosa spinge le persone a scrivere poesia, e per me questo era legato a una risposta per evitare la vita adulta, dovuta a nervosismo, abulia, ecc., e certamente non come parte di un desiderio di “carriera professionale di successo” o qualcosa del genere. Così ho scritto di scrittori con tic e ossessioni, per dirla in modo delicato.
Credevo, e credo ancora, che scriviamo spinti da una necessità o da una compulsione che è piuttosto misteriosa, forse pre-sociale. Vorrei aggiungere che ora so guidare piuttosto bene…
C’è un processo creativo particolare che ha seguito per scrivere questo libro?
Nel mio primo libro, These Days, ho scritto molte poesie brevi, di dieci versi ciascuna. Quell’esperimento è poi giunto al termine, e per un po’ non sono riuscita a scrivere nulla. Ho iniziato a scrivere sonetti o poesie simili ai sonetti che all’inizio erano poco strutturati e privi di rime, ma che poi hanno cominciato a diventare più compatti. Spesso traevano ispirazione dalle voci di Wikipedia – all’epoca relativamente nuove – su scrittori o artisti. Inoltre, viaggiavo di più, e durante i viaggi visitavo le case di alcune di queste figure – come Dorothy Parker e Francis Scott Fitzgerald a Los Angeles, per esempio. Non c’era un piano consapevole per il libro: era in parte un istinto formale, in parte una risposta indiretta a ciò che stava accadendo nella mia vita in quel momento.
Ho notato che in alcune poesie di questa raccolta utilizza il corsivo, spesso si tratta di citazioni tratte da altri testi, a volte no… sono suoi pensieri all’interno del testo?
La maggior parte dei corsivi sono citazioni, come ad esempio le prime righe di F. Scott Fitzgerald: “Naturalmente tutta la vita è un processo di disgregamento”. È l’incipit del saggio di Fitzgerald The Crack Up – naturalmente Il grande Gatsby è caratterizzato da molte automobili e da una guida (pessima). Ho citato le poesie di Medbh McGuckian e di Paul Muldoon; mi affascina l’idea che le poesie possano essere create a partire da altri testi, trovando forme nel linguaggio altrui. A volte i corsivi sembrano essere miei interventi o pensieri del personaggio, come in Hang on, does she not look a little like his mother… nella poesia Alfred Hitchcock (per la cronaca, Hitchcock non ha mai imparato a guidare…). Nel libro ero interessata alle madri in generale. Tuttavia, non c’è uno schema fisso. Ricordo che mi stavo semplicemente divertendo a scrivere.
Secondo lei la sua poesia può essere tradotta? Se dovesse leggere il suo libro in un’altra lingua, quali elementi vorrebbe rimanessero invariati?
Se leggi una poesia in una lingua che non parli, riesci comunque a percepire la sua musica e a intuire la sua struttura, specialmente quando ci sono rime o ritmi regolari. In un certo senso, potresti persino apprezzare la musica della poesia più intensamente se non ne comprendi le parole. Puoi cogliere il movimento della poesia e talvolta avere un’idea dello stile, diretto o più cauto. Per questo motivo, non riesco a capire perché qualcuno dovrebbe tradurre una poesia dando priorità al significato letterale. Penso che gli elementi più importanti da preservare siano gli effetti sonori. Per questo, una buona traduzione può differire notevolmente dall’originale e, per diventare una poesia nota per conto suo, potrebbe differire notevolmente in termini di senso del testo.
Cosa l’ha portata a unire due temi così diversi in una raccolta?
Oltre al desiderio quasi infantile di vedere le improbabili parole “Leontia Flynn Drives” (qualcosa che non avrei mai pensato di poter dire) sulla copertina di un libro, l’impulso era indirettamente autobiografico in senso più generale. Forse, gran parte della poesia scritta da trentunenni è così. Viaggiavo e cercavo di scrivere, a mio padre era stato appena diagnosticato l’Alzheimer (anche se in realtà mostrava sintomi da anni), e verso la fine del libro, in particolare nella poesia Drive, riflettevo sulla possibilità di avere un bambino. Stavo anche cercando di capire perché fossi un certo tipo di giovane adulta piuttosto che un altro: cosa faceva funzionare la mia mente in quel modo, cercando schemi, e cosa mi motivava o mi guidava. Ero curioso anche di come tutto questo, come l’asma e l’eczema che ho, potesse essere associato alla mia infanzia. In ogni caso, per me aveva un senso emotivo.
C’è una poesia in questo libro che è particolarmente significativa per lei? Se sì, per quale motivo?
Mi piace la poesia F. Scott Fitzgerald, perché Il grande Gatsby tratta anche del tentativo di recuperare o ripercorrere qualcosa di perduto nella memoria, forse dall’infanzia. C’è il famoso finale che parla di essere “trascinati incessantemente nel passato”, ma ci sono anche le strane righe alla fine del capitolo VI:
“Attraverso tutto ciò che diceva, anche attraverso il suo terribile sentimentalismo, mi venne in mente qualcosa – un ritmo sfuggente, un frammento di parole perdute, che avevo sentito da qualche parte tanto tempo fa…”
Penso alla poesia come a un tentativo di sintonizzarsi su un ritmo sfuggente. Credo che stessi iniziando a cogliere l’idea di ascoltare una poesia in Drives.
*Articolo, intervista e traduzioni sono a cura di Emma Magnanini