24 Febbraio 2024

“Portare il popolo al disgusto”. Storia di un libro infernale, il “Dialogo agli Inferi tra Machiavelli e Montesquieu”

Maurice Joly fece pubblicare il Dialogo – anonimo, con la sola dicitura “da un contemporaneo” – a Bruxelles, con l’obiettivo di diffonderlo poi illegalmente in Francia. Si era nella prima metà degli anni ’60 del 1800 e qualunque critica verso il regime sovrano era ovviamente proibita. Le copie del Dialogo vennero puntualmente intercettate dalla Polizia, che le sequestrò. (…) Maurice venne identificato come responsabile della scrittura del libello, imputato e processato. A causa dei toni del Dialogo – considerati fortemente incendiari nei confronti di Napoleone III – il 28 aprile 1865 Joly fu condannato dalla VI Sezione del Tribunel Correctionel della Senna alla pena di quindici mesi di detenzione (pena addirittura aumentata dalla Corte di Appello, la quale, in secondo grado, portò la sanzione a diciotto mesi), oltre a duecento franchi di pena pecuniaria per “excitation à la haine et au mépris du governement” (di fatto, sedizione). (…) Nel 1868 viene effettuata (sempre a Bruxelles) una seconda pubblicazione del Dialogo, questa volta non più in forma anonima, ma con la indicazione del nome dell’autore (“Par un contemporain (Maurice Joly)”) e riuscendo, stavolta, a raggiungere un più vasto pubblico di lettori. Già nel 1865 – ben prima, quindi, della seconda edizione belga e mentre l’autore si trovava rinchiuso nel carcere di Sainte-Pélagie in espiazione pena – l’opera era stata tradotta in tedesco e pubblicata a Lipsia (Sassonia), città celebre per i focolai rivoluzionari ed il pensiero liberale di opposizione ai regimi autoritari. (…)

Morto il suo autore, il Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu si inabissa. Non particolarmente nota, né particolarmente diffusa all’epoca della sua pubblicazione, l’opera vive un lungo periodo di oblio. Fino a quando la storia non le regala una seconda vita, eccentrica oltre ogni dire. (…) Sul finire del XIX secolo, un agente dell’Ochrana di origini aristocratiche, chiamato Matvej Vasil’evič Golovinskij (1865 – 1920) si trova a Parigi, dove – pare su incarico ricevuto direttamente dal capo della polizia segreta, Pëtr Račkovskij (1853 – 1910) – si occupa di scrivere articoli sul giornale Le Figaro. Qui, Golovinskij incontra e lavora assieme a Charles Joly, figlio di Maurice. Ebbene, secondo la ricostruzione svolta da alcuni storici, vi sarebbero le prove che Golovinskij – utilizzando, anzi plagiando proprio il Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu del defunto padre del suo collega Charles – abbia scritto i famigerati Protocolli dei Savi di Sion, ovverosia uno dei falsi storici più noti e nefasti mai realizzati. Altra pista interessante che merita essere menzionata è quella che lega i Protocolli al giornale francese La Liberté, con cui Maurice Joly collaborò negli anni ’70 del 1800. Fra i giornalisti de La Liberté vi era, infatti, anche tale Edouard Drumont, violento antisemita che, nelle sue opere, citò proprio Joly (storpiandone il nome in “Jolly”), i pamphlet antinapoleonici e i Dialoghi dei morti. Questi ultimi collegherebbero Drumont e il quotidiano di cui era direttore (La Libre Parole) a Sibylle Gabrielle Marie Antoinette comtesse de Mirabeau-Martel, famosa autrice di scritti antiebraici. I Protocolli hanno indiscutibilmente origine, da qualche parte, in questo ginepraio, i cui rivoli sono accomunati dal fervore anti-sionista. A prescindere dalla paternità dell’opera – non tutti gli storici, come accennato, concordano sulla individuazione di Golovinskij quale colpevole della materiale redazione –, è pacifico che il Dialogo di Maurice Joly sia stato plagiato per creare il clamoroso falso dei Protocolli: un documento che ha avuto un ruolo centrale nell’antisemitismo novecentesco.

In estrema sintesi, plagiando il lavoro di Maurice Joly, il disegno politico di Machiavelli – che, ricordiamolo, nel Dialogo agli inferi doveva rappresentare, in chiave satirica e critica, il governo “autoritario” di Napoleone III, in contrapposizione al pensiero di Montesquieu – viene “camuffato” facendogli assumere le sembianze di un ancestrale progetto ebraico di controllo del mondo intero e dandogli la veste di antichi “protocolli”. Appunto, i Protocolli dei Savi di Sion. Un falso documentale talmente palese, che la sua non autenticità venne appurata già nei tempi immediatamente successivi alla prima pubblicazione (e precisamente dal The Times con una serie di articoli del 1921, seguito dal Frankfurter Zeitung nel 1924). Ciononostante, i Protocolli sono sopravvissuti lungo tutto il XX secolo e sono arrivati no ai giorni nostri, divenendo un vero e proprio “classico” tanto della falsificazione, quanto dell’antisionismo. (…)

La lettura del Dialogo agli inferi (del resto, un vero e proprio dialogo infernale) è disturbante. Il libro, conclusa l’ultima pagina, lascia il lettore stremato, con un indefinito senso di fastidio e con un sotterraneo tremore di inquietudine. La sensazione metaforicamente paragonabile all’aver guardato dentro uno specchio del passato che riflette il nostro presente. Nel riflesso, lo specchio ha sorriso demoniaco.

In un crescendo rossiniano, Machiavelli delinea le modalità con cui il suo governo controllerà ogni momento della vita pubblica (a titolo puramente esemplificativo, si pensi al passaggio – citatissimo da ogni commentatore dell’opera – in cui il governo viene paragonato al Dio indiano Visnù e si parla del “governo giornalista”). Del resto, che l’opera contenga in sé, in particolare in alcune sue parti, una carica letterariamente valida riteniamo sia implicitamente dimostrato anche dal fatto che proprio i massimi esperti del controllo e della manipolazione delle menti dell’epoca (come detto, i membri della polizia segreta zarista) leggendolo vi abbiano visto il terreno fertile per la creazione del più diffuso e nefasto falso storico dei nostri tempi. (…) Ai nostri giorni paiono applicabili, in modo inquietante, numerosi brani del Dialogo. A titolo d’esempio:

“Al giorno d’oggi – dice Machiavelli – non si tratta di usare la violenza contro gli uomini, ma di disarmarli. Non si devono reprimere le loro passioni politiche, ma annullarle. Non combattere i loro istinti, ma ingannarli. Non bandire le loro idee, ma cambiarle e farne proprie (…) il segreto principale del governo consiste nell’indebolire la morale pubblica fino a renderla completamente disinteressata alle idee e ai principi con cui oggi si fanno le rivoluzioni (…) bisogna saturare il popolo fino a portarlo alla stanchezza e al disgusto”.

Filippo Ferri

*Pubblichiamo, per gentile concessione, alcuni stralci della prefazione di Filippo Ferri al “Dialogo agli Inferi tra Machiavelli e Montesquieu” di Maurice Joly (Ibex Edizioni, 2024)

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