19 Dicembre 2020

“Ricompensate la mia disobbedienza”. Jean Cocteau a go-go

Amo proprio quello. Gli scritti occasionali e dispersi, senza ambizione che la dimenticanza; frasi come una morgana, paragrafi ancorati alla sabbia, inclito impegno verso l’invisibile. I testi commissionati e risolti nel fuoco, gli aforismi dettati dall’estro, il dono, spiazzante, di un’opera-sortilegio. Ciò, intendo, che non è stivato nei piani quinquennali dell’editoria, che non sta nelle quisquiglie dei premi, nell’internazionale della vanità. La grafia storta, l’ornamento selvatico, il testo ‘buttato giù’; l’aneddoto decapitato, l’indolenza, l’idolatria della vita passata. Gli scritti fuori tempo, fuori posto, che non chiedono un futuro. Privi di urbanistica narrativa, questi testi si leggono così, succhiandoli, mettendoci il dito dentro. Né biografia né filosofia, né romanzo né lirica, roba semiseria che si scuote in un pettegolezzo; la risata, di bronzo esigente, confinata in un vaso. Il sibilo. Ecco.

Non so perché ma mi è apparso Jean Cocteau, volto da uccello tropicale, come un cobra. Invecchiando, in quella specie di immortalità che ne contraddistingue i vezzi, questo totem del tempo andato – che vi devo dire? Modigliani, i Balletti Russi, Picasso, Rilke, Dada e l’oppio, Raymond Radiguet e Tokyo, Edith Piaf e Orfeo – s’è fatto serpentino, a spirale. “La poesia – anche per chi la considera un lusso inutile e asociale – rappresenta un genere di privilegio, dunque d’ingiustizia, che finisce per essere segretamente invidiata da quanti la condannano”, attacca in Il cordone ombelicale, libro bello, variopinto, elegantemente “inutile e asociale”, perché – questa è la vera libertà nel mondo ossessionato dalla comprensione geometrica & dimostrata – nulla spiega, nulla dimostra, niente c’è da capire, ma invoca l’individuo & il suo mistero, la solidarietà della solitudine, l’eccezione, l’eccedenza, stampato con formula sbalorditiva, mirabile, da La Grand Illusion.

Il libro, ci spiega la Nota editoriale – la traduzione è di Cristina Costantini – “venne pubblicato dall’editore Plon nel giugno del 1962… faceva parte della collana diretta da Denise Bourdet intitolata Moi et mes personagges, che si presentava così: ‘Ogni opera letteraria è una confessione, il ritratto dell’autore emerge in filigrana da ogni pagina’”. Cocteau morì l’anno dopo, perciò Il cordone ombelicale è una specie di catena che cala nelle origini, nel pozzo delle mille infanzie inesplorate, senza cigolio nostalgico. Che turgida trasandatezza quella di Cocteau: il suo libro va portato in giro come un monile, un gioiello, da mostrare a chi ci chiede, con catartica cattiveria, le generalità, chi siamo & dove andiamo: “più mi sforzo di addentrarmi nel mondo delle tenebre, dove l’espirazione sostituisce un’ispirazione che deriva da uno dei cieli, e meno riesco a dipanare il gomitolo formato da un filo che rischia continuamente di rompersi lasciandoci alle prese con le deviazioni del labirinto dove ci portano al contempo la paura del Minotauro e la curiosità di vederlo”. Che ha fatto Cocteau, in effetti, dandy tra le avanguardie, se non creare un immane Minotauro di vetro, che si sfracelli, in acquazzone di piume e punte, appena, inavvertitamente, lo attraversi?

Sono pochi quelli che possono fondare un regno sul proprio ombelico. “Le cattive abitudini sono una delle poche cose che le persone prestano agli altri senza riflettere. La purezza d’animo e il rispetto altrui esistono solo in India e nei paesi orientali per i quali la Francia è solo una capocchia di spillo sulla carta geografica e la razza bianca, una razza volgare e selvaggia. Pensiamo che le relazioni del cuore siano sospette a noialtri pallidi aborigeni e prendiamo sul serio solo quelle che gli affari e l’erotismo ci rendono comprensibili. Ecco perché in queste pagine non parlo dei miei figli adottivi e mi occupo solo di quelli usciti dalla mia testa come Minerva dalla testa di Giove”.

Il testo – ne sarebbe contento Cocteau – va letto modificando l’ordine della lettura, scombinando, giocando. Fino al caos variopinto. Estraggo frasi e le aggrego: “L’arte è una delle forme più tragiche della solitudine”; Ma très sainte solitude; e il distico, “Ricompensate la mia disobbedienza/ Oh Signore che essendo voi ogni cosa siete me”, che aggiogo a questo concetto: “Ci scopriamo vittime di una sorta di mosca cieca, gli occhi bendati al centro di un crudele e canzonatorio girotondo di personaggi che non hanno chiesto di nascere e che si vendicano della nostra imprudenza, di cui sono la conseguenza, chi mostrandoci la lingua, chi scappando via dalle nostre mani di cieco che tentano di afferrarlo. Ecco che quando la benda cade, il poeta si ritrova solo e ridicolo e guarda con invidia psicologi e intellettuali capaci, come i genitori dispotici, di non perdere mai il controllo sulle creature del proprio pensiero”. Ma che bello: usare il cordone ombelicale come binocolo per spiare, di sé, le ombre che non demordono, il re che usa la corona come orinatoio. (d.b.)

*In copertina: Jean Cocteau in un ritratto fotografico di Berenice Abbott, 1927

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